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Australian Open 2020: Dominic Thiem spaventa i Big Three, ma per ora resta un eterno secondo
Orgoglio e rimpianto sono due termini che di norma tendono a stare ben lontano l’uno dall’altro. Sembra però che quest’inedita sintesi possa ben definire lo stato d’animo di Dominic Thiem a poche ore dal termine degli Australian Open 2020, conclusisi con la sconfitta in finale contro il re di Melbourne Novak Djokovic: l’austriaco ha combattuto alla pari per quattro ore, è sembrato per larghi tratti del match il favorito per la vittoria, ma non è riuscito a trovare il guizzo vincente per assicurarsi il trofeo, restando per ora nel limbo degli eterni secondi.
Partiamo dal bicchiere mezzo pieno. Il ventiseienne nativo di Wiener Neustadt si è reso protagonista di un torneo da applausi, evidenziando i notevoli miglioramenti compiuti sul cemento: finora il massimo risultato raggiunto a Melbourne erano stati gli ottavi di finale (nel 2017 e nel 2018), agli Us Open si era spinto fino ai quarti (sempre nel 2018), ma complessivamente Thiem si era sempre mostrato sofferente lontano dall’amata terra rossa di Parigi. La rassegna appena finita ci restituisce invece un tennista capace di essere estremamente competitivo anche su altre superfici, come testimonia il bel percorso compiuto in queste due settimane: Mannarino, Bolt, Fritz, Monfils, Nadal e Zverev sono caduti inesorabilmente sotto i colpi dell’austriaco, che si è poi arreso soltanto a Sua Maestà Djokovic al termine di una vera e propria battaglia. Thiem nel primo Slam del 2020 ha sfoggiato tutte le proprie armi: grande abilità nel palleggio da fondocampo, capacità di produrre vincenti sia con il dritto che con il rovescio, costanza di rendimento, eccezionali doti atletiche. Insomma, per l’attuale numero 5 del ranking ATP sembrano esserci tutte le premesse per una stagione da protagonista, con l’obiettivo di mettere le mani sul primo Major della carriera.
E passiamo ora al bicchiere mezzo vuoto. Nel quadro assolutamente lusinghiero appena tracciato, manca un elemento che non può essere posto in secondo piano, una dote tipica dei grandi campioni e che Thiem deve ancora sviluppare: il killer instinct, la capacità di rimanere glaciale durante i punti decisivi di un incontro e di sfruttare appieno ogni minima occasione concessa dall’avversario. Questa pecca si era già messa in evidenza nella sfida contro Nadal, durante la quale Thiem, sul 5-4 nel quarto set, aveva avuto la chance di servire per il match e si era improvvisamente irrigidito, permettendo allo spagnolo di rientrare in partita. Se in quella circostanza l’austriaco era riuscito a riprendersi comunque la vittoria, oggi il non aver assestato a Djokovic il colpo del ko si è rivelato fatale. Infatti, c’è stato un’ampia porzione dell’incontro durante la quale Thiem era assoluto padrone del campo, mentre il serbo arrancava, palesando evidenti difficoltà sul piano atletico che lo costringevano a salire spesso a rete e cercare punti veloci. Ad inizio quarto set il copione non si era modificato ed è qui che all’allievo di Nicolas Massu è mancato l’istinto del predatore, non riuscendo a chiudere e, anzi, permettendo all’avversario di stare a galla e risalire la china punto dopo punto. Su questo aspetto Thiem ha bisogno assolutamente di migliorare: deve farlo in fretta, se vuole scrollarsi di dosso la spiacevole etichetta di eterno incompiuto.
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