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Ciclismo
Ciclismo, Gianni Savio: “Prendo i colombiani perché scalatori italiani non ce ne sono. Uno come Bernal nasce ogni 20 anni”
ESCLUSIVA OA SPORT – Gianni Savio può esser considerato come l’uomo del ciclismo capace di vedere nel futuro. E non ci sembra di esagerare. Perchè lo storico team manager e direttore sportivo dell’Androni Giocattoli-Sidermec è una rarità da cui prendere esempio per gli anni che verranno, soprattutto per coloro che un giorno scriveranno la nuova storia del mondo delle due ruote. Savio ha lanciato ai vertici del ciclismo internazionale corridori che hanno lasciato segni importanti; un impegno che prosegue tutt’ora e che continua a portare i suoi frutti. Un uomo con degli obiettivi ben precisi, che crede fortemente nei suoi corridori e che rischia sempre. Mosso da una passione sfrenata per questo sport, ci racconta la realtà del ciclismo italiano e le difficoltà delle squadre Professional; ma anche l’orgoglio di aver cresciuto e valorizzato un talento unico come Egan Bernal.
Partiamo innanzitutto tracciando un bilancio generale di questa primissima parte di stagione.
“Abbiamo iniziato bene, esordendo alla Vuelta al Tachira con la vittoria di Marco Benfatto nella prima tappa, e di Miguel Florez nell’ultima frazione. Ci siamo divisi tra Venezuela, Argentina, Gabon, e qui abbiamo raggiunto dei buoni piazzamenti con Matteo Pelucchi e Alessandro Bisolti. Poi abbiamo proseguito con la Colombia, per poi arrivare in Europa. Domenica abbiamo ottenuto uno splendido doppio podio al GP Larciano con Mattia Cattaneo e Andrea Vendrame, quindi posso definirlo come un buon inizio di stagione. Attualmente siamo la squadra campione d’Italia, quindi vestiamo sulle nostre maglie lo scudetto tricolore, per cui intendiamo onorare sempre le corse in cui partecipiamo”.
Qual è il vostro prossimo obiettivo?
“Per noi è sempre e comunque importante il campionato italiano a squadre, che si identifica nella Ciclismo Cup. L’abbiamo vinta per due anni di seguito, quindi cercheremo di conquistare il terzo scudetto consecutivo”.
Parlando proprio della Ciclismo Cup, per cui la lotta è già aperta, resta sempre e comunque un vostro obiettivo? Nonostante la volontà da parte di RCS di non assegnare automaticamente la Wild Card per il Giro 2020.
“Esattamente. Ora come ora non è stato definitivo alcun accordo, ma per noi rimane l’obiettivo di portare nel mondo questo bel prestigio”.
C’è qualche vostro corridore in particolare su cui volete puntare veramente tanto in questa stagione?
“La nostra forza è il gruppo. Credo molto nel gioco di squadra e mi piacerebbe attuarlo in tutte le corse. Io provengo dal calcio, quindi nella riunione tecnica del mattino imposto sempre dei moduli: ci sono i corridori preposti alla prima parte e che devono andare in fuga, poi quelli dei due terzi di gara, in base al percorso, e i finalizzatori, uno o due. Ad esempio, nel finale della Milano-Sanremo punteremo su Manuel Belletti, il velocista principe della nostra squadra, e sul capitano Francesco Gavazzi”.
Concentrandoci sul movimento ciclistico italiano e tutte le sue problematiche, se solo potesse modificare il sistema con cui viene gestito e mandato avanti, lei cosa farebbe per migliorarlo?
“Domanda difficile a cui rispondere. Io cercherei una maggiore collaborazione da parte dell’UCI, nel senso che l’Italia, al momento, ha veramente poco peso politico a livello internazionale. Un tempo il ciclismo tricolore era considerato come un movimento guida, oggi non più, perchè sono emerse nuove nazioni. Adesso è stata presentata una riforma che, se verrà attuata in questi termini, rappresenterà una situazione drammatica per il ciclismo italiano. Nel nostro paese non esistono più squadre World Tour, e il motivo è dettato dalla crisi economica. Queste formazioni hanno un budget minimo di 15 milioni di euro all’anno, fino ai 40 milioni del Team Sky. In Italia è impossibile trovare, attualmente, un’azienda che investa nel ciclismo cifre di questa portata. Allora esistono nel panorama mondiale le nostre quattro squadre Professional, che hanno dei budget limitati e attuano, soprattutto nel mio caso, una politica dei giovani. Io paragono l’Androni Sidermec all’Atalanta, che è una squadra che punta molto sul suo vivaio e che lancia sempre degli ottimi giocatori. Ottiene delle buone posizioni nella classifica di Serie A, poi, per motivi di bilancio, è costretta a cedere questi talenti. E pur lasciando andare questi ragazzi, continua ad occupare una bellissima posizione nel campionato italiano. Io ho lanciato tra i professionisti tanti sudamericani, ma anche italiani: parlando del passato, posso citare Andrea Tafi, poi qualche anno fa Alessandro De Marchi, Fabio Felline, Diego Rosa, e per ultimo Davide Ballerini; poi ci sono i colombiani Egan Bernal e Ivan Sosa, che adesso sono nel Team Sky. Egan Bernal è un grande talento. Lo dissi fin da subito facendolo passare tra i professionisti a 19 anni, e saltando la categoria under 23. Si mise immediatamente in luce assieme ai grandi corridori, e pensai “questo ragazzo è un fenomeno, e arriverà sul podio di una grande corsa a tappe”. Gli feci firmare un contratto di quattro anni, perchè quando scopro un talento cerco di trovare una soluzione che contemperi le varie esigenze; ovvero che tuteli il corridore e al contempo la nostra squadra. In questo contratto, non con un compenso minimo salariale, ma superiore, se il corridore dimostra di valere molto di più, e quindi riceve un’offerta da un grande team, noi possiamo pareggiarla, oppure, se non siamo in grado di farlo, concedere il nulla osta, cioè cedere il contratto a questa grande squadra, ricevendo il “premio di valorizzazione”. Credo di aver introdotto questa clausola perchè in passato vi erano delle situazioni in cui si parlava di penali, ma nel mio caso certe cose non esistono; qui non si penalizza nessuno. Il corridore, se se lo merita, guadagna anche cifre stratosferiche, ed è giusto così. E la nostra società che lo ha lanciato e fatto crescere sempre e comunque gradualmente, deve giustamente ricevere un suo compenso. Per la grande squadra che ha questi mega budget, pagare un premio di valorizzazione è assolutamente relativo”.
Quindi il problema di fondo è la notevole differenza di budget tra le formazioni WorldTour e quelle Professional.
“Si, perchè è ovvio che il giovane emergente che riceve contemporaneamente una proposta da un team World Tour, e da una come la nostra, nella maggior parte dei casi sceglie la prima. Non vorrei peccare di presunzione per come abbiamo fatto crescere certi talenti, ma se solo fossero andati sin dall’inizio tra le World Tour, questa assistenza non l’avrebbero avuta. Perchè certe squadre devono pensare ai corridori in grado di vincere subito. La Ciclismo Cup rappresenta la salvezza del movimento nostrano. La Federazione Italiana, a mio modesto parere, dovrebbe cercare una maggiore attenzione verso la categoria Professional, e capire che al momento, nel nostro Paese, per la crisi economica che stiamo attraversando, non esiste un’azienda in grado di investire 10, 15, 20 milioni di euro. Quindi dovrebbe imparare a tutelare coloro che sono disposti a investire dai 2 ai 5 milioni, come può essere nella realtà delle Professional”.
Mi parli di questi ultimi talenti che ha lanciato, ossia Bernal, Sosa e Ballerini. In prospettiva futura, a cosa potranno puntare?
“Bernal e Sosa sono nella squadra numero uno in assoluto, e hanno così raggiunto il massimo obiettivo. Il distinguo da fare tra i due è che Bernal, a mio avviso, è un corridore che arriverà a vincere un grande giro; perchè è molto forte in salita, a cronometro, e ha delle doti fisiche e mentali incredibili. Quando l’ho fatto passare professionista a 19 anni aveva la mentalità di un corridore di 30. Sapeva che cosa voleva, era determinato. Sosa è un ottimo scalatore, però non posso sbilanciarmi troppo in una sua possibile vittoria in una grande corsa a tappe, perchè, a differenza di Bernal, è carente nelle prove contro il tempo. Ho sempre detto che salirà sul podio di una tappa regina del Giro, Tour o Vuelta; ma proprio per le sue caratteristiche fisiche, non riuscirà ad interpretare le cronometro come deve fare un grande leader di una corsa a tappe. Per Davide Ballerini è un discorso diverso, perchè è un uomo per corse in linea. Da lui mi attendo un podio in una Classica del Nord”.
Perché in un certo senso valorizza di più gli scalatori sudamericani rispetto a quelli italiani? Forse è anche una loro dote innata?
“Come ho detto in precedenza, negli anni ho lanciato diversi corridori sudamericani. Morfologicamente e strutturalmente parlando, questi ragazzi hanno le caratteristiche dello scalatore. Li abbiamo anche noi, ma non così tanti. Io sono stato commissario tecnico della nazionale colombiana e di quella venezuelana, e ho avuto l’onore di dirigere Santiago Botero nella vittoria del Mondiale a cronometro di Zolder 2002; un colombiano atipico, non scalatore. Però se guardiamo al presente, attualmente troviamo corridori come Nairo Quintana, Rigoberto Uran, Sergio Henao, Carlos Betancur, Miguel Angel Lopez, e lo stesso Egan Bernal. In Italia abbiamo Vincenzo Nibali e avevamo un grande scalatore come Fabio Aru; perchè i fatti dicono che, probabilmente e realisticamente, finché non dimostrerà il contrario dobbiamo per forza parlare al passato. C’è anche Giulio Ciccone, ma per il resto, al momento, non abbiamo altri scalatori di caratura mondiale. Ecco perchè se vedo uno scalatore tra i giovani italiani lo punto fin da subito, sempre se non lo prende una squadra World Tour”.
Secondo lei esiste già qualche italiano che un giorno diventerà forte nelle corse a tappe, dopo Vincenzo Nibali?
“Probabilmente Gianni Moscon, perchè ha dimostrato e messo in atto grandi margini di miglioramento. Dovremo vedere col tempo se riuscirà a fare il definitivo salto di qualità. Se risulta un po’ “chiuso” in Sky, forse il motivo è che preferisce mettersi al servizio di un grande capitano, aver comunque libertà di azione in certe corse, ma non assumersi la totale responsabilità”.
In chiusura, ha già nella sua mente qualche nome nuovo, ancora sconosciuto o quasi, che prima o poi esploderà?
“Ora come ora no. Non vedo un fenomeno alla Egan Bernal. Uno come lui nasce ogni 20 anni. Io spero bene per il futuro che verrà, ma al momento vedo tanti buoni corridori ma non un talento capace di prendere il posto di Vincenzo Nibali, ad esempio. Sto seguendo diversi giovani, ma non sono ancora pronti per emergere”.
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Foto: Lapresse