Ciclismo
Marco Villa, ct ciclismo su pista: “Ganna può spingersi oltre i limiti. A Tokyo 2020 puntiamo alle medaglie”
Medaglia di bronzo ai Mondiali 1989 nell’Inseguimento a squadre, medaglia d’Oro ai Giochi del Mediterraneo 1991, campione del Mondo nel 1995 e nel 1996 nella Madison, bronzo olimpico a Sidney 2000 sempre nella Madison, 164 Sei giorni disputate di cui 23 vinte. Questi sono i numeri del Commissario Tecnico della Nazionale Italiana maschile su pista Marco Villa. L’uomo che negli ultimissimi anni ha vissuto il trionfo olimpico nell’Omnium di Elia Viviani a Rio 2016, l’uomo che ha cresciuto e portato ai vertici dei record mondiali Filippo Ganna, e che ha visto avanzare sempre di più il valore del quartetto azzurro dell’Inseguimento a squadre. È lui il faro, il Maestro, ma al contempo, a suo modo, il “padre” dei nostri campioni della pista. Villa, attualmente in Australia per la Coppa del Mondo di Brisbane, ha analizzato con noi la situazione della “sua” Nazionale verso i Mondiali di Berlino, ma soprattutto l’avvicinamento alle Olimpiadi di Tokyo 2020, dove le ambizioni tricolori sono veramente alte.
Qual è il limite di Filippo Ganna e fin dove pensa possa spingersi nell’Inseguimento individuale?
“Filippo ha grandi potenzialità, da juniores ad oggi è migliorato molto nella gestione dello sforzo e anche nel credere in sé stesso. Ha molta più sicurezza e gestisce sempre meglio la pressione della gara; una cosa che prima accusava molto. In più in questi 2-3 anni, le gare Pro Tour hanno contributo ad allenare il suo “grande motore'” e come vedete i tempi sono calati vistosamente. Nell’Inseguimento può spingersi ancora più avanti, soprattutto se si dovesse provare qualcosa in altura. Ma questo dipende da dove si vogliono indirizzare gli obiettivi. Per il momento l’obiettivo sono le Olimpiadi col quartetto e migliorare ancora nelle cronometro su strada. Certo è che nell’allenare queste due specialità non lasceremo in disparte l’inseguimento”.
Ganna può diventare dominante anche nelle cronometro su strada? E di quanto tempo ha bisogno perché ciò accada?
“Nelle cronometro è cresciuto molto, sempre mantenendo lavori in pista associati a quelli su strada con bici da cronometro. Come dicevo, stiamo mantenendo l’esplosività che serve per l’Inseguimento a squadre in ottica Olimpiadi di Tokyo 2020; però abbiamo dimostrato, anche con il titolo nazionale a cronometro e la medaglia di bronzo agli ultimi Mondiali su strada, che il lavoro è propedeutico per tutte e due le specialità. Credo che poi il salto di qualità per le cronometro su strada glielo possa dare la maturazione atletica anche in base all’aumentare delle gare a tappe e classiche su strada. L’importante per ora, a mio avviso, vista la giovane età, è mantenere la sua naturale forza esplosiva e pian piano aumentarla con la resistenza”.
Che preparazione mirata sta progettando per l’Inseguimento a squadre? L’Italia può giocarsela con Australia, Danimarca e Gran Bretagna? Che tempo servirà per vincere?
“Per l’Inseguimento a squadre abbiamo fatto un percorso parallelo all’attività su strada, visto gli atleti che abbiamo. Con allenamenti settimanali o mensili compatibili con l’attività e appuntamenti su strada. Come potete vedere in questi anni non ho mai avuto tutti gli atleti contemporaneamente, ma abbiamo sviluppato una buona metodologia e capacità di adattamento ai due diversi sforzi. Abbiamo anche dimostrato che sono molto funzionali l’uno all’altro. Ora, per questa prima parte del 2020, continueremo su questa direzione, visto che gli atleti hanno un’attività con le squadre (che ringrazio per la buona collaborazione) da rispettare. A me va bene per preparare la base per poi attuare una buona rifinitura l’ultimo mese prima dei Giochi. Quindi gli atleti faranno attività su strada e prepareranno i Mondiali di marzo a Berlino alternando lavori in pista e allenamenti e gare in strada. Poi, come dicevo, l’ultimo mese ci concentreremo più su lavori specifici in pista, un periodo in altura e la rifinitura gli ultimi dieci giorni in pista a Montichiari prima di partire per Tokyo, dove andremo circa otto giorni prima dell’inizio delle gare”.
Quanto è stata importante la riapertura del velodromo di Montichiari?
“L’apertura di Montichiari è importante. Questi due anni sono stati pesanti. Spostarsi per 4-6 ore con la macchina per gli atleti, e con i pulmini per lo staff e il materiale, per fare poi 1-2 giorni di allenamento e rientrare, beh sono stati stressanti. Ma ringrazio tutti perché nessuno lo ha mai fatto pesare. È sempre stato fatto con professionalità e concentrazione. Avere una pista “di casa” con hotel e logistica fissa è molto più comodo per tutti. Arrivare a Montichiari, aprire una porta, prendere la propria bici, allenarsi e tornare a casa alla sera, o fermarsi per una notte o 2 nello stesso hotel di riferimento, ma a poche ore di viaggio da casa, è tutto molto più comodo, sia per gli atleti che per noi dello staff. In più abbiamo tutti i nostri parametri di prestazione, che possiamo confrontare sistematicamente ogni giorno e capire miglioramenti e stato di forma. Cosa che cambiando pista ogni volta non hai mai sotto controllo”.
Il settore della velocità non si riesce proprio a rilanciare: per quale motivo? C’è qualche giovane su cui lavorare?
“La velocità purtroppo è un problema di mentalità. Faccio un un esempio per essere più chiaro: se abbiamo un ragazzo Esordiente o Allievo ben dotato e strutturato per le specialità veloci, difficilmente verrà dirottato sulla pista. Fino “all’ultimo” verrà fatto correre su strada anche da juniores e Under23, perché le 4-6-8 gare piatte che vince fan comodo alle squadre di appartenenza, ma nessuno ha il coraggio poi di fargli presente che non avrà mai uno sbocco nel professionismo con quelle caratteristiche. Solo a 22-23 anni capirà che ha sbagliato “indirizzo”; ma a quel punto sarà troppo tardi per correggere la prestazione. A mio avviso, come paradosso, è meglio cercare in altre discipline dove non c’è l’influenza del voler fare il professionista su strada. Molte nazioni attingono dagli atleti della BMX, che ha uno sforzo molto simile, sui 30″-40″. Però lì bisognerebbe fare dello scouting e valutare se l’atleta ha più sbocchi come BMX o sprinter su pista. Sarebbe opportuno girare nelle scuole a fare scouting con delle wattbike o sistemi di misurazione durante le lezioni di Educazione fisica. Bastano piccoli test di pochi secondi per capire i settaggi che servono per queste specialità”.
La Madison, negli ultimi anni, premia sempre di più corridori di fondo rispetto a velocisti puri. È ipotizzabile pensare ad una coppia Ganna-Viviani in questa specialità?
“La Madison ha bisogno di fondo, esplosività, punte di velocità altissime, ma anche di molta esperienza tecnica. Ganna a volte, in allenamento, si cimenta in questa specialità; ma non ha una grossa esperienza, non l’ha mai corsa. Non credo sia il caso di provare all’Olimpiade. Per questa specialità sto lavorando con Elia Viviani, Simone Consonni, Francesco Lamon, Michele Scartezzini e Liam Bertazzo”.
Elia Viviani arriverà alle Olimpiadi dopo il Tour de France, dunque senza una preparazione specifica per la pista: come valuta questa criticità?
“Viviani arriverà con la preparazione specifica necessaria. Se correrà il Tour farà allenamenti specifici prima del Tour e subito dopo. Ci arriverà lavorando in pista, già da adesso, e con lavori fatti già nei mesi passati come abbiamo fatto per Rio. Elia si è sempre allenato in pista in questi anni (e sembra che male non gli abbia fatto), anche se per un periodo non ha partecipato alle gare. Tutto questo per tenere il fisico abituato a questa doppia attività. Quindi, a mio avviso, in poco tempo potrà adattarsi allo sforzo specifico”.
A Tokyo sarebbe contento se….
“La presunzione non è mai stata una mia caratteristica, però un’Olimpiade da allenatore l’ho vinta a Rio 2016 grazie ad Elia. Con questo gruppo abbiamo lavorato fin qui per provare a far bene e puntare a vincere una medaglia in ogni disciplina in cui saremo qualificati. Questo è il nostro obiettivo dal primo giorno che abbiamo iniziato il percorso verso Tokyo 2020. Ho un gruppo eccezionale. Io ci credo!”.
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Foto: Federciclismo