Festival di Sanremo
Dal cantautore silenzioso Diodato alla diva dell’erotismo fluido Achille Lauro: ecco cosa resterà del Sanremo 2020
Al calar del sipario sull’edizione numero 70 del Festival di Sanremo, si scioglie la patina dorata di Maria De Filippi, la regina sbeffeggiata. E dal rumore popolare per il “sia Diodato il vincitore” si passa all”Ama-non-Ama” refrain.
L’Amadeus bis, visto il successo di share (oltre il 60%) che ci ha riportato al Festival 2002 di Pippo Baudo, sarà sì musicale. L’ex speaker radiofonico, scoperto da Claudio Cecchetto negli anni ’80, è il punto fermo da cui ripartire. Le scelte artistiche e le gaffe irrispettose nei confronti delle donne, con cui aveva mosso i primi passi falsi, lo avevano trasformato in un mostro da abbattere. E invece no! Amadeus ha saputo fare un passo indietro e girare la frittata, all’insegna di un’imprevedibilità televisiva che è stata la chiave di volta per il suo rilancio.
Sanremo 2020 si è trasformato all’improvviso nel Festival contro l’ignoranza misogina e omofoba, contro i relativi strascichi di violenza disumana che tuttora travagliano la nostra vita sociale. E non solo: la cospicua quota “Amici di Maria” si è rivelata non all’altezza della situazione. Unica eccezione: un’Elodie in versione “Andromeda” posseduta da Mahmood. L’unica a meritarsi un posto nella Top 10 finale del Festival.
Protagonisti attivi della festa televisiva gli amici di Amadeus: Fiorello e Tiziano Ferro, che si baciano sulla bocca, e la sempre bellissima Sabrina Salerno. Perfetti nel loro ruolo e fondamentali per la riuscita dello show, così come gli ospiti. Tante donne: da Rula Jebreal a Diletta Leotta. E poi i Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina, Amedeo Minghi e Ornella Vanoni per amplificare il fascino vintage di un Festival che ha guardato ai talenti e non-talenti giovanili e, ahimè, soprattutto maschili. Un Festival che ha tenuto sveglia mezz’Italia fino alle 2 di notte e per cinque giorni con l’unica diva che – non in voce ma in presenza – ha riempito le caselle inspiegabilmente mancanti di Anna Oxa e Mietta, rimescolando le carte in tavola e le sessualità. Achille Lauro e il suo colpo di genio rimarranno tra i pochi momenti cult da ricordare. Così come la disfatta dei rapper alla Junior Cally, che hanno fatto il patto col Diavolo pur di emergere, degli autori da talent mascherati da Marco Masini, come Federica Camba e Daniele Coro, e degli stonati mascherati da “Big” che a Maria (Riki) o a Morgan (Bugo) devono tutto.
Così come il talento viscerale e raffinatamente anti-radiofonico di Tosca e il passo silenzioso di Diodato, che, mattone dopo mattone, ha saputo costruire una carriera a prova di bomba. Sette anni di musica suonata e vissuta, da “Babilonia”, capolavoro che ha stregato perfino Mina nel Sanremo Giovani del 2014, al brano per la colonna sonora de “Le Dea Fortuna” di Ferzan Ozpetek, che darà il titolo al suo prossimo album: “Che vita meravigliosa”.
In una mia vecchia intervista diceva: «Il nemico più grande (della musica, ndr) è la pigrizia. È pensare che debbano arrivare i talent a dirci che musica e chi ascoltare. Sembra non esserci più curiosità. Gli amici sono i club, i festival, i luoghi occupati e i centri sociali che, nonostante le mille difficoltà, continuano a proporre musica di qualità, a fare cultura». La sua vittoria a Sanremo 2020 scioglie la panna al veleno dell’era De Filippi e di quel cantautorato “indie” post-moderno privo di originalità e talento vocale. Con il brano “Rumore” ha abbattuto prima i muri che lo hanno separato dalla sua ex fidanzata, Levante, e ora anche quelli tra lui ed un pubblico nazional-popolare. Elegante, intenso, introspettivo e dall’incarnato pallidissimo. Un “grido” impetuoso e delicato che ha oltrepassato lo schermo delle nostre tv.
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Foto Matteo Rasero/Lapresse