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Basket, Mondiali 2019: la Spagna e l’arte dell’annullare il meglio degli avversari. Argentina sconfitta con la difesa

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Alla fine, è di nuovo Spagna. Il tempo delle Furie Rosse non è finito: dopo vent’anni dall’argento europeo del 1999, la selezione iberica continua a mietere vittime, e stavolta torna per la seconda volta sul gradino più alto del podio ai Mondiali. Una prova, quella degli uomini di Sergio Scariolo, ineccepibile sotto tutti i punti di vista, e ancor più impressionante se si considera che Rubio e compagni avevano giocato, due giorni prima, ben due tempi supplementari contro l’Australia, che quello sforzo l’ha pagato nella finale per il terzo e quarto posto.

Ma com’è riuscita la squadra iberica ad annullare fin dalle fasi iniziali un’Argentina mai doma? Le chiavi sono in particolare due: i primi 120 secondi della partita e poi la successiva continua, asfissiante capacità degli iberici di difendere nel modo giusto sui due uomini più rappresentativi, Luis Scola e Facundo Campazzo. Da non sottovalutare anche l’enorme capacità di coach Scariolo di tenere alta la concentrazione dei suoi anche in quei leggeri momenti di calo capitati nel corso della partita, subito smorzati da time out tempestivi.

La differenza tra Argentina e Spagna, almeno inizialmente, si è vista nei corpi dei giocatori e nel loro modo di stare in campo. Più tesa l’Albiceleste, quasi ad aver realizzato il fatto di trovarsi lì dove non avrebbe sperato, più sicure le Furie Rosse, che un certo feeling con questo genere di appuntamenti lo hanno. Il tutto si è trasformato anche nella capacità di Marc Gasol di trasmettere questo lato ai suoi compagni (o almeno quelli che non si chiamano Rubio, Llull e Claver, per fare i nomi dei più esperti): 14 punti, 7 rimbalzi, 7 assist sono solo la faccia visibile della sua prestazione, mentre quella nascosta parla di una presenza capace di mettere in grande difficoltà uno come Scola, che fino a quel momento aveva semplicemente spiegato pallacanestro.

Ed è proprio di Scola e Campazzo che bisogna parlare. Sono stati i due terminali offensivi principali dell’Argentina per tutta la rassegna iridata, sono diventati i primi osservati speciali durante la finale. Il risultato è che il play del Real Madrid ha sì chiuso con 11 punti e 8 assist, ma non è stato in grado di incidere come voleva. Per quel che riguarda Scola, il discorso si spiega in gran parte con la difesa di Gasol, e più in generale di tutti i lunghi spagnoli, che l’ha lasciato a 1/10 dal campo. Sei dei suoi otto punti sono arrivati dalla lunetta, che è stato obbligato a cercare una volta compreso che non sarebbe mai stato lasciato in condizione di trovare tiri facili. Nella sostanza, solo un argentino è stato lasciato libero di segnare in libertà, Gabriel Deck, ma si tratta del classico prezzo da pagare per fermare con successo chi è realmente anima dell’Albiceleste. E non potevano essere il Brussino dei primi otto punti consecutivi, o un Garino in versione molto opaca, a prendersi sulle spalle la loro squadra.

Se il successo del 2006 portava il nome di una gioventù iberica inarrestabile, che negli anni successivi avrebbe vinto tutto in Europa e in chiave olimpica soltanto gli Stati Uniti sarebbero riusciti a fermare (in un caso, sempre a Pechino e nel 2008, con quella che è forse la più bella finale a cinque cerchi della storia), qui è l’esperienza di tutti a essere in evidenza. E’ una squadra con diversi elementi oltre i 30 anni, ma che hanno tutti vissuto la grande era della Spagna. E c’è da scommettere che l’anno prossimo, a Tokyo, possano tornare ancora altri big per quella che potrebbe somigliare a un’ultima danza o quasi. Si parla di Pau Gasol, di uno tra Serge Ibaka e Nikola Mirotic (in quanto naturalizzati, non possono giocare insieme in maglia Roja), di Sergio Rodriguez e, forse, anche di Alex Abrines. A patto, naturalmente, che quest’ultimo abbia completamente superato problemi molto più grandi della pallacanestro.

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federico.rossini@oasport.it

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Credit: Ciamillo

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