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Volley, Europei 2019. Serbia-Slovenia: la finale “made in Italy” per il trono continentale

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L’Italia non c’è, ma c’è tanta Superlega nella finale che assegna il titolo continentale a Parigi questo pomeriggio alle 17.30. Serbia e Slovenia non si sono mai affrontate a questi livelli, anche se entrambe nella loro breve vita (solo nel 2001 la Jugoslavia, già da dieci anni senza la Slovenia, vinceva l’Europeo) hanno già disputato una finale a testa del torneo continentale, con la differenza che la Serbia è salita sul gradino più alto del podio e la Slovenia no perché nel 2015 si arrese alla Francia.

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La Slovenia ha sovvertito tutti i pronostici avversi in questo Europeo battendo prima la Russia, vincitrice della Nations League, poi la Polonia campione del mondo e se è vero che non c’è due senza tre, in casa Serbia non possono dormire sonni tranquilli. Metti un signor allenatore, scaricato troppo in fretta dai club di eccellenza della Superlega e che in Italia tornerebbe molto volentieri alla guida di un top team come Alberto Giuliani, metti un paio di giocatori di classe sopraffina che dalle nostre parti conosciamo molto bene con Tine Urnaut e Klemen Cebulj, aggiungi un manipolo di buoni giocatori che in Italia si sono fatti le ossa, hanno masticato il pane duro della lotta retrocessione o delle battaglie per guadagnare un posto nei play-off non certo tra le prime quattro del lotto come Pajenk, Kozamernik, Stern e Gasparini, condisci con un palleggiatore che sta vivendo un magic moment in una carriera non sempre brillantissima come Vincic ed ecco che è servito uno dei piatti più sorprendentemente gustosi delle ultime stagioni del volley. In pochi, pochissimi, avrebbero giocato anche solo un euro sulla Slovenia in finale, ma quella che per i nostri vicini di casa può essere considerata a tutti gli effetti la “generazione di fenomeni” c’è riuscita per la seconda volta a stupire tutti e stavolta non si vuole fermare qui.

Dall’altra parte della rete c’è una nobile, un po’ decaduta, ma pur sempre nobile del volley mondiale: quella Serbia che è sempre lì, a lottare per le posizioni che contano delle grandi manifestazioni internazionali, che lo scorso anno ha conquistato un ottimo quarto posto iridato, che ha tutte le caratteristiche per giocare alla pari con qualsiasi avversario ma che non ha certo nella continuità di rendimento la sua carta vincente. Quale carta pescherà Slobodan Kovac, quale Serbia troverà in finale: quella determinata, lucida, efficace della semifinale con una Francia che sembrava imbattibile o quella insicura, fallosa, quasi impaurita vista a Bari contro l’Italia due mesi fa o, per non correre così indietro nel tempo, nei quarti di finale contro l’Ucraina?

Molto dipende qui soprattutto da un uomo, Aleksandar Atanasijevic: quando trova il ritmo giusto in attacco per tutti gli avversari sono guai grossi, se invece dall’altra parte riescono a trovare da subito le contromisure alle sue traiettorie, alla sua potenza e “ignoranza” (Bada sa di cosa si parla e si spera non si arrabbi, altrimenti sono guai) la Serbia rischia di fare la fine di Sansone senza capelli, non c’è centrale o Kovacevic (con tutta la sua immensa classe) che tenga. Ci attende una finale imprevedibile e, per questo, ancora più bella con la maggior parte dei protagonisti che, finita la sfida di Parigi, farà le valigie e arriverà in Italia per dare vita a una Superlega se possibile ancora più bella di quella dello scorso anno.

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Foto Cev

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