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Basket, Mondiali 2019: la coperta corta ed età media delle stelle ormai elevata. Preoccupa il futuro, pochi ricambi all’orizzonte
Finiscono (virtualmente, perché c’è ancora una partita da giocare, quella di domenica contro Porto Rico, valevole più per il piazzamento finale che per altro) i Mondiali dell’Italia, dopo la sconfitta con la Spagna, e comincia il tempo delle analisi. Tra le molte cose che racconta questa rassegna iridata, una riguarda il problema che lega a doppio filo l’età media dei big azzurri e l’annoso problema dei ricambi, soprattutto in ruoli specifici.
Danilo Gallinari, 31 anni. Gigi Datome, 32 anni a novembre. Marco Belinelli, 33 anni. Daniel Hackett, 31 anni a dicembre. Questa è l’età degli attuali big azzurri, non contando nella lista l’assente Nicolò Melli, che comunque, a 28 anni, ne ha ancora diversi davanti e soprattutto un’importante carta NBA da giocare. Un segnale inevitabile di come, tra non moltissimo tempo, ci sarà da pensare a un futuro in cui loro non saranno più sui principali parquet di mezzo mondo. E il problema dei ricambi, com’è noto, esiste, anche se forse va preso in un modo leggermente diverso dal “pochi” in linea generale: semmai, sono pochi in ben precisi, ma fondamentali ruoli.
Il problema numero uno, infatti, è quello legato al centro. In quest’edizione dei Mondiali nel ruolo sono stati portati Paul Biligha, che è stato messo alla porta da Venezia negli ultimi playoff scudetto ed è stato praticamente recuperato da Meo Sacchetti (merito che gli va riconosciuto senza alcun dubbio), e Amedeo Tessitori, arrivato da buone stagioni in A2 tra Biella e Treviso e che potrà ora confrontarsi con il piano superiore. Buoni giocatori, certo, ma di livello inferiore a svariate controparti europee. Fino a pochi anni fa nel ruolo c’erano Denis Marconato e Roberto Chiacig, due che l’Eurolega l’hanno vissuta da grandi protagonisti, e poi Andrea Bargnani, che è stato spesso adattato al ruolo dando, finché il fisico ha retto, soddisfazioni. All’Italia, ora, manca non un Bargnani (per non arrivare a uno dei più grandi giocatori europei di sempre, Dino Meneghin), ma proprio un Marconato o un Chiacig. La soluzione non si trova di certo dall’oggi al domani, non nasce improvvisamente, e servirà aspettare ancora qualche anno per scoprire se alcune delle speranze riposte nei giovani di stanza in NCAA (Guglielmo Caruso, una buona stagione da cambio a Santa Clara, NCAA Division I, e Alessandro Lever, da due anni punto di riferimento a Grand Canyon, sempre nel campionato universitario americano). C’è da sperare, infine, che emerga Andrea Mezzanotte, passato dall’essere un buon prospetto di Trento, con tante Nazionali giovanili alle spalle, alla panchina quasi costante sotto Maurizio Buscaglia. Tra i giovani, anche se in questo caso parliamo più di un’ala grande che di un centro, può emergere il cagliaritano Sasha Grant, 2002 che è andato a farsi le ossa nelle giovanili del Bayern Monaco.
Trovare un centro di livello che non costringa a dover continuare a riadattare gente (Melli più ancora del Bargnani che fu) sarebbe molto utile anche per la generazione di play e guardie che sta crescendo dietro a Hackett in un caso, a Belinelli, Della Valle, Aradori, Tonut e Flaccadori (che è un 1996, ma è già realtà e sarà in Eurolega con il Bayern Monaco) nell’altro. E’ italiano il play classe 2003 ritenuto potenzialmente il più forte in Europa, Matteo Spagnolo, che dopo gli anni alla Stella Azzurra Roma ha fatto le valigie destinazione Real Madrid, tornando nel nostro Paese per guidare l’Under 16 alla medaglia di bronzo europea in quel di Udine. Passando a prospettive un po’ meno sul medio-lungo periodo, fa quest’anno il salto dalla Serie A2 alla A un buon gruppo di giovani interessanti: ad Alessandro Pajola, già alla Virtus Bologna, vanno a far compagnia il 2000 Federico Miaschi (a Pesaro), il 1998 Tommaso Baldasso (a Roma), il 1997 Andrea Pecchia e il 2002 Gabriele Procida (a Cantù). Nell’attesa di scoprire come questi giocatori reggeranno il grande salto, ci sono tre ulteriori nomi sotto la lente d’ingrandimento azzurra: Davide Moretti, che giocherà per sua decisione la quarta e ultima stagione in NCAA a Texas Tech (finalista del torneo universitario quest’anno), Nico Mannion, che in Nazionale è già approdato l’anno scorso e in tanti danno tra i primi dieci del draft NBA 2020, e Gabriele Stefanini, anche lui protagonista in NCAA e autentica scialuppa di salvataggio dell’Italia Under 20 che, dopo una serie incredibile di infortuni e sfortune, è riuscita ad arraffare la permanenza in Division A.
Passa, dunque, da due grandi fattori il ritorno dell’Italia ad alti, se non altissimi, livelli: uno è il saper produrre giovani in tutti i ruoli, e ad oggi maggiori sono i centimetri e minore è il materiale umano, l’altro è portarli ad avere un livello tale per cui possano giocare non soltanto in A2, non soltanto in A, ma anche in EuroCup, fino all’Eurolega. Perché l’anello mancante è quello: la massima competizione per club europea. Basta guardare la generazione dell’oro europeo del 1999 e dell’argento olimpico del 2004: nessun giocatore NBA, ma tantissimi giocatori capaci di dire la loro in Eurolega, dove vale una sola legge, quella del non regalare mai nulla.
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federico.rossini@oasport.it
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Credit: Ciamillo