Calcio
Calcio femminile, Carolina Morace: “Non parliamo di professionismo, il prodotto deve essere appetibile”
“Tutto il mondo parla del riconoscimento come professioniste per le donne..ecco il mio pensiero: sicuramente un passo importante ma non parliamo di professionismo che è un altra cosa. Bene che si è sentita l’esigenza di cambiare qualcosa a livello politico. Speravo nell’introduzione del tetto minimo salariale e di un consistente aumento del massimo salariale per permettere alle giocatrici internazionali più forti di venire a giocare in Italia. Il prodotto deve essere appetibile!“.
Sono queste le considerazioni di Carolina Morace, icona del calcio femminile in Italia e non solo, relativamente all’approvazione della commissione Bilancio del Senato di un emendamento, a prima firma del sen. Tommaso Nannicini (Pd), alla manovra, volto a promuovere il professionismo nello sport femminile con l’introduzione di un esonero contributivo al 100% (per tre anni, per le società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo). Uno step, secondo Morace, importante ma non certo risolutivo.
Di fatto, nel contesto attuale le problematiche sono molte. In primis, in base alla legge 91 del 1981, le singole Federazioni Sportive possano decidere sul professionismo dei propri atleti. In questo senso, in Italia, sono solo cinque le Federazioni che hanno riconosciuto il professionismo, ovvero calcio, basket, golf, ciclismo e pugilato. Da questo punto di vista, quanto deciso politicamente potrebbe favorire un’apertura anche alle specialità che non godono di questo status.
Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attivita' sportiva a titolo oneroso con carattere di continuita' nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attivita' dilettantistica da quella professionistica.
Ciò detto, nel mondo femminile, molte sportive sono di fatto professioniste, ma non di diritto. Se si va infatti a fare delle valutazioni sugli impegni negli allenamenti c’è chiaramente una rappresentazione da atleta di professione, ma come detto vengono a mancare un salario minimo e contributi assistenziali e previdenziali. In buona sostanza, c’è ancora tanto da fare e modificare la legge citata potrebbe rappresentare un passo avanti affinché si arrivi davvero ad un punto, senza considerare la costruzione di una base culturale diversa. Il prodotto, per essere appetibile, deve veicolare un interesse maggiore e questo discorso è stato solo iniziato.
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giandomenico.tiseo@oasport.it
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Foto: LaPresse