Ciclismo
L’Italia è grande: Antonella Bellutti e la magica accoppiata d’oro di Atlanta e Sydney. L’elogio della polivalenza
Se c’è un atleta italiana della storia dello sport di alto livello a cui si può assegnare la qualità della polivalenza, quella è Antonella Bellutti. Nata a Bolzano ma soprattutto nata per fare sport: qualsiasi disciplina abbia affrontato nella sua storia di atleta, l’ha vista grande protagonista ma è nel ciclismo su pista che si è presa le più grandi soddisfazioni della carriera, l’altoatesina che ha saputo vincere due medaglie d’oro in due edizioni consecutive dei Giochi ma in due discipline diverse, la gara ad inseguimento ad Atlanta 1996 e la corsa a punti a Sydney 2000. Non contenta, ha affrontato anche l’avventura delle Olimpiadi invernali, condividendo l’esperienza del Bob con un’altra altoatesina gloriosa come Gerda Weissensteiner, chiudendo la gara di Salt Lake City 2002 al settimo posto.
Eppure l’inizio della storia sportiva di cui sopra non riguarda nessuna di queste discipline, bensì l’atletica leggera: Antonella Bellutti inizia la sua storia sportiva tra un canestro (la sorella Luigina giocava a basket) ma soprattutto il tartan della pista di atletica di Bolzano dove il suo tecnico, Andrea Vantini, ne nota subito le qualità fisiche e tecniche e la instrada alla specialità dei 100 ostacoli, senza però tarpare le ali ad una potenziale “polivalente” e dunque anche all’eptathlon. La Bellutti è sette volte campionessa italiana giovanile nei 100 ostacoli, sembra lanciatissima verso una grande carriera, le piacerebbe provare anche sui 400 ostacoli ma un problema fisico alla gamba destra la blocca. Perde sensibilità dal ginocchio in giù e non può più gareggiare.
Per tenersi in forma, lei che non sa mai stare ferma, inforca la bicicletta e qualcuno di una società ciclistica locale nota quel “missile” che sfreccia per le strade della provincia. Il male alla gamba sparisce ma non la passione per la bici che diventa qualcosa di più quando nel 1992 Antonella Bellutti viene convocata al Mondiale 1992 su strada a Benidorm in Spagna dove contribuisce al quarto posto del quartetto dell’inseguimento a squadre. E’ già diplomata Isef, ha una cattedra e preferisce il lavoro agli stage e alla Nazionale ma nel 1994 il ct della pista De Donà le chiede di prepararsi per i Mondiali su pista di Agrigento. La Bellutti accetta e conquista un incoraggiante quarto posto nell’inseguimento al primo colpo. Un anno dopo sarà argento a Bogotà: la volata per le Olimpiadi di Atlanta è lanciata.
Il 1996 inizia nel modo più giusto possibile per la altoatesina che il 6 aprile realizza il nuovo record del mondo sui 3 km con 3’31″924 che la rende atleta da battere ai Giochi Olimpici statunitensi. L’azzurra non tradisce le attese, supera i due turni preliminari con il doppio record olimpico: 3’34″330 e 3’32″371 e vola in finale compiendo già una impresa storia perchè mai nessuna italiana fino ad allora era salita sul podio olimpico nella pista. In finale Antonella Bellutti affronta la francese Marion Clignet e in partenza mette subito le cose in chiaro l’azzurra: rifilando oltre un secondo alla francese nel primo giro. Al primo chilometro la Clignet prova la rimonta ma Antonella Bellutti non si scompone e, avanti di otto decimi, inizia una progressione irresistibile: al secondo chilometro è in vantaggio di due secondi e mezzo e nel finale raddoppia il gap andando a conquistare la prima medaglia (d’oro) olimpica per il ciclismo femminile su pista e completando una giornata memorabile per le due ruote azzurre, illuminata poco prima dall’oro di Silvio Martinello nella corsa a punti.
La corsa a punti che diventerà la seconda “casa sportiva” di una Polivalente con la P maiuscola come Antonella Bellutti che vuole a tutti i costi il bis a Cinque Cerchi quattro anni dopo a Sydney. La prima gara in programma è proprio l’inseguimento individuale ma l’altoatesina non è programmata per ripetersi e difendere il titolo di Atlanta ed esce di scena già ai quarti chiudendo con il quinto posto. Il terreno di caccia di Antonella Bellutti diventa la corsa a punti, gara convulsa e che presuppone esperienza e saldezza di nervi, tutte qualità che la campionessa azzurra, che ha già annunciato il ritiro dalle gare dopo Sydney, possiede e può gettare in pista in quella che sa già essere la sua ultima competizione in carriera.
Dopo tre sprint la russa Slyusaryeva è in testa con 10 punti davanti a Bellutti (9). La olandese Zijlaard (Van Morsel) vince i due successivi sprint e a metà gara la classifica recita: Slyusaryeva 11, Zijlaard, Arndt 10, Bellutti 9. Il sesto e settimo sprint vanno alla francese Clignet, battuta da Antonella Bellutti nella finale dell’inseguimento quattro anni prima. Dopo l’ottavo sprint, quando ne mancano solo due alla fine, Antonella Bellutti balza al comando con 12 punti a pari di Arndt e Zijlaard ma la svolta arriva al penultimo sprint con l’azzurra che si impone sulla russa Slyusaryeva e vola a quota 17 punti contro i 15 della diretta rivale. Antonella Bellutti si mette sulle code dell’olandese Zijlaard che ritiene la più pericolosa e si accontenta del quarto posto nell’ultimo sprint che la spinge verso il secondo, leggendario oro olimpico della carriera: 19 punti contro i 16 della Zijlaard e i 15 della Slyusaryeva che, sfinita, non partecipa all’ultimo sprint.
Antonella Bellutti, pochi giorni dopo, verrà inserita in un pezzo del Corriere della sera nella lista di atleti italiani presenti (e vincenti) il cui Gh, l’ormone della crescita, presentava delle anomalie. Un’onta che l’atleta altoatesina non cancella dalla sua mente e che sarà fonte di depressione e addirittura, è lei stessa a svelarlo, anche istinti suicidi. La campionessa, però, si rimette in moto e accetta l’ultima sfida sportiva della sua carriera: il Bob a due con Gerda Weissensteiner alle Olimpiadi di Salt Lake City.
Il cerchio della polivalenza è chiuso, Antonella Bellutti abbandona lo sport di alto livello e si dedica, con la compagna di vita Viviana Maffei, scialpinista e freerider, ad una nuova attività: la gestione di un Bed&Breakfast vegano nella casa dei nonni ristrutturata a Andogno (S. Lorenzo Dorsino), piccolissima frazione del Parco Adamello Brenta chiamato “Locanda Itinerande” e, per non smentire la sua polivalenza, nel 2017 fa uscire un libro: “La vita è come andare in bicicletta”.
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