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F1, Piloti immortali: Nigel Mansell, il “mansueto” che seppe diventare “leone”

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Nigel Mansell non è stato il miglior pilota della sua epoca. Difficile esserlo se si è condivisa la pista con avversari del calibro di Ayrton Senna, Alain Prost e Nelson Piquet. Eppure, nonostante venisse definito “troppo irruente”, “incapace di leggere la corsa” e “privo di cultura tecnica”, il britannico è entrato di diritto nell’empireo dei grandi della Formula 1. La sua irriducibilità, la capacità di realizzare imprese apparentemente impossibili, arrivando a sopravanzare persino l’evidenza dei fatti, hanno scaldato il cuore degli appassionati a ogni latitudine.

Nigel Mansell viene al mondo l’8 agosto 1953 e cresce nei pressi di Birmingham. Decide di intraprendere la carriera motoristica già durante la sua infanzia, quando rimane affascinato dal vedere Jim Clark vincere il Gran Premio di Gran Bretagna 1962. Gli inizi non sono semplici, soprattutto perché deve confrontarsi con la disapprovazione del padre e con una cronica mancanza di fondi, che lo porta a indebitarsi per proseguire la propria attività agonistica, la quale comunque gli garantisce un discreto successo. D’altronde nel 1977 vince il campionato britannico di Formula Ford a dispetto di un gravissimo incidente, a causa del quale rischia letteralmente di rompersi l’osso del collo.

Nel 1978 effettua il passaggio in Formula 3 e, durante questa esperienza, viene notato dal patron della Lotus Colin Chapman, che nel 1979 lo convoca assieme a svariati altri piloti per effettuare un test collettivo dal quale uscirà il sostituto di Carlos Reutemann, in partenza verso la Williams. Mansell, nonostante fosse reduce da un altro brutto incidente, dimostra notevoli doti velocistiche. Alfine Chapman sceglie Elio De Angelis come successore dell’argentino, tuttavia resta favorevolmente impressionato anche da Nigel, offrendogli un contratto come collaudatore. Nel corso del 1980 il britannico ha così l’opportunità di esordire in Formula 1, disputando tre gare con una terza Lotus. Non lascia il segno, ma gode comunque della piena fiducia del suo team principal che, a fine stagione, decide di promuoverlo a titolare in sostituzione di Mario Andretti, trasferitosi all’Alfa Romeo.

Il 1981 e il 1982 sono due stagioni molto simili. La Lotus fatica a tenere il passo di altre squadre e il rivoluzionario progetto 88 a doppio telaio, che avrebbe dovuto risollevare le sorti del team, oltre a essere dichiarato fuori legge, si rivela un autentico disastro. Dunque Mansell ottiene poche soddisfazioni, le più rilevanti sono un paio di terzi posti, ma soprattutto viene costantemente sovrastato nelle prestazioni dal compagno di squadra De Angelis. Ciononostante, Colin Chapman ha grande stima di Nigel e, oltre a garantirgli un trattamento di parità rispetto all’italiano, gli prolunga il contratto per altri due anni.

Il fondatore della Lotus muore, però, improvvisamente nel dicembre 1982. La sua scomparsa colpisce profondamente Mansell, per il quale la situazione peraltro cambia radicalmente in peggio. Il team viene preso in mano da Peter Warr, che invece non ha nessuna considerazione del britannico, ma si vede costretto a tenerlo in squadra proprio in virtù degli accordi pregressi. L’inglese si ritrova declassato a seconda guida, tanto che nel 1983 deve affrontare la prima metà di stagione utilizzando ancora un vecchio motore Cosworth aspirato, mentre De Angelis ha da subito a disposizione il propulsore Renault turbo. L’anno si chiude sulla falsariga dei precedenti, con un terzo posto e qualche altro piazzamento a punti.

Nel 1984 Nigel inizia a evidenziare una crescita. Chiude terzo in Francia. Poi, sotto il diluvio di Montecarlo, nel giorno in cui Ayrton Senna si rivela al mondo, prende il comando della gara, andando però a sbattere contro le barriere. Nell’inferno di Dallas realizza la prima pole position della carriera. La gara è un altro paio di maniche e non riesce a tenere il ritmo dei migliori. Proprio all’ultima curva urta un muretto e il suo cambio, già in sofferenza, si rompe. Mansell, allora, scende dalla sua monoposto e si mette a spingerla disperatamente per tagliare il traguardo allo scopo di salvare il piazzamento in zona punti. Sfiancato dallo sforzo e dal GP disputato in una tremenda canicola, si accascia a terra e perde i sensi. L’episodio lo fa entrare nel cuore degli appassionati, ma non in quello di Peter Warr, che sta già lavorando per silurarlo e sostituirlo con Senna.

Il britannico scopre così di doversi cercare un altro volante per la stagione ventura, ma le opzioni appaiono limitate. Inizialmente l’unica offerta sul piatto è quella dell’Arrows, ma nel corso dell’estate arriva la chiamata della Williams. Il team, all’epoca basato a Didcot, sta cercando un sostituto per Jacques Laffitte. L’idea di patron Frank è quella di ingaggiare Derek Warwick, il quale però declina la proposta preferendo restare alla Renault. D’altronde in quel momento la Williams è sì un team blasonato, ma in grossa difficoltà tecnica, poiché il motore turbo Honda necessita ancora di essere sviluppato. Mansell, dunque, trasloca e conclude la sua esperienza in Lotus con la fama di “mansueto”, poiché spesso e volentieri viene battuto dal proprio compagno di squadra. Il suo palmares parla di cinque terzi posti e una pole position in quattro stagioni. Peter Warr, ben felice di liberarsi di quello che considerava un peso, commenta acidamente: “Non vincerà mai un Gran Premio fino a quando io avrò un buco nel mio c..o!”.

Inizialmente la dimensione di Mansell alla Williams rimane più o meno la stessa di quella avuta in Lotus, poiché viene sovente sovrastato nelle prestazioni dal compagno di squadra, il battagliero Keke Rosberg. In Francia Nigel stabilisce involontariamente un record, ovvero sopravvivere a quello che sino a quel momento è l’incidente più violento nella storia della Formula 1. Infatti il dechappamento di uno pneumatico lo manda a sbattere a 322 km/h! Ne esce con una commozione cerebrale, che però non gli impedisce di proseguire la sua stagione, al termine della quale arriva il proverbiale salto di qualità. A Spa-Francorchamps, in condizioni difficilissime, si rende protagonista di un entusiasmante duello con Rosberg, riuscendo alfine ad avere la meglio e a chiudere in seconda posizione. È il prodromo di quanto accadrà due settimane dopo a Brands Hatch, dove il britannico ottiene finalmente la prima vittoria della carriera alla sua settantaduesima partenza (mai, prima d’allora, un pilota aveva dovuto aspettare tanto prima di conquistare un Gran Premio). Il successo viene bissato a Kyalami ed è ormai evidente come l’inglese abbia performance comparabili a quelle di Rosberg, che però è prossimo a lasciare la Williams per trasferirsi alla McLaren.

Infatti nel 1986 Nigel avrà un nuovo compagno di squadra, l’ingombrante Nelson Piquet, che ha deciso di lasciare una Brabham ormai in declino. Nel momento di firmare il contratto, durante l’estate del 1985, il brasiliano, già due volte campione del mondo, ottiene da Frank Williams la garanzia di essere trattato da prima guida. Però, nel marzo del 1986, patron Frank è vittima del gravissimo incidente automobilistico che lo lascia paralizzato. La direzione del team viene temporaneamente presa da Patrick Head, il quale invece decide di non stabilire gerarchie interne alla squadra. La crescita avuta da Mansell nell’autunno precedente lo ha colpito, tanto da dimostrarsi più vicino al britannico che al carioca, poiché l’ingegnere segue personalmente lo sviluppo della vettura dell’inglese.

Finalmente maturo, seguito a dovere da un tecnico di primissimo piano e dotato di una vettura oltremodo competitiva, Mansell può mettere in campo tutto il suo potenziale. La stagione non inizia benissimo, poiché nei primi quattro Gran Premi raccoglie solamente un secondo e un quarto posto. Però, tra la fine di maggio e l’inizio di luglio, si porta a casa la bellezza di quattro vittorie in cinque gare, la più bella delle quali arriva a Brands Hatch, al termine di un duello all’arma bianca proprio con il compagno di squadra. Il successo gli permette di guadagnare, per la prima volta in carriera, la testa del Mondiale con 4 punti di vantaggio su Prost e ben 18 su Piquet. Al tempo stesso, però, segna l’inizio della guerra con il brasiliano, che dopo la bandiera a scacchi attacca a mezzo stampa sia l’inglese che la gestione del team. Patrick Head non gradisce, anche perché quattro dei cinque successi stagionali della squadra sono stati firmati proprio da Nigel, che ormai in Gran Bretagna è diventato un idolo. Il suo numero 5 colorato di rosso gli vale il nomignolo di “Red Five”, coniato dal popolarissimo telecronista Murray Walker, che diventa il cantore privilegiato delle sue imprese. Nel Regno Unito, finalmente, si sogna di tornare a conquistare il Mondiale dieci anni dopo il successo di James Hunt.

Intanto nel Circus si sparge la voce che Mansell abbia firmato con la Ferrari. Non proprio una mossa sagace, visto che la Williams è sul tetto del mondo, mentre il team di Maranello è in piena crisi tecnica. In realtà, il britannico sta usando la trattativa con il Cavallino Rampante per ottenere condizioni contrattuali migliori in Williams. Ci riesce, ma la vicenda gli toglie serenità e nei successivi due Gran Premi viene annichilito da Piquet, dovendosi accontentare di due terzi posti. Nel frattempo, nella corsa al titolo, il sornione Prost è sempre in agguato. Dopo un ritiro e il secondo posto di Monza, Nigel torna al successo in Portogallo, dove sembra aver ipotecato il Mondiale. D’altronde, a due gare dal termine, ha 10 punti di vantaggio sull’odiato compagno di squadra e 11 sul francese. In Messico, però, Mansell viene colpito dalla cosiddetta “Vendetta di Montezuma”, ovvero una violenta dissenteria, di cui peraltro Prost si fa beffe nel briefing pre-gara, chiedendo al direttore di corsa di sventolare una fittizia “bandiera marrone” nel caso il britannico avesse avuto problemi durante il Gran Premio. Nigel corre debilitato e non va oltre il quinto posto, risultato inutile tenendo in considerazione il gioco degli scarti.

Si arriva, dunque, al conclusivo Gran Premio d’Australia con tre piloti ancora in corsa per il titolo. Mansell ha, in ogni caso, il proprio destino nelle sue mani. Gli è sufficiente concludere terzo per laurearsi Campione del Mondo. Sul tracciato di Adelaide Nigel corre, per una volta, con la testa. Gestisce la situazione e tiene l’iride in pugno. Però, al sessantatreesimo degli ottantadue giri in programma, il battistrada Rosberg si ferma con uno pneumatico lacerato. È il segnale che i tecnici della Goodyear si sono sbagliati, le gomme non possono reggere la distanza dell’intera gara come preventivato inizialmente. Al box della Williams si inizia a discutere sul da farsi, ma è troppo tardi. Negli stessi momenti, lo pneumatico posteriore sinistro di Mansell esplode in piena velocità. Il britannico riesce miracolosamente a controllare la vettura che viaggia a 300 km/h e genera scintille da tutte le parti, evitando di andare a sbattere, ma è costretto al ritiro e il suo sogno di vincere il Mondiale si infrange irreparabilmente. Quantomeno, il 1986 ha definitivamente cambiato la sua dimensione, trasformandolo a tutti gli effetti in un pilota di vertice, capace di confrontarsi ad armi pari con i big del Circus.

Il 1987 comincia con le migliori premesse. La Williams, spinta dal poderoso turbo Honda, è ormai imprendibile per chiunque. Mansell, dotato di una vettura nettamente superiore alla concorrenza, ha quindi Piquet come unico avversario per il titolo. Il brasiliano, peraltro, a Imola è vittima di un violentissimo incidente, a causa del quale soffrirà a lungo di insonnia ed emicranie, vedendosi costantemente sovrastato nelle prestazioni dal compagno di squadra. Eppure, nonostante sia indiscutibilmente il pilota più veloce del 1987, il britannico vede nuovamente il Mondiale sfuggirgli di mano. D’altronde, se una Williams ha un problema meccanico, è quasi sempre la sua! Nigel vince il doppio delle gare rispetto a Piquet (6 contro 3). Però è il carioca (decisamente più scaltro, calcolatore e fortunato) a laurearsi Campione del Mondo, grazie a una lunga serie di piazzamenti. Per di più a Suzuka, durante le qualificazioni, l’inglese è vittima dell’ennesimo grave incidente della sua carriera.

La perla della stagione è rappresentata dal Gran Premio di Gran Bretagna, dove Mansell ingaggia una lotta furibonda con il compagno di squadra. A metà gara, il britannico decide di rientrare ai box per cambiare gli pneumatici. Al contrario Piquet opta per restare in pista e andare sino al traguardo con lo stesso set di gomme. Nigel si trova a mezzo minuto da Nelson, ma non si da’ per vinto e inizia una rimonta clamorosa, che lo porta a sorpassare il brasiliano nei giri finali. Subito dopo essere passato sotto la bandiera a scacchi, il suo motore rende l’anima. La vettura, ormai ferma, viene circondata da centinaia di tifosi che invadono la pista. Si scoprirà che, per vincere la gara di casa, Mansell ha percorso gli ultimi sei giri con la sovralimentazione in modalità qualifica allo scopo di avere 100 cavalli in più, rischiando così di distruggere il propulsore e rimanere senza carburante! Questa mossa azzardata è la goccia che fa traboccare il vaso del già traballante rapporto tra la Williams e la Honda. I giapponesi, che preferiscono Piquet e non hanno digerito la perdita del titolo in favore di Prost in seguito alla lotta fratricida dell’anno prima, non sopportano l’idea di vedere delle comode doppiette messe a rischio da una nuova guerra intestina. Pertanto, ritenendo il management della Williams inadeguato, decidono di cedere alle lusinghe di Ron Dennis e della McLaren, peraltro prossima all’ingaggio del loro pupillo Ayrton Senna.  A fine anno, Piquet rimane nella famiglia Honda, spostandosi alla Lotus, mentre la Williams, rimasta senza motore, si ritrova costretta a usare il poco competitivo propulsore Judd.

Nonostante le premesse per il 1988 sia tutt’altro che incoraggianti, Mansell rimane nel team per amicizia e riconoscenza verso Frank Williams e Patrick Head. La stagione sarà tuttavia avara di soddisfazioni, con due secondi posti come unici risultati di rilievo. Inoltre, il flirt con la Ferrari, stavolta si risolve in un matrimonio. Nigel decide, infatti, di trasferirsi a Maranello. La morte di Enzo Ferrari ne fa l’ultimo pilota scelto personalmente dal Drake. “Un onore che porterò sempre con me” dichiarerà il britannico.

Dunque, nel 1989, l’inglese si veste di rosso. La Ferrari schiera l’innovativa 640, dotata del rivoluzionario cambio semiautomatico progettato da John Barnard. Una soluzione all’epoca inedita, che sarà però adottata da tutti gli altri team nel giro di pochi anni. Proprio la fragilità di questa componente sarà la causa di una caterva di ritiri. Tuttavia, la vettura si rivela competitiva e, quando regge sino al traguardo, persino in grado di infastidire le McLaren. Mansell non può lottare per il titolo, ma conquista due vittorie, entrambe a loro modo epiche. La prima, in Brasile, nella gara d’apertura del Mondiale, è completamente inaspettata proprio in virtù dei mille problemi di affidabilità che affliggono la Rossa. La seconda, in Ungheria, è strappacuore perché, sul tortuoso catino magiaro, Nigel riesce a rimontare dalla dodicesima posizione, firmando peraltro un sorpasso epico ai danni di Senna durante il doppiaggio della Onyx di Johansson. Le affermazioni avrebbero potuto essere tre, ma in Portogallo, dove è in testa, manca clamorosamente la piazzola dei box (secondo l’allora team manager Cesare Fiorio a causa della malizia dei meccanici McLaren, che fanno in modo di ostruirgli la visuale). L’inglese innesta allora la retromarcia in pit-lane, mossa vietatissima che gli costa la bandiera nera. Mansell, furente per l’errore e impegnato in una poderosa rimonta, la ignora (o non se ne accorge, come sosterrà) e prosegue sino a quando non entra in collisione con Senna durante un avventato tentativo di sorpasso, costringendo entrambi al ritiro. L’accaduto gli costa un Gran Premio di squalifica.

La sua grinta e la sua irriducibilità gli valgono il soprannome di “Leone” tra i tifosi ferraristi. Un leone che però, nel 1990, dovrà fare i conti con un compagno di squadra ben più scomodo dell’incostante Gerhard Berger. La Ferrari, infatti, ingaggia anche Alain Prost, transfuga da una McLaren ormai Senna-centrica. Il rapporto tra il britannico e il francese è inizialmente buono, ma ben presto Nigel si rende conto come la sensibilità tecnica, la furbizia e l’abilità politica del “Professore”, lo mettano ai margini di una scuderia che inizia a ruotare attorno al transalpino. Mansell, sopraffatto psicologicamente dalla situazione, soffre tremendamente e il suo rendimento ne risente in negativo. I risultati sono scarsi nonostante la 641, logica evoluzione della 640, sia una vettura ottima. A Silverstone, frustrato per i problemi meccanici che lo costringono a rinunciare alla vittoria di fronte al suo pubblico, annuncia il ritiro dalle competizioni. In realtà, ben presto iniziano le trattative per tornare alla Williams. Nel frattempo la stagione 1990 si va a concludere senza grosse soddisfazioni e anche l’unica vittoria dell’anno, in Portogallo, è “sporcata” dalle polemiche. L’inglese, infatti, in partenza stringe Prost contro il muretto dei box, costringendolo ad alzare il piede e a perdere ogni chance di successo. Il francese, che lascia sul piatto punti preziosissimi nella sfida iridata con Senna, la prende male. Mansell si giustifica affermando di essere rimasto sorpreso dalla risposta della nuova frizione, testata prima del Gran Premio solo dal Professore.

L’esperienza in Ferrari si chiude, ma il britannico non si ritira, anzi. Nel 1991 torna alla Williams, stavolta motorizzata Renault, e con lo status di prima guida indiscussa, cosa che inizialmente non sarà particolarmente gradita dal compagno di squadra Riccardo Patrese. L’annata, però, ricorda molto da vicino il 1987. Dopo qualche problema di gioventù a inizio anno, dovuto soprattutto al nuovissimo cambio semiautomatico, la FW14 diventa la vettura da battere. Nigel erode il distacco accumulato da Senna nelle prime gare e, in estate, appare il favorito per la conquista del titolo. Cionondimeno, qualche episodio sfortunato e la classe di Ayrton, permettono al brasiliano di festeggiare il suo terzo iride. L’inglese rimane, invece, nuovamente con un pugno di mosche. Ormai ha 38 anni, ha vinto la bellezza di 21 Gran Premi, ma non si è mai laureato campione del mondo.

L’eterno incompiuto, però, si realizza finalmente nel 1992. La Williams FW14B, risolti i problemi di affidabilità al cambio semiautomatico e dotata sospensioni attive, è un’autentica arma letale. La McLaren ha perso la supremazia tecnica e ormai il V10 Renault ha sopravanzato nelle prestazioni il motore Honda. La Ferrari è in crisi nera e l’ambiziosa Benetton è ancora troppo acerba. Insomma, Mansell ha per le mani una monoposto dotata di una superiorità schiacciante e un compagno di squadra che sa di dovergli fare da scudiero. L’occasione non può essere sprecata e infatti il britannico la sfrutta a dovere, polverizzando ogni record esistente all’epoca. Di 16 Gran Premi, ne vince 9 e fa segnare 14 pole position, conquistando il Mondiale con ben cinque gare d’anticipo. È l’apoteosi per lui e per il motor sport britannico, che torna ad avere un Campione del Mondo sedici anni dopo James Hunt.

Paradossalmente, nonostante un anno da dominatore, Nigel si trova tagliato fuori dalla Williams! Già a inizio stagione, il team di Didcot ha segretamente messo sotto contratto per le stagioni a venire nientemeno che Alain Prost, rimasto a piedi dopo il burrascoso addio alla Ferrari. La prospettiva di dover condividere nuovamente il team con il Professore dopo l’esperienza negativa a Maranello e il fatto di non poter avanzare alcuna pretesa economica perché, nel frattempo, Senna è arrivato a offrirsi gratuitamente a Frank Williams pur di avere per le mani una FW15, spingono il britannico a dire basta con la Formula 1 e ad andarsene da Campione del Mondo.

Nigel si trasferisce negli Stati Uniti, dove dimostra di essere un talento vero, vincendo il campionato IndyCar 1993 da rookie! La sua carriera in Formula 1, però, vive un ritorno di fiamma. Nel 1994, ancora impegnato nelle corse americane, torna part-time sulla Williams dopo la morte di Senna, prendendosi la soddisfazione di vincere il Gran Premio d’Australia e risultando determinante nella conquista del Mondiale costruttori da parte del team di Didcot.

A dispetto dei 41 anni, Mansell sogna un contratto a tempo pieno per il 1995, ma Frank Williams e Patrick Head preferiscono puntare sul ventitreenne David Coulthard. Non ancora domo, pur di continuare a gareggiare, si accorda con l’odiato Ron Dennis e si trasferisce alla McLaren. L’esperienza con la squadra di Woking è, però, fallimentare. Costretto a saltare le prime due gare della nuova stagione perché l’abitacolo è troppo stretto, il britannico scende in pista a Imola e a Barcellona, constatando come la MP4/10 sia un disastro. È il triplice fischio. Piuttosto che fare da comparsa, rinuncia al ricco contratto e si ritira definitivamente dalla Formula 1.

Al di là dei numeri e delle statistiche, Nigel Mansell è entrato nell’immaginario collettivo per il suo spirito indomito e per il fatto di essere stato uno degli ultimi, veri, “Cavalieri del rischio”. Non ha avuto la cultura tecnica di Senna, la capacità di leggere la corsa di Prost o l’astuzia di Piquet. Però ha saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo, sempre e comunque, come nessun altro. D’altronde, il miglior modo per sintetizzare la grandezza di Nigel, è la definizione che diede di lui proprio Ayrton Senna: “Mansell è l’unico pilota che, se ti attacca, ti compare contemporaneamente in entrambi gli specchietti retrovisori”.

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paone_francesco[at]yahoo.it

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Foto: Wikipedia, open source

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