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US Open 2019, Matteo Berrettini nella storia 42 anni dopo Barazzutti: tutti gli italiani in semifinale Slam

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Matteo Berrettini, raggiungendo la semifinale agli US Open dopo la vittoria sull’ottovolante contro Gael Monfils, è entrato a far parte di un club davvero esclusivo: quello degli italiani capaci di arrivare al penultimo atto di un torneo dello Slam. Soltanto in quattro, infatti, sono riusciti, limitandoci soltanto all’Era Open (quindi dal 1968 in avanti) a spingersi tanto lontano in uno dei quattro tornei maggiori. Andiamo a ricordarli tutti.

Per un romano che s’aggiunge alla schiera dei semifinalisti azzurri, ce n’è un altro che questo ciclo l’ha iniziato: Adriano Panatta. Fu lui, nel 1973, che poi fu anno storico per il tennis anche per le prime classifiche computerizzate, a rendersi protagonista, a nemmeno 23 anni, di un cammino che lo portò per la prima volta in semifinale al Roland Garros. Sulla strada verso il penultimo atto, e in un’epoca in cui i primi due turni si giocavano al meglio dei tre set (e non cinque), Panatta eliminò ai sedicesimi il cileno Jaime Fillol, che avrebbe poi ritrovato in Coppa Davis nella felice Santiago del 1976, e inflisse la prima sconfitta parigina a Bjorn Borg negli ottavi (7-6 2-6 7-5 7-6). Nei quarti superò l’olandese Tom Okker, allora un ostacolo duro per tutti e semifinalista in ogni Slam (oltre che finalista agli US Open 1978), prima di fermarsi contro lo jugoslavo di Spalato (e dunque oggi croato) Nikola “Niki” Pilic, che aveva in precedenza impedito un derby azzurro eliminando Paolo Bertolucci, che di Panatta è diventato amico fraterno.

L’uomo venuto dal Tennis Club Parioli si issò in altre due occasioni fino alla semifinale: nel 1975, dopo due turni facili, mise al tappeto il rumeno Ilie Nastase, allora come oggi famoso per essersi fatto odiare da chissà quanti, in quattro parziali, poi di nuovo Fillol in tre e John Andrews, americano al suo miglior risultato di sempre, in quattro, prima di arrendersi a Borg. Il 1976, com’è noto, è l’anno in cui Panatta si incoronò re della terra rossa, vincendo prima Roma (passando dagli undici match point annullati all’americano Kim Warwick al successo su Guillermo Vilas) e poi lo Slam parigino. Anche qui gli toccò salvare, al primo turno contro il ceco Pavel Hutka, una palla per non uscire dal torneo, poi prese fiducia, superò altri due turni, lo jugoslavo Zeljko Franulovic negli ottavi e poi di nuovo Borg nei quarti, per la seconda volta. Questa e quella del 1973 sono le uniche due sconfitte mai subite dallo svedese al Roland Garros. In semifinale e finale, furono gli americani Eddie Dibbs e Harold Solomon a soccombere di fronte a Panatta, che peraltro nell’ultimo atto dovette dar fondo a tutto quello che aveva per chiudere in quattro set, poiché sapeva bene che, fosse arrivato al quinto, non avrebbe avuto alcuna chance di vincere.

Nei due anni successivi, emerse anche la figura di Corrado Barazzutti. Totalmente diverso da Panatta per stile di gioco (d’attacco quello del romano, da fondo quello dell’udinese). Fu lui a raggiungere la semifinale agli US Open nel 1977, unico prima di Berrettini a riuscirci, anche se in condizioni del tutto diverse: sulla terra verde, a Forest Hills e con i primi quattro turni al meglio dei due set su tre. In questo contesto, Barazzutti eliminò il buon americano Bill Scanlon, poi Nastase, l’australiano Mark Edmondson (autore l’anno prima di una delle più clamorose sorprese della storia del tennis, vincendo da numero 212 del mondo l’Australian Open, pur con tutti gli annessi e connessi del campo di partecipanti del tempo), l’altro statunitense Butch Walts e poi Brian Gottfried, allora numero 3 del seeding, in quel periodo anche 3 del mondo. Perse in semifinale contro Jimmy Connors, e celebre fu l’episodio della palla fuori che “Jimbo” venne a cancellare nel campo dell’italiano, con tanto di giudice di sedia che s’affrettò a darla per buona. Storia diversa nel 1978, al Roland Garros: dopo quattro turni non complessi (tra cui il secondo con Gianni Ocleppo), arrivò il momento di Dibbs nei quarti, che venne abbattuto in tre set. Fu Borg a porre fine al suo cammino, con un 6-0 6-1 6-0 del quale Barazzutti avrebbe fatto volentieri a meno.

Quarant’anni sono passati dall’attuale capitano di Coppa Davis alla storia più recente, quella di Marco Cecchinato, sempre a Parigi, nel 2018. Dopo aver rischiato di uscire al primo turno contro il rumeno Marius Copil (rimontato da due set sotto) e aver regolato l’argentino Marco Trungelliti senza problemi, la vera corsa del siciliano cominciò con lo spagnolo Pablo Carreno Busta, numero 10 del seeding e battuto in quattro parziali in rimonta. Sorte simile toccò al belga David Goffin, ottavo miglior giocatore del tabellone, battuto per 7-5 4-6 6-0 6-3. Con i quarti di finale, nessuno gli dava una singola possibilità di battere Novak Djokovic; eppure l’impresa ci fu, e divenne fragorosa tanto quanto il 6-3 7-6 1-6 7-6 che si materializzò sul Court Suzanne Lenglen. La corsa di Cecchinato venne fermata dall’austriaco Dominic Thiem, già sulla strada buona per diventare il numero 2 virtuale sul rosso, in tre set, ma non cancellò un’impresa compiuta da outsider impossibile da pronosticare alla vigilia.

Poi, a compimento di un 2019 di crescita continua, è arrivato Matteo Berrettini. Ma questa è una storia presente, che deve ancora scrivere il suo finale, non per forza a New York, non per forza nella giornata di venerdì.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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