Ciclismo

Ciclismo, Mondiali 2019: Matteo Trentin il capitano dell’Italia. A 30 anni è l’occasione della carriera, obiettivo podio

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Matteo Trentin sta vivendo quella che, al momento, è la stagione migliore della sua carriera. Dopo aver lasciato la Quick-Step due anni fa, si è trasferito alla Mitchelton-Scott, in modo da avere più spazio per sé. Nel 2018 ha conquistato il Campionato Europeo di Glasgow davanti a un fenomeno come Mathieu Van der Poel e a un altro grande corridore quale Wout Van Aert. Nel 2019, dopo aver giocato un ruolo fondamentale nella vittoria di Elia Viviani proprio alla rassegna europea, è pronto a guidare la selezione azzurra ai Campionati del Mondo di Harrogate. Obiettivo concreto una medaglia, sogno nel cassetto la maglia iridata.

Già due anni fa a Bergen, per la verità, Matteo aveva sfiorato il podio iridato. Gli costò caro perdere la ruota di Bettiol che gli doveva lanciare la volata in uscita dall’ultima curva. Memori di quell’esperienza, in caso di arrivo allo sprint, sarà fondamentale mettergli affianco un uomo capace di guidarlo nelle fasi di preparazione alla volata, dato che l’ex campione europeo è meno scaltro di altri (ad esempio Sagan) in quelle situazioni. Non a caso, la Nazionale Italiana schiererà, tra gli altri, anche Davide Cimolai che gli fu pesce pilota a Glasgow (va detto che in quel caso lo sprint fu ristrettissimo, mentre ad Harrogate potrebbe contare anche 30 unità).

Trentin, però, potrà essere competitivo anche in caso di gara molto dura. Quest’anno era nel gruppo di testa alla Milano-Sanremo, ove forse avrebbe potuto vincere se avesse aspettato lo sprint anziché anticipare, e anche all’Amstel Gold Race fu uno dei più forti, specialmente sugli strappi. Oltretutto, due mesi fa ha vinto la sua terza tappa in carriera alla Grande Boucle, in quel di Gap, staccando compagni di fuga del calibro di Greg Van Avermaet, Kasper Asgreen e Dylan Teuns sul Col de la Sentinelle.

Il corridore della Mitchelton-Scott, peraltro promesso sposo della CCC per il 2020, non teme particolarmente nemmeno il chilometraggio esagerato del Mondiale (ben 280). In carriera, infatti, si è sempre trovato a suo agio nelle corse lunghe e ne ha vinte ben cinque che misuravano più di 230 km. Il percorso, nel complessò, è adattissimo, tanto che ricorda molto il vecchio tracciato della Parigi-Tours sul quale Matteo si impose nel 2015 e nel 2017. La condizione, inoltre, è quella dei giorni migliori, come testimoniano la recente vittoria al Trofeo Matteotti e il 2° posto, alle spalle di Mathieu Van der Poel, con successo di tappa annesso al Tour of Britain.

Il vero problema sono gli avversari, anche se l’unico veramente fuori portata sembra il sopraccitato Van der Poel, il quale, dopo aver surclassato Matteo nel Regno Unito, si è levato di ruota in  200 metri di muro due come Peter Sagan e Greg Van Avermaet alla Primus Classic. Altri corridori superiori a Matteo sulla carta ci sono, l’appena menzionato Sagan, ad esempio, o Julian Alaphilippe. Questi due, però, di recente non hanno incantato e il gap tecnico e atletico Matteo può compensarlo, almeno in parte, con una condizione che sembra migliore.

Chi ha una grande gamba, invece, è Greg Van Avermaet. Il belga, però, è nettamente superiore all’azzurro nelle classiche del pavé, ma su di un tracciato come quello del Mondiale i valori sono simili, anzi il Trentin visto quest’anno, che è andato meglio del campione olimpico sia all’Amstel che alla Sanremo, potrebbe anche essere superiore all’ex portiere. Più ostico, sarà, invece, il confronto con l’altro leader del Belgio Philippe Gilbert, anch’egli di recente in grande spolvero (ha vinto due tappe alla Vuelta). Il corridore della Deceuninck è meno veloce di Matteo, ma può staccarlo sugli strappi e dato che l’arrivo tira all’insù potrebbe anche anticiparlo allo sprint. Non dimentichiamoci, infine, che in caso di corsa blanda c’è il rischio di arrivare insieme a corridori veloci come il trentino o anche più rapidi come il norvegese Alexander Kristoff (lui in un arrivo in volata ha qualcosa in più dell’azzurro sicuramente) e l’australiano Michael Matthews.
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Foto: Valerio Origo

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