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Rugby, Mondiali 2019: Sudafrica rinato, All Blacks all’addio e l’Europa sta, ancora una volta, a guardare

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Si è conclusa ieri mattina a Yokohama la nona edizione della Rugby World Cup. Iniziata lo scorso 20 settembre, ha visto disputarsi 45 partite (sulle 48 previste, causa tifone), scendere in campo 20 squadre e oltre 600 giocatori. E, ieri, a trionfare è stato il Sudafrica di Rassie Erasmus, che in finale ha battuto nettamente l’Inghilterra, conquistando la terza Coppa del Mondo. Una vittoria incredibile e inimmaginabile fino a poco tempo fa, ma la vittoria di un gruppo che ha finalmente avuto una guida.

Una vittoria che porta gli Springboks anche in vetta al ranking mondiale. Una classifica rivoluzionata da questi Mondiali e che ridisegna la geografia ovale. A dominare tornano a essere due squadre dell’Emisfero Sud, Sudafrica e Nuova Zelanda, ma che hanno vissuto due tornei ben diversi, sia nei risultati sia in ottica futura. Il Sudafrica, dopo la crisi tra il 2015 e il 2017, è rinato e il lavoro fatto da Rassie Erasmus ha dato, ma darà anche i suoi frutti nel futuro prossimo. Gli All Blacks, invece, sono a un ricambio generazionale importante. Addio a Steve Hansen, ct con cui hanno vinto tutto ciò che si poteva vincere, ma addio anche a campioni come Kieran Read, Sonny Bill Williams e Ben Smith. Ora chi arriverà sulla panchina della Nuova Zelanda dovrà aprire letteralmente un nuovo ciclo.

Ancora una volta, come capitato in otto edizioni iridate su nove, l’Europa guarda e non festeggia. L’Inghilterra di Eddie Jones ha sicuramente mostrato le cose migliori, ha dato spettacolo in semifinale contro gli All Blacks, ma ieri a Yokohama ha subito una lezione tattica tremenda. Anche gli inglesi diranno addio al ct e dovranno ripartire da capo, anche se di cose positive da cui riprendere se ne sono viste tante. Anche il Galles chiude un’era incredibile, quella dei 12 anni di Warren Gatland che nel 2007 prese una squadra allo sbando e l’ha trasformata in una delle più vincenti dell’ultimo decennio. Un’eredità che Wayne Pivac, il nuovo ct, potrà sfruttare al meglio per costruire fin da subito una squadra vincente.

Tra le grandi delusioni di questo Mondiale ci sono sicuramente Irlanda e Australia. Soprattutto la squadra di Joe Schmidt un anno fa sembrava lanciatissima nella corsa iridata, ma negli ultimi 12 mesi ha perso la bussola e prima il ko con il Giappone e poi la netta sconfitta con gli All Blacks non le hanno permesso di andare oltre i quarti di finale. Anche per i tuttiverdi sembra il momento di un’era che si chiude, con un cambio generazionale alle porte. I risultati dei club irlandesi fanno ben sperare per il futuro, ma non sarà un passaggio indolore. Per i Wallabies di Michael Chieka una Coppa del Mondo oggettivamente anonima e un futuro con più incognite che certezze, per un gruppo che da anni ha mostrato qualità individuali notevoli, ma mai trasformate in una squadra vincente.

Guardando dietro alle big mondiali, la Rugby World Cup 2019 ha confermato alcune realtà emergenti, mentre ne ha ridimensionato altre. Il Giappone padrone di casa è stato sicuramente la sorpresa più bella del torneo, i quarti raggiunti per la prima volta nella storia sono un risultato incredibile e i nipponici ora sono nell’élite mondiale. Un lavoro di programmazione certosino iniziato anni fa, ma che ora dovrà essere confermato. Le delusioni del torneo, invece, si chiamano Georgia, che dopo questo mese e mezzo iridato vede le sue pretese di un 6 Nazioni allargato allontanarsi drasticamente, così come le Nazionali pacifiche, dalle Fiji belle da vedere ma clamorosamente battute dall’Uruguay, a Samoa e Tonga, anonime comparse del torneo. Flop totale, infine, quello degli USA. Gli Stati Uniti arrivavano ai Mondiali sull’onda dell’entusiasmo, avevano risalito il ranking e puntavano, almeno, a qualche scalpo di qualità. Hanno chiuso con quattro sconfitte su quattro.

Infine, l’Italia. Gli azzurri, causa tifone, hanno potuto disputare solo tre partite in un girone che appariva impossibile già fin dai sorteggi del 2017. Le vittoria con Namibia e Canada hanno confermato che il rugby italiano è nettamente superiore alle Nazionali che la seguono nel ranking, ma la sconfitta con il Sudafrica ha, dall’altra parte, confermato che con le migliori l’Italia difficilmente riesce a competere alla pari. E’ stato un Mondiale sufficiente, ma poco più. Anche per gli azzurri, come per quasi tutte le Nazionali, ora ci sarà un cambio tecnico (prima o dopo il 6 Nazioni è ancora da capire, ndr) e ci sarà un ricambio generazionale. Si ripartirà da alcuni giovani che si sono messi in luce, da Polledri a Negri, passando per Bellini e Minozzi, ma la strada sarà lunga e l’obiettivo di accorciare il gap con le migliori appare molto, troppo, distante.

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Foto: Lapresse

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