Rugby
Rugby, l’Italia e l’esperimento non vincente delle Accademie federali. Ecco perché non hanno funzionato
In Giappone lo scorso weekend si sono giocati i quarti di finale della Rugby World Cup e ora si guarda con ansia alle semifinali. L’Italia, per il nono Mondiale consecutivo, lo fa da spettatrice, essendo stata eliminata nella fase a gironi. Certo, un’eliminazione che era abbastanza scontata, con gli azzurri che nel girone si erano ritrovati All Blacks e Sudafrica, scogli oggettivamente insormontabili. Ma l’avventura giapponese ha lasciato comunque il segno nel rugby italiano, con i suoi limiti che sono stati ancora una volta evidenti.
Uno dei fallimenti del rugby italiano si chiama Accademie federali. Quel progetto nato nel lontano 2006 e che in oltre un decennio non ha dato di sicuro i frutti sperati. Basta leggere i numeri. Nell’Italia andata in Giappone per i Mondiali, infatti, solo 12 giocatori su 31 erano un prodotto dell’Accademia. Cui si può aggiungere Marcello Violi, sicuro convocato non fosse stato infortunato. Ma la musica non sarebbe cambiata. 13 giocatori su 31. Esattamente lo stesso numero di quelli convocati quattro anni fa per Inghilterra 2015.
Dal 2006 a oggi vuol dire che parliamo di giocatori che oggi avrebbero tra i 33 e i 20 anni, cioè tutti in età da venir convocati a un Mondiale. E in questi anni (calcoliamo fino al 2017, cioè dando un paio d’anni di ambientamento all’alto livello) i rugbisti usciti dall’Accademia federale sono stati circa 250. Su 250 giocatori, dunque, solo 12/13 meritavano la Nazionale maggiore oggi? Cioè solo il 5% di chi ha frequentato l’Accademia oggi è in Nazionale. Numeri che in una qualsiasi azienda sarebbero dichiarati un fallimento, ma non nella Fir. Con Alfredo Gavazzi che difende strenuamente l’Accademia. Ma che dal 2006 a oggi è costata milioni di euro e, numeri alla mano, ha prodotto poco più di una decina di giocatori per la Nazionale ai Mondiali in Giappone.
E pensare che in vista delle elezioni federale del 2016 Alfredo Gavazzi disse che grazie alle Accademie “oggi abbiamo almeno 100 potenziali giocatori da Nazionale in ottica 2019″. Numeri smentiti clamorosamente, con ben 9 giocatori su 31 nella spedizione nipponica che non solo non sono usciti dalle Accademie, ma che hanno addirittura una formazione rugbistica straniera. Cioè non sono cresciuti in Italia. E, a voler essere cattivi, i giocatori che più si sono messi in mostra all’ultima Rugby World Cup – cioè Jake Polledri e Braam Steyn – fanno parte proprio di questa percentuale, non di quella accademica. Ma perché questo fallimento?
Il motivo è prettamente sportivo e organizzativo. Le Accademie federali sono nate velocemente e senza la giusta programmazione. Cosa significa? Che si è voluto creare una struttura tecnica federale per far crescere gli atleti di 16/20 anni, ma senza prima creare una struttura tecnica adeguata per formare i tecnici che avrebbero dovuto allenarli. E perché non si è fatto ciò? Sempre qualche anno fa cercava di spiegarlo proprio Alfredo Gavazzi, dicendo che dei tecnici buoni “vengono formati in 6/8 anni, non dall’oggi al domani”. E dunque, avendo l’esigenza di formare gli ‘studenti’, non si è voluto perder tempo formando gli ‘insegnanti’. Il risultato? Aver buttato via ben più di 6/8 anni senza che dalla filiera federale sia uscito un numero tale di talenti da giustificare i milioni di euro spesi.
Ma attenzione, perché il flop delle Accademie (e dei Centri di formazione creati per gli Under 18) non è solo un flop sportivo, ma anche un flop economico e politico. Sì, perché in vista delle elezioni federali del 2016 Alfredo Gavazzi si presentò in giro per l’Italia con uno slogan ben preciso. “Più Accademie per tutti”, parafrasando un refrain politico ben noto. Per la precisione si prometteva un “aumento dei Centri di Formazione U16 da 36 a 50”, un “aumento dei Centri di Formazione Permanente U18 da 9 a 10”, nonché l’apertura “di una nuova Accademia Nazionale U20”, con le due accademie direttamente collegate alle franchigie celtiche. Promesse elettorali rivolte da un lato a enfatizzare l’aumento (presunto) qualitativo dei giovani d’alto livello, dall’altro rivolto ai vari territori rugbistici italiani che vedevano la concreta possibilità di ottenere un Centro di Formazione e, di conseguenza, importanti contributi economici dalla Fir.
E oggi, questi 14 Centri di Formazione U16 in più, quello U18 e l’Accademia sono realtà? No, anzi. La crisi economica che ha travolto la Federazione, con i bilanci federali in rosso e che hanno obbligato il presidente Gavazzi a un giro di vite nelle spese su espressa richiesta del Coni, ha colpito anche il caposaldo della politica federale voluta dal numero 1 del rugby italiano. Perché, come detto, i milioni spesi erano tanti e i risultati sotto gli occhi di tutti. Così, dopo essere stato eletto promettendo Accademie e Centri di formazione in giro per l’Italia, ecco che la Fir ha non solo bloccato le nuove aperture, ma nello stesso 2016 (cioè pochi mesi dopo le promesse elettorali fatte in tutta Italia, ndr) ha chiuso i 36 Centri di Formazione Under 16 e portato da 8 a 4 i Centri di Formazione Permenente U18. E la seconda Accademia Federale che doveva legarsi al Benetton Treviso e richiesta dai veneti? Non pervenuta. Il motivo? Anche in questo caso non ci sono soldi. E a dirlo è la seconda Federazione più ricca d’Italia, con un bilancio che parla di oltre 45 milioni l’anno di entrate, ma che – evidentemente – non riesce a produrre più di una manciata di giocatori. E i conti in rosso.
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Foto: Claudio Bosco – LPS