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Becker-Lendl, Semifinale Wimbledon 1989: 5 set di pura magia – VIDEO
Nella storia dei loro 21 confronti, Boris Becker e Ivan Lendl si sono affrontati per tre volte a Wimbledon. Tre incontri tutti carichi di un certo significato, perché valevano tanto per entrambi i grandi protagonisti della fase tennistica a cavallo tra gli Anni ’80 e gli Anni ’90. E in tutte e tre le occasioni Lendl, nato a Ostrava, ma diventato americano dopo aver fatto tutto il percorso dalla green card al passaporto, è andato ogni volta più vicino a raggiungere il tedesco, di 7 anni più giovane, ma nella storia assieme a lui nello stesso periodo.
Erano passati quattro anni dal clamoroso trionfo di Becker, diciassettenne, sul Centre Court più famoso del mondo. Un percorso, il suo, che lo portò a incrociare e battere tantissimi big del tennis di allora (gli svedesi Joakim Nystrom e Anders Jarryd, l’americano Tim Mayotte) e del futuro (il francese Henri Leconte, splendido giocatore d’attacco che ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato), prima di battere il sudafricano (diventato statunitense) Kevin Curren ed imporsi all’attenzione mondiale. Comprendendo il Queen’s, vinse 13 partite di fila sull’erba: un’impresa enorme per uno di 17 anni. Fino al 1989 aveva vinto 21 tornei, due dei quali Slam: Wimbledon, nel citato 1985 e nel 1986, quest’ultimo in finale proprio su Lendl.
Dall’altra parte, Ivan il Terribile di successi ne aveva già mietuti in abbondanza. Dalla prima finale Slam vinta, che poi è anche il più grande rimpianto della carriera di John McEnroe, il Roland Garros 1984, fu difficile da battere per tutti tanto sulla terra quanto sul veloce: tre Open di Francia, tre US Open, cinque Masters, dal 1981 al 1987, e due WCT Finals, che era allora il circuito complementare prima dell’unificazione sotto un’unica associazione del tennis professionistico maschile. Esisteva però un nodo importante per lui: l’erba. A Wimbledon la finale l’aveva raggiunta due volte, ma nel 1986 fu battuto da Becker e nel 1987 da Pat Cash, per quello che fu l’unico trionfo Slam dell’australiano, un personaggio a tutto tondo, figlio del serve&volley e tormentato da tanti infortuni in carriera.
Oltre a quella finale del 1986, Becker e Lendl si erano affrontati anche nel 1988 sui prati più celebri del pianeta, ma in semifinale. Vinse il tedesco in quattro set, prima di arrendersi a Stefan Edberg, che pose la bandiera svedese là dove non poteva arrivare Mats Wilander, dominatore assoluto dell’anno con la conquista degli altri tre Slam. Nel 1989 l’allora ventunenne nato a Leimen aveva vinto due tornei, a Milano e a Philadelphia, mentre il ventinovenne cecoslovacco ne aveva portati a casa non meno di sei, tra cui gli Australian Open, una finale di Miami che non si giocò mai perché l’austriaco Thomas Muster venne investito da un ubriaco e rischiò di farla finita col tennis (come sia poi andata, lo sanno bene gli specialisti del rosso e anche Becker, che però ancora non può immaginarlo) e il primo, storico sull’erba. Accadde al Queen’s, dove sconfisse nell’ultimo atto il sudafricano Christo van Rensburg.
A Wimbledon, in quell’anno, Becker arrivò in semifinale senza nessun problema, vincendo sempre in tre set e ricevendo in regalo ai quarti l’americano Paul Chamberlin, autentica sorpresa, che raccolse solo tre giochi. Diverso fu l’avvicinamento di Lendl, che fu costretto subito al quinto parziale dal venezuelano Nicolas Pereira (vincitore di tre Slam junior su quattro nel 1988, ma poi mai confermato ad alti livelli), e poi andò, seppur senza convincere, fino al penultimo atto. Tra le sue vittime lo svedese Peter Lundgren, diventato poi coach di tre numeri uno (Marcelo Rios, Roger Federer e Marat Safin) e l’americano Dan Goldie, che si permise di battere Jimmy Connors al secondo turno e impegnò in due tie-break il cecoslovacco prima di crollare nel terzo set. Curiosità: Goldie è diventato poi scrittore di successo in ambito finanziario.
L’incontro si giocò di sabato, perché il giorno prima la pioggia aveva iniziato a scendere dopo il match vinto da Edberg contro McEnroe del giorno prima: i due, che entrarono sul Centre Court da numero 1 (Lendl) e 2 (Becker) del mondo, in sostanza sapevano già chi ci sarebbe stato dall’altra parte della rete in finale. Lendl cominciò la partita cercando spesso la rete, un gioco che mai è stato suo, ma che a Wimbledon si doveva utilizzare in quegli anni con grande frequenza per riuscire a sopravvivere. Nel primo set le cose andarono via abbastanza velocemente, primo game lungo a parte, e fino al 5-5 l’equilibrio regnò. L’allora cecoslovacco salì sul 40-15, ma venne fulminato da tre grandi risposte di Becker, una di dritto, una di rovescio tolta dal corpo e una nei piedi vicino alla rete, per poi subire un altro passante incrociato. Il tedesco si portò così sul 7-5.
Come in tante altre occasioni nella sua carriera, Lendl non si scompose, portò Becker al tie-break del secondo set e trovò alcuni dei suoi grandi colpi da fondo che lo hanno reso famoso, oltre a un servizio in grado di avere la giusta profondità per non dare chance all’avversario. Il 7-2 rimise la situazione in parità dopo due ore, e sullo slancio si prese anche il break all’inizio del terzo parziale, con un mix di potenza, fortuna e calo del tedesco. Fu il momento più esaltante della semifinale di Lendl, che s’involò velocemente sul 6-2. Pareva davvero possibile la sua personale impresa, ancor più gustosa perché successiva a un bruciante ottavo di finale del Roland Garros, vinto da quel Michael Chang che gli piazzò il più celebre servizio dal basso di sempre e poi vinse il torneo. Non è l’unica coincidenza parigina, come vedremo.
Vincere sull’erba era (ed è) una cosa, vincere sull’erba contro Becker era ancor di più, ed anche in quel frangente il tedesco d’onor si ricoprì, con un piccolo aiuto dall’alto. Fu la pioggia a interrompere per qualche decina di minuti il match, e quando si tornò in campo l’uomo che aveva eletto il Centre Court a giardino di casa riemerse maggiormente rinfrancato. Sul 15-30 del decimo gioco, con Becker avanti 4-5, Lendl fu disturbato da una chiamata arbitrale molto dubbia sulla prima, una delle tre che negli ultimi due set lo fecero innervosire assai. Su quella scia, commise un doppio fallo, ma riuscì a salvare i due set point successivi e poi un terzo, ma fallì una volée bassa di rovescio sul quarto.
Nel parziale decisivo, sull’1-2, il cecoslovacco finì sotto 0-30 perché una palla da lui vista fuori sulla risposta di Becker fu invece chiamata buona. La protesta di Lendl rimase celebre: “Perché mi dovete fare questo? Ho già abbastanza problemi per conto mio. Questo è incredibile“. Il crollo arrivò in un attimo: errore, doppio fallo, break subito a zero. Non ci volle molto al tedesco per chiudere in quattro ore (effettive) per 6-5 6-7 (2) 2-6 6-4 6-3, guadagnandosi la seconda finale di fila contro Edberg.
Quella fu la seconda di tre occasioni in cui i due si sfidarono nell’ultimo atto dei Championships, tutte consecutive, tra il 1988 e il 1990: una trilogia diventata a suo modo classica per gli appassionati. Quel che c’era di più, allora, riguardava il precedente del Roland Garros, quando lo svedese eliminò il tedesco al quinto set in semifinale, solo per perdere la finale ancora contro Chang. Nessuno dei due avrebbe mai vinto gli Open di Francia. Becker vinse quella finale del 1989, mentre Edberg fece sue le altre due. Il tedesco non poteva sapere, allora, che avrebbe vinto per l’ultima volta lo Slam britannico nel 1989, pur raggiungendo altre tre finali (perse contro il rivale svedese, il connazionale Michael Stich e Pete Sampras). Dall’altra parte, Lendl sarebbe tornato un’altra volta in semifinale sui prati più noti del mondo, perdendo stavolta da Edberg nel 1990 e in tre set, e in quello stesso anno conquistò il suo ultimo Slam, agli Australian Open, prima di imboccare in maniera abbastanza repentina la strada del declino e del ritiro nel 1994. Becker lo avrebbe seguito cinque anni più tardi.
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federico.rossini@oasport.it
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Foto: LaPresse / Olycom