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F1, Mondiale 2019: Ferrari, alle radici della crisi. Cosa non ha funzionato in una stagione quasi buttata?

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Siamo nella pausa estiva del Mondiale 2019 di F1. Dodici round sono andati in scena e per la Ferrari, fino a ora, ben poco da salvare visto lo zero alla voce “vittorie” e le tante delusioni. Un’annata con il marchio Mercedes (10 successi e 7 doppiette) e con una Red Bull in grande crescita negli ultimi GP, come testimoniano i successi dell’olandese Max Verstappen in Germania e in Ungheria. La Rossa invece ha dovuto ridimensionare drasticamente i proprio obiettivi, tenuto conto del distacco dai rivali nelle due classifiche (piloti e costruttori): il tedesco Sebastian Vettel a -94 e il monegasco Charles Leclerc a -114 da Lewis Hamilton; il Cavallino Rampante a 150 punti dalle Frecce d’Argento.  Quali sono dunque le motivazioni di questa crisi senza fine?

Progetto con lacune aerodinamiche

La SF90 è nata da un punto di vista progettuale sbagliato: minimizzare la resistenza all’avanzamento e lavorare su questo aspetto. Risultato: vettura che genera poco carico sull’avantreno e che fatica a portare in temperatura le gomme. La soluzione dell’alettone outwash, tanto sponsorizzata nel corso dei test invernali, si è rivelata una soluzione non così premiante e gli sviluppi annessi non sono stati sufficienti per trovare una “cura”. Lacune aerodinamiche legate anche ad altre di natura meccanica, come lo schema delle sospensioni anteriori, fiore all’occhiello invece della Mercedes. Ecco che sia Vettel che Leclerc si sono trovati a perdere sistematicamente decimi in quantità industriale a centro curva, specie alle basse velocità.

L’assenza della figura di Marchionne

Manca come il pane inoltre una figura carismatica e da race. Spesso e volentieri Mattia Binotto sembra un po’ lasciato solo al suo destino e la scomparsa di Sergio Marchionne, di fatto, non è stata compensata dal punto di vista umano. Inutile negare che la presenza dell’ex n.1 della Rossa era importante anche politicamente. In una categoria nella quale gli interessi sono molto alti, è chiaro che una deficienza in sede decisionale si fa sentire. Fino ad ora quanto fatto dal nuovo massimo dirigente John Elkann e dall’amministratore delegato Louis Carey Camilleri non ha dato i riscontri sperati e molte volte l’impressione era quella di un team in stato confusionale, comportante un clima non proficuo.

L’inefficiente Mattia Binotto “tuttocampista”

Legato a questo aspetto i più ruoli ricoperti da Binotto hanno avuto effetti poco positivi sia in fatto di gestione dei ruoli che di reattività. Non è un mistero che Pirelli abbia comunicato con ritardo le caratteristiche delle gomme 2019 (dicembre 2018), spiazzando tutti tranne Mercedes. La poca adattabilità conseguente è figlia anche di una rapidità di intervento non eccellente, essendo in atto un cambiamento importante, per l’uscita di scena nel ruolo di Team Principal di Maurizio Arrivabene e l’ascesa del tecnico italo-svizzero. Aspetti che non hanno giovato all’organizzazione del lavoro di un progetto, però, già avviato e non efficiente come ci si sarebbe aspettati. Il ritorno di Simone Resta dall’Alfa Romeo, per occuparsi di quel che accadrà nel 2021, è un segnale chiaro.

L’affidabilità

Da non sottovalutare poi le problematiche relative all’affidabilità. Quanto avvenuto nel corso delle prove in Germania, quando forse la Rossa aveva delle chance per ottenere la pole, oppure l’avaria sulla monoposto di Leclerc in Bahrein, con la corsa ormai decisa, sono altri episodi che non possono far sorridere il Cavallino.

Gli errori dei piloti

Last but not least gli errori dei piloti. Leclerc e Vettel in questa prima parte di campionato non sono stati irreprensibili e questo non ha aiutato neanche i tecnici ad avere una certa tranquillità: i botti di Charles a Baku e in Germania e un Seb che contro Hamilton è suscettibile a “imperfezioni” (Bahrein e Canada) fanno parte dell’album dei brutti ricordi.

 

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giandomenico.tiseo@oasport.it

Twitter: @Giandomatrix

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