Formula 1
F1, Piloti immortali: Jody Scheckter, l’ultimo Mondiale della Ferrari prima di un digiuno di oltre due decenni
Generalmente, la figura di un pilota ha due modi per entrare nell’immaginario collettivo. Vincendo a ripetizione, oppure rendendosi protagonista di imprese strappacuore che trascendono i risultati sportivi. Jody Scheckter non appartiene né all’uno, né all’altro caso. Eppure, con il passare degli anni, il suo nome ha assunto una sorta di alone mistico. Infatti il sudafricano è stato, per oltre due decenni, l’ultimo ad aver vinto un Mondiale con la Ferrari. Intere generazioni di appassionati sono cresciute vedendolo come l’uomo capace di compiere un’impresa diventata, apparentemente, stregata per chiunque.
Jody Scheckter nasce a East London, in Sudafrica, il 29 gennaio 1950. Figlio del titolare di una concessionaria Renault, cresce a pane e motori, dedicandosi alle corse sin da adolescente. Da subito si distingue per un notevole talento, abbinato però a una condotta in pista estremamente irruenta. Durante la sua gavetta nelle formule minori, viene notato dalla McLaren, che nel 1972 gli da’ l’opportunità di esordire occasionalmente in Formula 1 ancora giovanissimo, a soli 22 anni, permettendogli di disputare alcuni Gran Premi anche nell’annata seguente.
Proprio nel corso del 1973, Scheckter dimostra di avere qualità fuori dal comune, ma al tempo stesso il suo aggressivo modo di gareggiare lo rende protagonista di episodi controversi. In Francia si qualifica secondo e prende la testa della gara, ingaggiando un feroce duello con il campione del mondo in carica Emerson Fittipaldi. Quando il brasiliano tenta di sorpassarlo, Jody chiude brutalmente la porta e i due si scontrano, ritirandosi. Il sudamericano, impegnato in un durissimo braccio di ferro con Jackie Stewart per la conquista dell’Iride, va su tutte le furie. Due settimane dopo, a Silverstone, un errore del sudafricano genera un enorme incidente che coinvolge dieci vetture e, di fatto, pone fine alla carriera in Formula 1 di Andrea De Adamich. I danni provocati sono enormi e Scheckter diventa il nemico pubblico numero uno del paddock. I colleghi lo giudicano un pilota pericoloso e spingono la McLaren a dargli una “pausa di riflessione” di qualche mese.
Quando rientra, in Canada, si rende protagonista di un nuovo duello rusticano, stavolta con François Cevert, che alla fine va a sbattere e lo definisce “un pericolo pubblico a cui bisognerebbe impedire di correre”. Un beffardo scherzo del destino fa sì che, pochi giorni dopo, Jody assista in prima persona al tremendo incidente in cui il francese perde la vita sulla pista di Watking Glen. Il sudafricano, che seguiva Cevert, lo vede schiantarsi contro i guard rail e si ferma immediatamente per soccorrerlo, ma constata subito come non ci sia nulla da fare, rimanendo sconvolto dalle orribili condizioni in cui versa il corpo del transalpino. Quest’esperienza induce Scheckter a maturare, rendendolo consapevole dei rischi che si affrontano durante i Gran Premi. Per un altro scherzo del destino, Jody si trova a sostituire proprio il francese sulla Tyrrell. Nei piani di patron Ken, il sudafricano avrebbe dovuto essere la seconda guida, ma la scomparsa dell’erede designato di Stewart, lo promuove sul campo a driver di punta del team.
Lo Scheckter del 1974 è un pilota completamente diverso rispetto a quello dell’anno precedente. Diventato più accorto, modifica il proprio approccio alle corse. È meno incline al rischio, ma decisamente più solido e concreto. Così, si trasforma in un martello e l’acquisita solidità di rendimento, unita a una monoposto competitiva, gli permette di ottenere risultati di peso. Jody diventa un assiduo frequentatore dei quartieri nobili delle classifiche e in Svezia vince il suo primo Gran Premo, bissando poi il successo in Gran Bretagna. Di conseguenza, si trova in piena bagarre per il Mondiale con la McLaren di Fittipaldi e le Ferrari di Regazzoni e Lauda. Tuttavia, tre ritiri per cause meccaniche nelle ultime quattro gare, lo costringono ad accontentarsi del terzo posto finale nella classifica iridata. Comunque sia, è diventato ormai a tutti gli effetti un pilota di vertice.
Il 1975 è però avaro di soddisfazioni, eccezion fatta per la vittoria nel GP di casa a Kyalami, a causa della ridotta competitività del modello 007, che dopo aver fatto così bene l’anno precedente non è più in grado di reggere il confronto con la concorrenza. Così, Derek Gardner, capo progettista del team, inizia a concepire la rivoluzionaria P34 a sei ruote. Il sudafricano non si trova a suo agio con questa singolare vettura, ritenendo che i benefici della filosofia costruttiva siano inferiori agli handicap da essa generati. Da sempre schietto, non lesina di esternare con patron Ken tutto il suo disagio. Ciononostante riesce a vincere una gara, in Svezia, e a ottenere diversi podi che gli permettono di chiudere nuovamente il campionato al terzo posto. L’esperienza in Tyrrell, però, si conclude qui.
Per il 1977 Scheckter si accorda a sorpresa con la Wolf, neonata scuderia nata su impulso del magnate canadese Walter Wolf. Molti pensano che la decisione sia figlia esclusivamente dell’ingaggio faraonico propostogli e che, a dispetto del lauto stipendio, sarà costretto a vivere un’annata da comparsa. Invece, la monoposto progettata dal giovane Harvey Postlethwaite si rivela valida. L’inizio di stagione è strabiliante, poiché Jody porta il nuovo team alla vittoria proprio nel Gran Premio d’esordio, un evento in precedenza verificatosi solo con la Mercedes nel 1954! A un ritiro per la rottura del motore, seguono tre podi e un secondo successo, ottenuto a Montecarlo. Dopo sei gare, il sudafricano è clamorosamente in testa alla classifica iridata! Il sogno di laurearsi Campione del mondo, però, svanisce durante l’estate. Tra qualche errore e tanti problemi tecnici, Scheckter vede il traguardo solamente due volte nei successivi otto Gran Premi. Niki Lauda e la ben più affidabile Ferrari prendono il largo, andando a conquistare a mani basse il Mondiale. Jody, che in Canada ottiene la terza vittoria stagionale, conclude comunque il campionato in seconda posizione.
Le aspettative per il 1978 sono altissime, ma l’annata si rivela un fiasco. La nuova monoposto sposa la filosofia costruttiva delle wing-car a effetto suolo, rivelandosi però decisamente meno efficace della stratosferica Lotus 79. La stagione è un calvario, fatto di tanti ritiri e soprattutto di un rapporto sempre più burrascoso con Walter Wolf. La “bomba” estiva, quindi, sorprende fino a un certo punto. Il sudafricano lascia la squadra canadese e firma con la Ferrari, dove andrà a sostituire Carlos Reutemann.
Le premesse per il 1979 sono esplosive. La stampa italiana prevede scintille e una forte rivalità con Gilles Villeneuve, visto il carattere forte di entrambi i piloti. Invece, i due si scoprono complementari e diventano ottimi amici. Uno splendido rapporto umano che trascenderà l’aspetto sportivo, come dimostrato anche dall’evoluzione dell’annata, che inizia con le sfuriate della Ligier nei Gran Premi sudamericani. La Ferrari, però, realizza due doppiette consecutive a Kyalami e Long Beach, in entrambi i casi con Villeneuve primo e Scheckter secondo. Gilles è più veloce, ma Jody più concreto. Infatti, dopo aver concluso quarto in Spagna, il sudafricano si impone sia in Belgio che a Montecarlo, prendendo la testa del Mondiale. Il canadese, invece, in queste tre gare non entra mai tra i primi sei. In Francia il quebecchese si prende le luci della ribalta rendendosi protagonista del duello strappacuore con Arnoux, ma il suo rendimento è incostante. Invece Scheckter, zitto zitto, macina punti a furia di piazzamenti. Per la verità, i due sono entrambi ancora pienamente in corsa per il titolo, ma l’episodio decisivo dell’annata avviene in Olanda. È la famosa gara in cui Gilles esce di pista quando è in testa e, nonostante abbia una sospensione completamente distrutta, tenta disperatamente di proseguire su tre ruote. Jody, invece, è più concreto e conclude secondo, prendendo il largo nella classifica iridata. La certezza matematica del Mondiale arriva nel successivo Gran Premio d’Italia, anche grazie alla diligente condotta del canadese, che mette da parte l’ambizione personale e si attiene agli ordini del team, correndo da scudiero e lasciando la vittoria al compagno di squadra, rinunciando a ogni possibilità di riaprire la contesa per l’Iride. Scheckter è, così, Campione del Mondo e finalmente consacrato.
La conquista del Mondiale 1979 e la disastrosa competitività della 312T5, spingono il sudafricano a una profonda riflessione. Provare a fare collezione di titoli non gli interessa. Rendendosi conto di aver raggiunto il punto più alto che possa essere toccato da un pilota e di non avere più nulla da chiedere, nel corso del 1980 decide di ritirarsi dalla Formula 1 a soli 30 anni. Precocemente, così come è stata precoce tutta la sua carriera. A differenza di molti altri colleghi, non proseguirà la sua attività agonistica. Il ragazzo cresciuto a pane e motori dice definitivamente basta con il mondo delle corse.
La sua amicizia con Villeneuve, però, resiste. L’8 maggio del 1982 è proprio Scheckter ad avvisare telefonicamente Joanna, la moglie di Gilles, del gravissimo incidente capitato al marito. Ed è proprio lui a prendersi cura dei figli della coppia, Jacques e Mélanie, mentre Joanna vola in Belgio al capezzale del coniuge, ormai morente.
Il sudafricano, pur abbandonando definitivamente la Formula 1, vi rimane paradossalmente legato suo malgrado sino al XXI secolo, proprio perché per 21 anni nessuno riesce a laurearsi campione del mondo a bordo della Ferrari. Soprattutto negli anni ’90 il suo successo del 1979 assume quindi un’aura mitologica, quasi fosse riuscito in un’impresa ormai impossibile da compiere. Almeno, fino a quando Michael Schumacher, al quinto anno in rosso, è in grado di rinnovare la gloriosa tradizione del Cavallino Rampante.
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Foto: Valdore, Wikipedia