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Formula 1
F1, Piloti immortali: Gilles Villeneuve, dall’amore incondizionato dei ferraristi alla tragedia di Zolder
Si è soliti valutare la grandezza di uno sportivo dal suo palmarès. Le vittorie e il numero di podi sono spesso, per non dire sempre, il parametro di valutazione che distingue chi è campione da chi non lo è. Talvolta, questo “assioma” non vale perché si entra in un universo nel quale non è solo la statistica a venirci in soccorso. Ci sono emozioni, coraggio, voglia di stupire e di superare i propri limiti.
Gilles Villeneuve è stato nel panorama del Motorsport una di quelle anomalie in cui non bastano 6 vittorie, 13 podi e 2 pole-position a rappresentare quanto si fosse visto. Il canadese è entrato ed è rimasto nel cuore dei tifosi della Ferrari e degli appassionati di F1 per il suo modo di essere, il suo stile di guida sfrontato, con quell’insana voglia di trovare il limite della monoposto, provocandone spesse volte la rottura.
Enzo Ferrari si accorse nel 1977 del talento del ragazzo nordamericano e fu amore a prima vista. Il Drake aveva intravisto in quel pilota al volante della McLaren doti particolari. Nei primi tempi però furono più ombre che luci. Villeneuve, incurante dei rischi, era spesso protagonista di incidenti, che gli valsero il soprannome di “aviatore” e critiche feroci da parte della stampa del settore. Ferrari, però, difese il suo pilota proprio perché sapeva di avere a disposizione un racing driver con doti eccezionali, capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo e anche di aiutare i meccanici nel loro lavoro. Grazie al suo modo di guidare, infatti, Villeneuve permetteva ai tecnici di capire meglio il comportamento della monoposto in alcuni casi, evidenziandone i difetti.
Ecco che, gara dopo gara, il pubblico iniziò ad amare questo canadese che di andar piano proprio non ne voleva sapere, in nome di un concetto chiaro: “A me non interessa vincere il Mondiale, a me interessa correre più veloce“. E così, questo pilota tutto coraggio iniziò poco a poco a ritagliarsi uno spazio unico nel firmamento grazie ad alcuni episodi leggendari: il duello nel GP di Francia del 1979 con la Renault di René Arnoux, un confronto serratissimo nel quale i due si toccarono più volte e al termine del quale prevalse Gilles, pur avendo una Ferrari meno prestazionale su quella pista; le vittorie in Canada e a Monaco ai limiti dell’impossibile, sempre tirando fuori quel qualcosa in più che la macchina non aveva. Qualcuno diceva: “Gilles è la dimostrazione di quanto sia importante l’uomo alla guida di una monoposto“.
Tuttavia, Villeneuve era ben conscio che una scuderia come la Ferrari aveva bisogno di risultati concreti. Il suo compagno di team Jody Scheckter nel 1979 aveva vinto il titolo, dando meno spettacolo, ma essendo decisamente più concreto. Ecco che, nel 1982, con la nuova 126C2, vi erano presupposti importanti: la macchina si dimostrò molto competitiva e con il compagno di squadra Didier Pironi il rapporto era buono. Nelle prime tre gare però del campionato il pilota canadese fu costretto al ritiro in due occasioni e squalificato nel GP degli Stati Uniti per un’innovativa ala posteriore a piani sfalsati introdotta dalla scuderia di Maranello. C’era tensione in quella stagione: lo scontro tra FISA (la federazione dello sport automobilistico) e FOCA (l’associazione dei costruttori di Formula 1), da mesi in disaccordo su alcuni punti del regolamento legati al peso minimo ammesso per le vetture da competizione, si acuì e per questo nel GP di San Marino a Imola solo 14 vetture furono al via. Si assistette a uno scontro tra le Ferrari e le Renault, che sorrise alle Rosse, visto che le macchine francesi si ritirarono. Dunque, Villeneuve e Pironi guidavano la corsa. Il muretto espose ai piloti il cartello “Slow“, che prescriveva loro di mantenere le posizioni e abbassare il ritmo, evitando di mettere a repentaglio l’ottenimento della doppietta. Gilles alzò il piede dall’acceleratore, ma non Pironi, che interpretando il cartello espostogli solo come invito a non forzare la macchina, sorpassò il compagno. Il canadese assecondò la manovra, credendo fosse finalizzata a dare spettacolo. Ne venne fuori un duello serrato. Villeneuve però si rese conto che il team-mate non stava giocando all’ultimo giro, con quel sorpasso alla Tosa. Al parco chiuso era su tutte le furie e si presentò alla premiazione sul podio scuro in volto, attaccando pubblicamente Pironi.
Era il preludio all’ultimo atto. Due settimane dopo l’incomprensione di Imola la situazione in casa Ferrari restava tesissima. I due piloti non si erano chiariti: nonostante i tentativi di dialogo di Pironi, da parte di Villeneuve erano proseguite le frecciate e gli attacchi a mezzo stampa. L’8 maggio 1982 alle ore 13:52 sul circuito di Zolder (Belgio) mancavano pochi minuti al termine delle qualifiche per la gara del giorno successivo: Gilles occupava l’ottavo posto in griglia, mentre il compagno di squadra aveva il sesto tempo. Ormai in procinto di rientrare ai box, il pilota canadese affrontò la chicane alle spalle dei box e successivamente la discesa che immette alla Terlamenbocht (la “curva del bosco”). Improvvisamente si trovò davanti la più lenta March condotta dal suo ex team-mate alla McLaren Jochen Mass, il quale lo vide arrivare e si spostò subito a destra, immaginando che l’alfiere del Cavallino Rampante lo superasse a sinistra. Villeneuve invece eseguì la manovra opposta, volendo affrontare la curva all’interno lungo la traiettoria più veloce. La collisione fu inevitabile e tragica: la Ferrari urtò con la ruota anteriore sinistra quella posteriore destra della March, la monoposto numero 27 si staccò dal suolo e volò letteralmente, con il pilota della Rossa sbalzato fuori dall’abitacolo e schiantatosi violentemente contro il paletto di sostegno della rete metallica esterna al circuito. Non ci fu nulla da fare.
Un epilogo amaro e triste, che però proiettò Gilles in una dimensione diversa, quella del mito immortale. Sarà suo figlio Jacques a vincere quel titolo iridato nel 1997 con la Williams, opposto alla Ferrari del tedesco Michael Schumacher. Un modo, chissà, per chiudere il cerchio…
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giandomenico.tiseo@oasport.it
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Foto: LaPresse