Ciclismo

Gilberto Simoni: “Il ciclismo è più pulito di 20 anni fa. Non andavo al Tour perché c’era del torbido. I morti sulla strada fanno paura”

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Il vincitore del Giro d’Italia del 2001 e del 2003 Gilberto Simoni, professionista dal 1994 al 2010, ha analizzato con noi quali sono stati i cambiamenti più significativi che hanno investito il ciclismo in questi anni; uno sport che alla fine si ritrova fermo a troppo tempo fa. Si passa poi alle prospettive future del movimento italiano; e sono tanti i problemi di base e i valori che si sono persi. Simoni ci parla poi di un ciclismo più selettivo e pulito rispetto agli anni in cui ha corso e della battaglia senza fine per la sicurezza stradale di corridori e non.

Quali sono stati i cambiamenti più significativi avvenuti in questi anni nel ciclismo italiano ma anche in quello internazionale?

“È tutto cambiato. Anche il mondo sta guardando avanti e sicuramente anche il ciclismo avrebbe bisogno di un’evoluzione. Siamo fermi a tanti anni fa, con delle idee poco entusiasmanti che bloccano il cambiamento del ciclismo; e soprattutto anche quella fase agonistica del corridore, andando poi verso i direttori sportivi, i tecnici, sponsor. Le aziende hanno poco margine, poi adesso è tutto dominato, quindi anche anche sponsorizzare diventa difficile perchè le aziende si vedono proiettate ad un futuro molto corto, quindi investono se sono sane. Poi c’è una grande sfiducia nei confronti dello Stato che vuole tutto ma non dà niente a chi promuove. È diventato tutto sistematico, nessuno si muove, nessuno rischia la sua immagine e i soldi, perchè la prospettiva è davvero breve”.

Come mai in Italia, ormai da anni, non nascono più scalatori? E qual è il problema di base?

“Per andare in bicicletta ci vuole un po’ di fame. Una volta le famiglie erano più proiettate su una vita quotidiana legata a far crescere tutta la famiglia. Adesso il benessere offre tanti orizzonti, quindi si è più preoccupati di come stanno i figli e di chi potranno diventare un giorno. Si cerca di dargli un futuro che magari è anche lontano dal proprio. Sono cambiate le prospettive delle persone. Poi se si guarda in giro, alla fine niente è facile. In tutto questo dico che gran colpa è anche del CONI che ha fatto dell’attività giovanile un simbolo della propria fortuna, perchè se gli togliamo anche questa attività, alla fine rischia di sparire. Le scuole hanno delegato ai volontari questo compito, e posso dire che alla fine c’è troppo agonismo in tutti i settori. Più passa il tempo e si diventa grandi, più ci vogliono soldi, investimenti, attenzione alle attività; così alla fine spariscono tutti perchè il rischio diventa il doppio e le soddisfazioni economiche zero”.

Quali corridori italiani andranno seguiti per i Grandi Giri?

“Credo che Fabio Aru sia ancora giovane, dal mio punto di vista, e lo vedremo ancora protagonista. Magari adesso è incappato in qualche problema. Poi c’è anche Moscon. I corridori italiani forse non sono più quelli di una volta, però chi sale in bici, chi vuole correre, chi è arrivato anche solo alla categoria dilettantistica, è perchè non ha paura di far fatica; quindi, se può, tiene duro, e questi sono ragazzi tosti. Qualcuno lo troveremo sempre”.

Qual è l’azzurro più interessante del momento?

“In questo inizio stagione c’è Matteo Trentin che sta ben figurando. Adesso sta affrontando le Classiche e andrà tenuto d’occhio. È un ragazzo che può darci soddisfazioni. Moscon si è allenato troppo ed è partito un po’ male, ma alla fine vedo un bel futuro per lui; è un corridore giovane e tenace”.

Secondo lei il ciclismo di oggi è davvero più pulito rispetto a vent’anni fa?

“Sicuramente. Il rischio è elevato, soprattutto per le squadre. Magari il singolo può ancora barare, ma alla fine non vedo certi margini e grandi performance. Vedo solo dei corridori tenaci che si impegnano e si allenano tutto l’anno; ma non i fenomeni del momento come c’erano nei miei anni. L’organizzazione di squadra, il complesso spagnolo tra medici e Federazione, con i controlli, era tanta roba; e penso che al giorno d’oggi ne verrebbe fuori una grande responsabilità anche per chi ci prova”.

Rimpiange il fatto di non aver mai provato a fare classifica al Tour de France?

“Appunto perchè al Tour de France c’è stato un periodo di corridori, che se guardo al podio sono stati tutti squalificati, è stato un momento molto torbido. Era un movimento occluso tra organizzazioni, medici… . Qualcosa di assurdo”.

Una sua opinione, un suo appello per la battaglia dell’ACCPI sulla sicurezza stradale.

“I dati dei morti sulle strade fanno paura. Diciamo che il mondo dei professionisti del ciclismo si è preso questo onere di combattere per la sicurezza, ma alla fine un ciclista professionista o un corridore che va in bici, “ci sa andare”. Però i morti che ci sono sulle strade sono giovani, anziani, signori che usano la bici per muoversi. Il problema è che lo stanno promuovendo i corridori, ma alla fine è una questione di Stato, perchè deve essere il Ministro dei Trasporti a preoccuparsi di questo. Noi evochiamo la sicurezza, ma quelli che ne hanno più bisogno sono gli altri”.

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@lisa_guadagnini

Foto: Lapresse

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