Atletica
‘Marcia su Tokyo 2020’: Fidal trionfante, ma l’atletica non è guarita; equitazione, le Olimpiadi sono tabù
I Mondiali di atletica si sono conclusi con un bottino, in termini di medaglie, identico all’edizione 2017. Con una differenza significativa: se il bronzo di Antonella Palmisano era maturato in una specialità olimpica, la 20 km di marcia, non sarà invece presente a Tokyo 2020 la 50 km in cui Eleonora Giorgi ha arpionato il terzo gradino del podio.
Il presidente della Fidal, Alfio Giomi, ed il direttore tecnico, Antonio La Torre, si sono lasciati andare a dei bilanci positivi, a tratti persino trionfalistici, da cui OA Sport si sente di dissentire. Partiamo da un presupposto innegabile: nella stagione andata in archivio ieri, qualche tangibile passo avanti si è intravisto. Il settore maggiormente in fermento è quello della velocità, come testimoniano i risultati più che soddisfacenti delle staffette, due delle quali già qualificate a Tokyo 2020 e con le altre tre in pole-position per staccare il pass per il Giappone. La finale raggiunta nei 100 metri da Filippo Tortu assume connotati di natura storica, quasi epocali, mentre Davide Re si è issato con personalità tra i nuovi leader di questa Nazionale. Nel complesso, a nostro avviso, Giomi e La Torre brindano perché l’Italia ha conseguito il massimo possibile in relazione al suo potenziale attuale che, ad onor del vero, è da considerarsi da compagine di secondo o terzo piano al mondo.
Sovente l’obiettivo massimo per un azzurro è l’ingresso in finale. Talvolta ritoccare o sfiorare un record nazionale neppure consente di approdare all’atto conclusivo (e proprio Davide Re ne sa qualcosa…). Le medaglie? Non ci riguardano. Rappresentano un traguardo confinato nell’utopia, almeno nelle specialità olimpiche. Per intenderci, Tortu avrebbe necessitato di un 9.90 per salire sul podio nei 100 metri, 9 centesimi meglio del primato personale ed italiano; Re avrebbe dovuto abbattere ben 6 decimi al record nazionale per il bronzo nei 400 metri. Stiamo davvero parlando di galassie differenti. La stessa 4×100 maschile, malgrado il primato italiano abbattuto dopo 9 anni, è rimasta fuori dalla finale.
L’Italia, dunque, è certamente cresciuta come livello medio generale, questo è innegabile; eppure continuano a mancare le punte, gli uomini e le donne da medaglia (come lo erano fino a qualche anno fa, per intenderci, Alex Schwazer, Antonietta Di Martino ed Andrew Howe o, tornando ancora più indietro, Giuseppe Gibilisco, Fiona May, Stefano Baldini e Fabrizio Mori). L’ultimo oro iridato risale addirittura al 2003, quando Gibilisco trionfò a Parigi nel salto con l’asta con 5,90: un dato che dovrebbe far riflettere a lungo…Il Bel Paese è arretrato sensibilmente in settori storicamente nevralgici come la marcia, dove il ruolo dei giudici ha assunto ormai una valenza determinante: ne sa qualcosa Massimo Stano, forse il miglior prospetto da medaglia a Tokyo 2020, eppure zavorrato da tre proposte di squalifica difficili da comprendere, con conseguente penalità di 2 minuti; nella maratona appare ormai quasi impensabile competere al cospetto della formidabile marea africana; inoltre restano inspiegabilmente lasciati al loro destino (ed è così da ormai diversi lustri) i lanci, le prove multiple e, salvo rarissime eccezioni, il mezzofondo. Si difendono i concorsi, dove l’auspicio è quello di rivedere prima o poi il vero Gianmarco Tamberi nel salto in alto, in attesa del decollo definitivo del 21enne Stefano Sottile.
A nostro avviso, dunque, i Mondiali si sono chiusi con qualche passo avanti rispetto al passato, ma non a tal punto da credere che l’atletica italiana sia ormai guarita. Se alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020 dovesse in qualche modo materializzarsi una medaglia, si tratterebbe di un risultato apprezzabile ed insperato, perché nessuno sarebbe stupito qualora si tornasse a casa a mani vuote dal Giappone (come già accaduto anche a Rio 2016).
I Giochi Olimpici sono nuovamente rimasti tabù per l’Italia del salto ostacoli nell’equitazione: l’ultima qualificazione della squadra risale ad Atene 2004. Come nella passata edizione, ora il Bel Paese potrà qualificare un singolo cavaliere (o amazzone) per la gara individuale. E dire che il triennio di avvicinamento a Tokyo aveva sancito un ritorno al vertice dopo anni di totale anonimato. Alberto Zorzi e Lorenzo De Luca, in momenti diversi, hanno fatto capolino nella top10 del ranking mondiale, con quest’ultimo addirittura capace di salire al n.2 nel dicembre 2017. Risultati ottenuti a suon di successi e podi nelle più prestigiose manifestazioni internazionali. Anche la squadra si è ben distinta nelle ultime stagioni in Nations Cup, peraltro aggiudicandosi per due anni di fila il prestigioso ‘Piazza di Siena’ a Roma nel 2017 e 2018, interrompendo un digiuno di 32 anni. L’Italia è però mancata completamente quando contava per davvero, ovvero nei tre eventi qualificanti alle Olimpiadi. Prima un Mondiale 2018 disastroso, poi un Europeo 2019 al di sotto delle aspettative, infine una Finale di Nations Cup a Barcellona dove gli azzurri si sono inchinati ad un’Irlanda superiore. In queste competizioni non si è mai ammirata una squadra al completo ed è mancato sempre all’appello, tra gli altri, Alberto Zorzi. E qui veniamo ad uno dei mali latenti del movimento, quello della disponibilità dei cavalli. Zorzi, ad esempio, è assunto dalla scuderia di Valkenswaard. Alleva dei cavalli, li porta ad un livello eccelso, vince delle gare importanti e poi questi animali vengono ceduti dal suo datore di lavoro al miglior offerente. A quel punto, Zorzi deve ricominciare da capo. Per questo non ha preso parte a Mondiali, Europei e Nations League: non disponeva di un cavallo all’altezza disputare manifestazioni di questo calibro. L’equitazione azzurra, dunque, punterà tutto o quasi sul completo ai prossimi Giochi (la squadra si è qualificata agli scorsi Europei), mentre va sottolineata la totale inesistenza nel dressage.
federico.militello@oasport.it
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Foto: Lapresse