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Atletica, Usain Bolt: “Con l’atletica competitiva ho chiuso. Nel calcio ci ho creduto, ma non mi sono allenato a sufficienza. Penso che Tortu…”
Ai Mondiali di atletica 2019, che si svolgeranno Doha dal 27 settembre al 6 ottobre, ci sarà una grande assenza, quella di Usain Bolt. L’atleta che ha saputo scrivere in modo unico la storia di questo sport negli ultimi undici anni, conquistando otto ori olimpici, undici iridati e timbrando due record del mondo, ha terminato la sua carriera con l’atletica e dopo una breve parantesi, poco fortunata, con il mondo del calcio, sembra ormai aver detto definitivamente addio alle competizioni.
Per scoprire come sia la vita attuale di questo fenomeno, il Corriere della Sera ha intervistato Bolt, che è tornato nella sua Giamaica e non sembra intenzionato a volare a Doha: “Lavoro per la mia Fondazione e i miei sponsor, esco la sera, ogni tanto vado a correre, ho mille progetti. Sono così impegnato che, ora come ora, non ho in programma di andare a Doha. Mi sono serenamente ritirato e vivo la vita del pensionato felice. Con l’atletica competitiva ho chiuso. Anche se mi manca la gara, non certo l’allenamento. E l’energia di uno stadio pieno. Quell’adrenalina non l’ho mai più ritrovata”.
Bolt smonta poi i rumour riguardanti un suo ritorno in pista, che si erano diffusi dopo un’immagine postata sui social in qui si allenava in palestra: “A giugno ho giocato un match per beneficenza, Soccer Aid a Stamford Bridge per l’Unicef: ero un po’ fuori forma e, per tornare a regime, mi sono dato da fare con pesi e macchine. Ecco il perché dell’allenamento intensivo: nessun mistero né clamoroso ritorno all’orizzonte. C’erano Eric Cantona, Mo Farah, Roberto Carlos, John Terry, Didier Drogba, Jamie Carragher: proprio da un suo errore, è nato il mio gol. Io avevo la fascia da capitano e giocavo falso nove: il mio numero sulla maglia era 9.58!”.
Un rapporto speciale quello che Bolt ha con il calcio, anche se il suo sogno di diventare professionista è svanito: “Ci ho creduto. Ma per arrivare al livello che mi era richiesto dal campionato australiano ci voleva tempo e io non sono stato capace di stare dietro a tutti i miei impegni ed allenarmi a sufficienza. Si dice che servano 10 mila ore di allenamento per avere successo, e a me sono mancate. Non è facile passare dal top dell’atletica al calcio professionistico. Gioco ancora in Giamaica e per beneficenza, ma a 33 anni direi che la mia carriera nel calcio è finita”.
Nella prossima rassegna iridata rischia di interrompersi il dominio giamaicano, ma Bolt è comunque fiducioso sui suoi connazionali: “Spero nelle donne: Shelly Ann Fraser, Elaine Thompson, Briana Williams e le altre. Gli uomini dovranno lavorare sodo per tornare al vertice. Christian Coleman e Noah Lyles hanno vinto i trials americani, sono in testa alle liste e non vedo come non possano essere i favoriti a Doha. Nelle staffette, invece, abbiamo una chance: con il testimone in mano tutto può succedere”.
Infine arrivano parole di apprezzamento molto importanti nei confronti dell’azzurro Filippo Tortu: “Lo ricordo a Londra nelle batterie dei 200, benché non avessimo corso contro. Non conosco personalmente Tortu ma posso dire una cosa: chiunque scende sotto i 10″ nei 100 metri può essere definito uno sprinter di classe. È ancora giovane, può crescere molto. Un consiglio? Lavori duro senza ascoltare nessuno. Tenga i piedi per terra e non si lasci schiacciare dalla pressione. Io ho avuto la fortuna di essere nelle mani di un coach che sapeva esattamente cosa mi serviva per crescere, Glen Mills. Dovevo pensare solo ad allenarmi”.
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alessandro.farina@oasport.it
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Foto: Andrew Makedonski / Shutterstock.com