Formula 1

F1, Ferrari e i motivi per cui il Mondiale resta sempre un’utopia. Macchina non all’altezza, aerodinamica e gestione non ottimale

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Siamo giunti ormai ai titoli di coda del Mondiale 2019 di Formula Uno. Il sipario sta per essere ufficialmente calato sulla 70esima stagione della massima categoria del motorsport, che andrà in archivio senza alcuna novità. La Mercedes si è aggiudicata il sesto titolo consecutivo tra i Costruttori, mentre Lewis Hamilton ha ampiamente festeggiato il suo sesto alloro mondiale, in una annata che non ha avuto storia, e che le Frecce d’argento hanno messo in ghiaccio sin dalla primavera, con cinque doppiette iniziali consecutive che hanno spento sul nascere ogni possibile riscossa dei rivali. Tra questi, ovviamente, ci si attendeva molto di più dalla Ferrari. La scuderia di Maranello, invece, porta a termine la sua ennesima annata deludente, con l’ultimo titolo iridato che rimane sempre quello di Kimi Raikkonen nel 2007, con la polvere che va accumulandosi tristemente sul trofeo. La SF90, che aveva impressionato nei test pre-stagionali, ha impiegato ben sei mesi (in concomitanza con il rientro in pista dopo la sosta agostana) per iniziare a esprimere il proprio valore. Da quel momento sono arrivate ben sei pole position consecutive, ma solamente tre vittorie, condite da numerose polemiche interne tra i due piloti, sfociate nel clamoroso e improvvido incidente di Interlagos. Una situazione che merita una analisi accurata sulla situazione del team di Maranello. Andiamo a parlarne punto per punto.

MACCHINA VELOCE IN PROVA, SOFFERENTE IN GARA

La SF90 in questo campionato 2019 è stata una vettura che ha vissuto sull’ottovolante. Dopo un inizio particolarmente difficile, come detto, ha vissuto un periodo scintillante dopo il Gran Premio del Belgio, ma è nuovamente calata in questa fase finale della stagione. I difetti non sono mancati, e taluni non sono mai stati risolti. Charles Leclerc e Sebastian Vettel hanno avuto a che fare con una vettura che, sin dal via di Melbourne, ha messo in mostra due macro-problemi: il comportamento con il pieno di carburante e quello con le gomme. In numerosi casi, infatti, la monoposto tinta di rosso ha arrancato nelle prime fasi di gara (ad Austin e Baku si sono toccati probabilmente i punti più bassi), quindi non ha potuto sfruttare nel migliore dei modi gli pneumatici. In questi mesi la SF90 si è dimostrata ben poco performante con quasi tutte le mescole, a differenza della Mercedes che con hard e medie letteralmente fa il vuoto. La macchina con il Cavallino Rampante aveva a disposizione un motore di ottima potenza che la rendeva imprendibile, o quasi, nei rettilinei in prova, mentre quando la questione veniva spostata sul passo gara, le difficoltà aumentavano. Le pole position, infatti, ben otto, non sono corrisposte alle tre sole vittorie.

MANCA UNA FIGURA FORTE NEL GESTIRE LA SQUADRA, ANARCHIA QUASI TOTALE TRA I PILOTI

Ad inizio anno puntammo in maniera particolare l’attenzione su due aspetti per la scuderia di Maranello: vettura e team principal. Due punti che, a nostro parere, sarebbero stati ancor più decisivi dei piloti. Da un lato, come detto in precedenza, la monoposto ha ampiamente deluso. Dall’altro, il nuovo timoniere ferrarista, Mattia Binotto, ha dovuto rimboccarsi, e non poco, le maniche. Sia ben chiaro, al primo anno vero e proprio su uno scranno simile nessuno può essere impeccabile, ci mancherebbe, ma il nativo di Losanna in selezionati momenti ha lasciato a desiderare. A sua parziale discolpa si deve ammettere che sia stato lasciato un po’ troppo solo contro tutto e tutti (in questo senso l’addio a Sergio Marchionne non è ancora stato metabolizzato) e per Binotto le difficoltà si sono accumulate. Come un abile equilibrista il team principal doveva gestire con le proprie forze lo sviluppo della vettura, le strategie del team e, non ultimo, il rapporto tra i due piloti. Tre casi nei quali si poteva fare di più, specialmente nel comportamento di Leclerc e Vettel. In alcuni momenti è parso che la scuderia tinta di rosso preferisse l’uno o l’altro, non dando mai la sensazione di far sentire la propria voce per mettere in chiaro i piani tattici (a Sochi si è superato ogni limite con la “insubordinazione” di Vettel) e come dovessero comportarsi. L’incidente sulla Reta Oposta di Interlagos è una macchia che rischia di sporcare anche il 2020 della Ferrari, con rapporti interni ai minimi termini tra i due piloti. Ci voleva più polso, ma queste non sono cose che si imparano in poche settimane.

SVILUPPO CONVINCENTE SOLO A TRATTI

Nelle scorse annate la Ferrari si metteva in luce per un avvio a razzo, con una monoposto subito pronta a vincere, salvo poi crollare dopo il ritorno dalle vacanze estive. Quest’anno, invece, lo sviluppo ha fatto acqua quasi sempre, tranne in occasione della gara di Singapore. Conclusi i test di Barcellona la Rossa si è bloccata, per paura di una affidabilità che non c’era. Le rivali hanno subito iniziato a correre, mentre Leclerc e Vettel procedevano a scartamento ridotto. Dopo mesi di tentativi inutili o quasi, la svolta è arrivata a Marina Bay, con un pacchetto di migliorie che aveva rivoltato come un calzino la SF90 che appariva competitiva anche nelle curve lente (un rompicapo mai risolto). Il guizzo si è concluso dopo pochi appuntamenti, con Mercedes e Red Bull che hanno nuovamente cambiato marcia e ri-sorpassato le Ferrari, proprio come accadde 12 mesi fa.

IL TALLONE D’ACHILLE DELL’AERODINAMICA

Tra le varie problematiche della monoposto tinta di rosso, come spiegato nel punto precedente, la Ferrari ha sofferto in maniera clamorosa nelle curve lente. La SF90, in quelle situazioni proprio non girava, accusando spesso 10kmh di differenza nei confronti dei rivali. Un gap mai recuperato, che ha proposto diversi circuiti come delle vere disfatte. Le Castellet, Budapest, Montecarlo, solo per citarne alcuni. L’aerodinamica verticale della monoposto con il Cavallino Rampante è risultata gravemente insufficiente, a differenza di quella frontale, che permetteva di raggiungere velocità sul dritto quasi impossibili per gli avversari. In vista della vettura 2020 il passo in avanti in fatto di conduzione delle curve dovrà essere enorme, perchè il gap era spesso imbarazzante.

MANCANZA DI UN PILOTA ALL’ALTEZZA (PER ORA) DI HAMILTON

Non è affatto semplice giudicare l’annata dei due protagonisti di Maranello. Da un lato Vettel era chiamato al riscatto dopo un 2018 da incubo ma, senza il successo di Singapore, questo 2019 rischiava di essere anche peggiore. Rispetto al compagno di scuderia i risultati sono stati insufficienti, con due sole pole position, contro le sei del monegasco, dando la sensazione di trovarsi a proprio agio in rare occasioni con la sua macchina. Leclerc, invece, ha stupito sotto alcuni punti di vista. Dopo un inizio controllato, infatti, il classe 1997 ha ingranato la giusta marcia e, prima di un calo in queste ultime settimane, ha davvero dimostrato di poter essere un sicuro campione nel futuro. Per quanto riguarda il presente, invece, i due ferraristi sono troppo lontani dalla perfezione (soprattutto sul medio-lungo periodo) per mettere in discussione la leadership di Lewis Hamilton che, oltre ad avere una vettura strepitosa, non sbaglia mai. Letteralmente. Nel 2020 Vettel e Leclerc dovranno quindi crescere in maniera importante sotto tanti punti di vista, per provare ad opporsi ad uno strapotere che, invece, non sembra avere fine.

 

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alessandro.passanti@oasport.it

Twitter: @AlePasso

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Foto: Lapresse

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