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All Star Game NBA 2020: i roster ed i giocatori di Team LeBron e Team Giannis. 16a presenza per James, debutta Luka Doncic

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Si avvicina a rapidi passi la notte di un All Star Game molto particolare, sia perché si gioca a Chicago, là dove il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi, Michael Jordan, ha scritto la propria leggenda, che per un’altra ragione legata all’uomo che più ha cercato di imitarlo: Kobe Bryant. La tragica morte dell’ex stella dei Lakers ha reso la partita delle stelle qualcosa a metà tra la volontà di far del bene per le comunità non fortunate di Chicago e il tributo al Black Mamba. Vediamo, intanto, i due roster nel dettaglio.

TEAM LEBRON
QUINTETTO BASE
LeBron James (Los Angeles Lakers): per la terza volta capitano di una delle due squadre in quanto destinatario del maggior numero di voti nella Western Conference, è nel bel mezzo di una stagione da leader della lega per assist, 10.7 a gara. Per lui anche 24.8 punti con il 48.8% da due e il 35% da tre, oltre a 7.7 rimbalzi a partita e allo storico punto critico dei tiri liberi, in cui mai ha superato il 78% e quest’anno lo vede al 69.4%. Una buona parte della riduzione dell’ammontare di punti del numero 23, però, si spiega con un altro nome. Con 16 partecipazioni nell’All Star Game è il terzo più presente di sempre, dietro soltanto a Kareem Abdul-Jabbar e Kobe Bryant.

Anthony Davis (Los Angeles Lakers): la ragione per cui LeBron può evitare di doversi caricare interamente sulle proprie spalle l’attacco dei Lakers è lui, che sta viaggiando a 26.5 punti, 9.2 rimbalzi e soprattutto 2.4 stoppate (terzo miglior dato della stagione) a gara. Alla sua settima presenza nella partita delle stelle, sta cercando di concludere la propria settima stagione consecutiva in doppia cifra di media. A chi gli ha chiesto di partecipare anche alla gara delle schiacciate ha risposto: “Non sono cose per me”.

Kawhi Leonard (Los Angeles Clippers): il campione NBA con i Toronto Raptors sta viaggiando a medie del tutto paragonabili a quelle della scorsa stagione, dimostrandosi faro dei Clippers almeno quanto lo è stato in Canada e nei suoi anni ai San Antonio Spurs. Arriva alla sua quarta presenza nell’All Star Game con 27.1 punti, 7.4 rimbalzi e 5.3 assist a gara, oltre che con la miglior percentuale in lunetta di sempre: 89.2%. E dire che nel primo anno di carriera si fermava al 77.3%…

Luka Doncic (Dallas Mavericks): dello sloveno non va fiero soltanto il suo Paese, ma un intero continente, che vede in lui qualcosa che non c’era dai tempi di Drazen Petrovic. Lo scorso anno in molti l’avevano invocato per la partita delle stelle, quest’anno ci arriva da terzo miglior uomo assist della lega (8.7 a partita), oltre che con 28.8 punti e 9.5 rimbalzi a gara. Dovrebbe rientrare nella prossima partita dei Mavericks, dopo alcune partite di stop per un leggero infortunio, contro i Sacramento Kings.

James Harden (Houston Rockets): la barba più famosa della pallacanestro al momento viaggia alla spaventosa media di 35 punti a partita, paradossalmente appena meno dei 36.1 della scorsa stagione che lo hanno accomunato alle migliori stagioni di Michael Jordan e Kobe Bryant (senza arrivare alle vette irraggiungibili di due annate di Wilt Chamberlain). Guida anche la classifica per tiri da tre realizzati (234), benché la percentuale sia del 35.8% perché ne tenta 12.8 a gara. Ottava presenza.

RISERVE
Damian Lillard (Portland Trail Blazers): in tanti, non a torto, lo ritengono estremamente sottovalutato. Parliamo, del resto, di uno che viaggia a 29.7 punti di media, il terzo miglior dato di stagione, ma anche di un eccellente uomo assist (7.9 ad allacciata di scarpe). Per la quinta volta presente nel weekend delle stelle.

Ben Simmons (Philadelphia 76ers): dopo aver sfatato il tabù della prima tripla in carriera nello scorso novembre, è caduto uno degli argomenti di discussione sul suo conto. Uno dei pochi, in verità: nell’arsenale offensivo della sua franchigia è il valido complemento di Joel Embiid. Comanda con 2.2 palle rubate a gara questa classifica, oltre a essere quinto per assist con 8.3. Seconda presenza.

Nikola Jokic (Denver Nuggets): il centro serbo è ormai una certezza della lega, e oltre a essere in doppia doppia di media (20.6 punti e 10.2 rimbalzi) è anche eccellente passatore per il ruolo, con 6.9 assist a incontro. Per lui è la seconda chiamata nella domenica dell’All Star Game.

Jayson Tatum (Boston Celtics): status da superstar oramai consolidato per uno dei fari dei Boston Celtics, che più dei 22.1 punti a gara fa valere la propria grande personalità, oltre alla capacità di coordinarsi con tutte le altre stelle della franchigia. L’esordio nella partita delle stelle è una logica conseguenza dei suoi progressi.

Chris Paul (Oklahoma City Thunder): Federico Buffa, ai tempi, lo defini “Harry Potter con la palla in mano”, e se è alla decima presenza un motivo c’è. Certo, i suoi migliori anni sono passati, ma con le candeline che si approssimano a essere 35 uno che viaggia quasi al 90% in lunetta, con 17.5 punti e 6.6 assist a gara è un lusso per sostanzialmente qualsiasi franchigia.

Russell Westbrook (Houston Rockets): dovrebbero essere finiti gli anni delle triple doppie di media in stagione (tre, un primato che difficilmente sarà eguagliato da qualunque umano). La convivenza con James Harden lo obbliga a rinunciare a qualcosa, ma viaggia sempre a 27.2 punti, 8 rimbalzi e 7.2 assist di media che pochi non sono. Certo, il tiro da tre è diventato ancora più deficitario del solito: 23.8%. Nono gettone.

Domantas Sabonis (Indiana Pacers): il figlio arriva dove il padre, il leggendario Arvydas, il Principe del Baltico, mai è riuscito, all’All Star Game. Si tratta del premio a una stagione in cui sta facendo veramente bene agli Indiana Pacers, con 18.3 punti e 12.5 rimbalzi a gara. Con Victor Oladipo fermo molto a lungo ha retto spesso e volentieri le sorti dei Pacers.

COACH Frank Vogel (Los Angeles Lakers): prima volta da capo allenatore nella partita delle stelle per lui, che ha smesso di essere vice in NBA dal 2011.

TEAM GIANNIS
QUINTETTO BASE
Giannis Antetokounmpo (Milwaukee Bucks): candidato se non unico, quasi, al titolo di MVP della stagione. Le statistiche parlano per “The Greek Freak”: 30 punti, 13.5 rimbalzi, 5.8 assist a gara con il 54.9% da due punti. Sono pochi i giocatori totali quanto lui al momento in circolazione, senza contare l’agilità che fa del greco una star abbastanza riconosciuta da aver ricevuto il maggior numero di voti nella Eastern Conference, cosa che gli è valsa per la seconda volta la nomina di capitano nella partita delle stelle, dove è alla quarta presenza. Ha intorno anche una squadra di ottimo livello: se basterà per arrivare alle Finals non è dato saperlo, ma sarà protagonista.

Joel Embiid (Philadelphia 76ers): “Trust the Process”, credere nel processo, è il suo storico mantra. A credere a Embiid, intanto, ci pensa l’intera NBA, al di là del 22.9 punti e 11.9 rimbalzi in stagione, cui accompagna un più che buono 80.6% ai tiri liberi. Nella stagione della terza volta all’All Star Game le sue medie, rispetto a un anno fa, sono in calo, ma in compenso si sta distribuendo meglio l’intero arsenale offensivo in mano a Philadelphia, sempre in cerca di un ruolo da contender.

Pascal Siakam (Toronto Raptors): debuttante assoluto in questo contesto, porta a un livello ancora più alto una storia che ha a suo modo dell’incredibile, che conta ancor più di qualsiasi statistica. Fino a 16 anni non aveva mai toccato un pallone da pallacanestro in vita sua, poi ha seguito il consiglio di Luc Mbah a Moute di trasferirsi negli Stati Uniti e ha seguito la via della palla a spicchi. Risultato: lo scorso anno è stato insignito del ruolo di giocatore più migliorato della stagione, e sta ora vivendo una stagione ancora più importante, prendendosi parte delle responsabilità che erano di Kawhi Leonard e viaggiando a 23.7 punti a gara.

Kemba Walker (Boston Celtics): realizzatore puro se ce n’è uno, non sta finora ripetendo a Boston quello che aveva fatto vedere agli Charlotte Hornets, ma che realizzi 21.8 punti in una squadra nella quale deve convivere contemporaneamente con Jayson Tatum, Jaylen Brown, Enes Kanter, Gordon Hayward e Marcus Smart è perfettamente nell’ordine delle cose. Nel discorso tattico di Brad Stevens funziona, intanto si prende questo quarto gettone da All Star.

Trae Young (Atlanta Hawks): ha fatto recentemente emergere il proprio disappunto per non esser stato inserito nella lista dei 44 per Tokyo 2020, e forse non è del tutto nel torto. Del resto, sta dimostrando di meritare il ruolo di protagonista, insieme a Luka Doncic, di quel che è stato il Draft 2018. Arriva al suo esordio da All Star con i galloni di terzo miglior marcatore e secondo miglior uomo assist con 29.7 punti e 9.1 palloni smazzati a gara, quel che basta per far capire che lui e lo sloveno, nei prossimi anni, potrebbero dar vita a dei duelli a distanza e non molto interessanti.

RISERVE
Khris Middleton (Milwaukee Bucks): alla seconda presenza nella gara delle stelle, è uno dei motivi per cui i Bucks non si reggono sul solo Antetokounmpo. Oltre al 90.1% in lunetta, sua miglior percentuale in carriera fino a oggi, si segnala il fatto che è il quinto miglior tiratore da tre punti per percentuale, con il 43.9%, in una stagione da 20.5 punti ad allacciata di scarpe.

Bam Adebayo (Miami Heat): forse una delle maggiori sorprese dell’intera stagione per i progressi che è riuscito a fare. In una sola annata ha portato la sua media punti da 8.9 a 16, mentre i rimbalzi sono passati da 7.3 a 10.9 e gli assist da 2.2 a 4.9. Può essere tra i candidati al premio di giocatore più migliorato dell’anno, a seconda della considerazione che verrà data a quelli che ormai sono già big (Young, Doncic, Ingram) e a Siakam.

Rudy Gobert (Utah Jazz): dove c’è il francese, si continua a non passare. Quarto miglior stoppatore della stagione, con 1.9 a gara, sta paradossalmente facendo peggio degli anni precedenti, che rimane sempre meglio della stragrande maggioranza della lega. Il suo contributo, però, non si ferma lì, dato che viaggia con dati quasi paralleli per punti e rimbalzi: 15.6 e 14.5.

Jimmy Butler (Miami Heat): dopo una stagione travagliata, e contrassegnata dal cambio di casacca da Minnesota a Philadelphia, il suo approdo agli Heat ha riportato nuova linfa in una vena realizzativa che dice 20.5 punti a gara, sebbene il meglio, a puro livello statistico, lo dia in termini di palle rubate, dove eguaglia Kawhi Leonard a quota 1.8.

Kyle Lowry (Toronto Raptors): gli hanno tolto prima DeMar DeRozan, poi Kawhi Leonard, ma lui è sempre lì, a viaggiare con 19.8 punti e 7.5 assist a gara, a testimonianza del fatto che con l’avvicinarsi dei 34 anni il suo talento non ha ancora smesso di regalare perle a una franchigia che continua a restare candidata per un altro anello. Il tutto grazie al lavoro di un impagabile Nick Nurse.

Brandon Ingram (New Orleans Pelicans): prima, meritata chiamata per lui tra gli All Star. Gli ha fatto più che bene il cambio Lakers-Pelicans, dove è riuscito a diventare leader realizzativo (e non solo) a tutti gli effetti. Ora che anche Zion Williamson è di nuovo a pieno regime, potrà anche dividersi con lui varie responsabilità offensive, perciò non stupirebbe vederlo scendere dagli attuali 24.9 punti a gara.

Donovan Mitchell (Utah Jazz): che i Jazz potessero puntare su di lui lo si era capito fin dall’inizio della stagione (e ancor prima), ma dietro la sua prima chiamata da All Star c’è la conferma di tanti suoi piccoli miglioramenti nel corso dell’annata. Per lui 24.3 punti di media.

COACH Nick Nurse (Toronto Raptors): in teoria doveva esserci Mike Budenholzer, dei Milwaukee Bucks, ma siccome non è concesso allenare più di due volte consecutive nell’All Star Game allora l’onere passa al coach campione NBA.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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