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Marco Scarponi: “Vorrei dare un senso alla morte di Michele. Lo Stato non fa nulla per la sicurezza stradale”

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La parola “determinazione” è e sarà per sempre la chiave di congiunzione tra l’anima bella e pura di Michele Scarponi e ciò che stanno facendo la sua famiglia e tutti coloro che lo hanno amato profondamente, portando avanti una battaglia infinita per la sicurezza stradale attraverso la fondazione che porta il suo nome. Tra di loro c’è anche suo fratello Marco, che ogni giorno lotta e si attiva per sensibilizzare la cultura del rispetto nei confronti dei ciclisti e dei pedoni dal Nord al Sud Italia. Ma questo non basta. Non bastano la Fondazione Michele Scarponi e tutte le altre associazioni nate per battersi per il rispetto reciproco e per annientare la piaga delle vittime sulla strada, perchè mancano le istituzioni. Con Marco abbiamo parlato proprio di questo, della sua sfida e della situazione attuale della sicurezza stradale in Italia, aprendo anche una bella parentesi su Michele, ciò che ha lasciato alla sua famiglia e al mondo del ciclismo; la gioia e l’amore che ha trasmesso ogni giorno nella sua vita di Uomo, Figlio, Marito, Padre, Fratello, Ciclista…e Campione.

Che riscontro c’è stato dal docufilm “Gambe-La strada è di tutti”?

“Al momento direi positivo. Lo sto portando in giro per tutta Italia attraverso l’aiuto di società ciclistiche sia della FCI che della FIAB nel creare eventi nelle varie città. Abbiamo raggiunto anche le scuole superiori, perchè il docufilm ha un target per gli adolescenti. Continueremo ancora in questo modo, a livello promozionale. Alla fine per noi è nato come uno strumento didattico per poter creare degli stimoli in merito alla questione. Lo proietteremo anche il giorno della Strade Bianche e abbiamo già in calendario altre date”.

Come vi state muovendo sulla sensibilizzazione di questa tematica?

“Il nostro obiettivo è quello di far crescere la fondazione attraverso questa nostra opera di sensibilizzazione e di comunicazione. Ci interessa molto il fattore educativo. Stiamo creando dei progetti per le scuole che probabilmente partiranno tra quest’anno e il 2021; e poi vorremo finanziare e sostenere l’attività ciclistica dei più piccoli sotto il punto di vista dell’educazione stradale. Nonostante tutte le difficoltà del caso, vorremmo mettere in piedi un servizio di tutela per i familiari delle vittime della strada. A breve inizieremo a dialogare con tutte le varie associazioni di psicologi e di coloro che si occupano di questo tema. Riassumendo gli obiettivi sono: educazione, sport e assistenza sociale”.

Il 19 aprile ci sarà anche la Granfondo Michele Scarponi.

“Certamente! E sarà anticipata da degli eventi culturali. La Granfondo sarà un grande momento per noi, perchè ricorderemo Michele attraverso quello che faceva con la bicicletta, in corsa, con la pedalata… . Sarà una giornata molto importante perchè sarà anche un’occasione per ritrovarsi e condividere questa grande energia che ci ha lasciato Michele. Il giorno prima verrà anche Marino Bartoletti, e in precedenza terremo un convegno sul tema della mobilità o ad Ancona o a Jesi”.

Qual è la tua visione nei confronti del nostro Paese e questa piaga sociale della sicurezza stradale che non accenna a cambiare?

“Il dramma è che c’è quasi del disinteresse sulla questione. Molti cittadini vorrebbero cambiare le cose, però chi è rassegnato è lo Stato che non vuole mettersi lì a risolvere il problema. La mobilità va cambiata. Si muore. Lo Stato deve sensibilizzare la questione a livello di risorse e altri modi. Alla fine basterebbe davvero poco per tutelare ciclisti, corridori, pedoni: soltanto un po’ di buona volontà. E poi viviamo in un Paese in cui si fanno davvero pochi controlli. La sensazione che si prova è quella di elemosinare una sicurezza che non avviene”.

Qual è l’insegnamento più grande che ti ha lasciato Michele?

“Michele mi ha lasciato tantissime cose. Sicuramente la sua determinazione, perchè è sempre stato una fonte di ammirazione e di ispirazione, e lo è tutt’ora. Il suo modo di mettersi lì, allenarsi, correre per raggiungere a tutti i costi una cosa, è un fattore che mi è sempre mancato; mentre lui ha dimostrato che bisogna sempre insistere, tutti i giorni. E lui lo faceva in un modo tutto suo, anche scherzandoci su”.

E quello che ha lasciato al mondo del ciclismo?

“Michele era uno scalatore, e sinceramente, in questi casi, non c’è tanto tempo per scherzare. Vedi un po’ Peter Sagan, che ha caratteristiche diverse e trova il tempo di impennare, ad esempio. Quando Michele era il Giro d’Italia non aveva neanche il tempo per guardarsi intorno; però alla fine lui riusciva ad essere un po’ il Peter Sagan della situazione. Questo dimostra la sua grandezza, la sua voglia di sdrammatizzare e di dire a tutti ‘guardate che faccio uno sport duro, quindi datemi anche un po’ di tempo per scherzare, perchè qui sono tutti seri’. La sua determinazione non è mai passata inosservata, e poi non dimentichiamoci di una cosa: che era un campione”. 

Michele non sentiva suo quel Giro d’Italia del 2011 vinto a tavolino…

“Assolutamente. Perchè alla fine non l’ha vinto lì, gli è stato consegnato dopo. Però è davvero bello vedere il suo nome inciso sul Trofeo senza fine”.

Che rapporto aveva con Vincenzo Nibali?

“Michele l’ha sempre ammirato. Anche la sua scelta di diventare il gregario di Nibali è stata dettata dal fatto che conosceva la sua grandezza. E poi, a livello umano, secondo me Michele riusciva a dargli quel qualcosa in più stimolandolo. Penso che sia stato davvero importante per Vincenzo. Dormivano anche assieme durante l’ultimo Giro d’Italia che hanno fatto. Poi ogni tanto lo prendeva anche in giro; un po’ come faceva con tutti d’altronde. Ma gli voleva davvero bene e ne riconosceva la sua grande forza”. 

Qual è il tuo sogno o quello che vorresti realizzare pensando a ciò che avrebbe voluto Michele?

“Vorrei che cambiasse qualcosa, innanzitutto per dare un senso alla morte di Michele e di tutte le altre vittime della strada. Mi piacerebbe tanto riuscire a dare una svolta alla percezione che abbiamo in Italia sul fattore della mobilità. Ed essere tutti su una strada sicura, dove morire sia veramente l’eccezione”.

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@lisa_guadagnini

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Foto: Fondazione Michele Scarponi Onlus

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