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Roland Garros 2019: Rafael Nadal ancora in volo sul rosso, in finale sarà favorito. Il tennis femminile festeggia l’avanzata del nuovo

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Il Roland Garros 2019 sta giungendo, faticosamente, alla sua conclusione. Da 14 anni, il nome più atteso è sempre e solo uno: quello di Rafael Nadal, che oggi ha vinto la sua dodicesima semifinale su dodici a Parigi.

Come in una sorta di cerchio, la sfida di oggi è stata identica alla prima del 2005 per uomo di fronte a lui: Roger Federer. A differenza di allora, però, l’incontro non è stato bello, per via di un elemento che ha condizionato un po’ tutta la giornata: il vento, che ha condizionato gli schemi di entrambi i contendenti. L’iberico è stato più bravo nella capacità di gestire la situazione, creandosi ogni genere di vantaggio nel primo set, risultando il solo a riuscire a tenere la battuta a sfavore di vento. Il resto l’ha fatto nel secondo parziale, riuscendo a capire che un eventuale 3-0 di Federer avrebbe rimesso lo svizzero davvero in partita, e poi accelerando sia sul piano mentale che su quello del gioco con il passare dei minuti.

Sull’incontro di oggi, anche in relazione ai precedenti, vanno comunque fatte diverse considerazioni. Come spesso accaduto, Nadal ha saputo sfruttare la propria persistente superiorità sulla terra rossa, dimostrando, ce ne fosse ancora bisogno, che da tempo la definizione di più grande giocatore della storia su questa superficie qualche fondamento (leggere alla voce 11 Roland Garros) ce l’ha. Del resto, non si vincono 92 partite su 94 nello Slam rosso per caso.

L’iberico, in quest’occasione, si è liberato di quella stessa cappa tattica e psicologica in cui, per tutta la prima parte della sua carriera, era riuscito a far cadere Federer. Erano passati cinque anni abbondanti dall’ultimo successo di Nadal sullo svizzero, e s’è notata tutta la sua voglia di invertire una rotta che l’aveva visto soffrire tantissimo per l’intero 2017. Sul fronte opposto, va detto che lo svizzero, pur bravissimo a tornare in semifinale dopo esser stato assente per tre anni dal rosso e per quattro da Parigi, ha mostrato in quest’occasione un’ovvia inferiorità, date le premesse, su questa superficie. Sarebbe stato quasi certamente sfavorito anche con Djokovic e Thiem, ma di certo non l’ha aiutato la prospettiva di dover giocare contro il suo più grande rivale. A Federer son mancati, più di ogni altra cosa, tre elementi, e non a livello mentale, ma tattico: la possibilità di utilizzare molti schemi da cemento anche sul rosso, una prima di servizio meno efficace dei precedenti match e la difficoltà di trovare i tempi giusti per le discese a rete contro i passanti di Nadal, capace in più occasioni di trovare le sue difese dei giorni migliori, con ribaltamenti improvvisi degli scambi.

In questa situazione, appare chiaro che il mancino di Manacor sarà favorito anche in finale, avendo mostrato di aver davvero trovato la forma migliore cammin facendo. Oltre a tutti gli elementi emersi dal match contro Federer, se ne aggiunge uno, inevitabile, dalla sfida Djokovic-Thiem: il rinvio della seconda parte di quest’ultima a domani causa pioggia, aggiunta al vento che ha creato ancora più problemi al serbo e all’austriaco che ai protagonisti della semifinale d’apertura. All’interno di questo match, per buona misura, di tennis se n’è visto poco, impegnati com’erano i due a gestire prima la furia del regno di Eolo e poi la palla. Con il problema del giorno di riposo in meno, le speranze già non grandi di entrambi di battere il signore della terra rossa diventano molto più ridotte, a prescindere da qualunque considerazione sul gioco (e dal nervosismo evidente di Djokovic per buona parte del “primo round”).

Nel torneo femminile, invece, si respira un’aria che va dal nuovo all’inatteso. Nuovo per varie ragioni: una finale Slam inedita, due giocatrici al primo ballo tra le grandi in tornei di questo calibro, una generazione diversa che si affaccia ai massimi livelli e l’esplosione definitiva di Marketa Vondrousova, già da tempo sul radar di molti. Inatteso perché, al di là dell’indubbia forza di gioco già conosciuta da tutti gli addetti ai lavori, che Ashleigh Barty potesse giungere all’ultimo atto sulla superficie da lei meno amata era un’idea davvero lontana da qualunque pronostico della vigilia. La bella notizia, per il tennis giocato dalle donne, è anche legata al gioco delle due future avversarie: la ceca e l’australiana non giocano solo bordate, ma sanno utilizzare armi differenti, il che potrebbe regalare una finale un po’ più tattica di tante altre, e senza dubbio priva di noia, se non ci saranno blocchi psicologici di sorta dall’una o dall’altra parte.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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