Rugby
Rugby, Mondiali 2019: il bilancio dell’Italia. Obiettivo minimo raggiunto, il gap resta ampio
Si è concluso con l’annullamento della sfida contro gli All Blacks il Mondiale dell’Italia di Conor O’Shea. Un finale amaro, pieno di recriminazioni per aver dovuto rinunciare a una sfida impossibile, ma dal fascino assoluto. Si è concluso il Mondiale dell’Italia con due vittorie e una sconfitta (più un pareggio a tavolino, che conta per le statistiche, la classifica e nulla più). Ma che Italia abbiamo visto in Giappone? Un’Italia da 6 in pagella, sufficienza piena, obiettivo minimo raggiunto, ma i dubbi restano.
Partiamo dai risultati. All’Italia, per chi stava con i piedi per terra e non volava sull’emozione dello storytelling trionfalista, l’accesso ai quarti era precluso da tempo. Dal 2017, anno dei sorteggi per i gironi. Troppo forti Sudafrica e Nuova Zelanda per sperare in un colpaccio. L’obiettivo minimo, e anche massimo, era dunque portare a casa due vittorie con Namibia e Canada e conquistare automaticamente la qualificazione a Francia 2023. Obiettivo raggiunto e, a differenza del 2015, senza patemi.
Con Namibia e Canada sono arrivate due vittorie nette che hanno evidenziato il grande gap tra gli azzurri e le nazionali di terza fascia. E questo, va detto, è un risultato importante. Lo è, come detto, perché quattro anni fa faticammo con Canada e Romania nella fase a gironi e lo è, perché da tempo in troppi chiedono l’uscita dell’Italia dal 6 Nazioni a favore delle nazionali emergenti. Eppure, in Europa, di nazionali emergenti non ce ne sono e l’Italia ha dimostrato sul campo di essere molto più forte di Canada e Namibia. Seppur con dei distinguo.
Con il Canada la vittoria è stata netta, bella, convincente; con la Namibia no. Ancora una volta gli azzurri si sono complicati la vita, hanno messo in luce tutti i limiti che ben conosciamo. Una difesa che se non al 100% concede troppo (tre mete, di cui due in prima fase, dalla Namibia gridano vendetta) e un attacco che non concretizza tutto ciò che costruisce. Con il Sudafrica le cose sono andate meglio nel primo tempo, soprattutto in difesa, ma con l’espulsione di Andrea Lovotti si è spenta la luce e il gap, evidente, tra le due squadre è emerso tutto.
L’Italia soffre in mischia, non è una novità. In Giappone si è confermato che la prima linea non è all’altezza di questi palcoscenici e non è più la prima linea di cui gli azzurri si sono vantati per anni. In seconda linea abbiamo onesti lavoratori, con il solo Ruzza a spiccare, ma che deve crescere tanto in difesa. Le note più liete, sicuramente, arrivano dalla terza linea, dove abbiamo la solidità di Braam Steyn e un futuro abbastanza tranquillo con Jake Polledri e Sebastian Negri. E, soprattutto, abbiamo rincalzi (in Giappone, ma anche rimasti in Italia) che possono fare il loro lavoro e che devono crescere. Insomma, il post-Parisse non deve spaventare e dopo l’ultima passerella che gli verrà concessa nel 6 Nazioni il capitano azzurro potrà salutare la nazionale sapendo che non sarà sua orfana.
Croce e delizia dell’Italia è, invece, la mediana. Qui la coperta è cortissima. All’apertura c’è Tommaso Allan, buon giocatore ma non certo un Dan Biggar o un Finn Russell (ed evitiamo paragoni più elevati), ma alle sue spalle oggi c’è ben poco. Se non gioca il numero 10 della Benetton l’Italia perde la regia. E a numero 9 le cose non vanno meglio. Tito Tebaldi si è confermato solido ma lento, Callum Braley ha avuto pochi minuti per mostrare se vale l’azzurro, mentre Gullo Palazzani è un rincalzo che fa il suo. Con Marcello Violi out per infortunio, dunque, si deve sperare che i giovani talenti che si stanno mettendo in mostra con Benetton e Zebre facciano presto il salto di qualità, perché servono alternative in mediana.
Dietro la situazione non è molto differente. In Giappone promossi sicuramente Luca Morisi e Matteo Minozzi, benissimo in fase offensiva Mattia Bellini e bene, seppur spostato a centro, Jayden Hayward. Preoccupanti, invece, i passi indietro mostrati da Michele Campagnaro, assolutamente non incisivo, mentre latitano le alternative, con i Benvenuti e i Bisegni che fanno il loro lavoro, ma nulla più. Anche qui la coperta è pericolosamente corta e nel prossimo futuro, nonostante i puristi storcano giustamente il naso, si deve sperare nell’equiparazione di giocatori come Monty Ioane per avere dei trequarti realmente devastanti.
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Foto: Rugby World Cup