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L’Italia è grande: Anversa 1920, la doppia marcia d’oro di Ugo Frigerio

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Il suo volto è sorridente in fotografie e qualche filmato in bianco e nero, un’immagine candida del Regno d’Italia che tra le due guerre mondiali regalava soddisfazioni ed emozioni a tutti i connazionali, un uomo che era solito tagliare il traguardo all’urlo di “Viva l’Italia”, un patriottico dal cuore d’oro che tutti gli amanti di sport hanno imparato a conoscere. Ugo Frigerio è nella mente di tutti gli appassionati dei cinque cerchi anche perché, come soltando il grande Edoardo Mangiarotti (considerando esclusivamente i Giochi Estivi), è stato portabandiera della nostra Nazione in due edizioni delle Olimpiadi: il massimo riconoscimento per uno sportivo è toccato a questo impavido marciatore a Parigi 1924 e a Los Angeles 1932, nel primo caso era reduce dalla doppia impresa di Anversa mentre nel secondo tornava alla ribalta dopo che la disciplina del tacco e punta venne esclusa da Amsterdam 1928.

“Marciando nel nome dell’Italia” è il titolo di un libro da lui scritto e pubblicato nel 1934, una frase alla perfezione al primo vero grande marciatore mondiale, un concentrato di classe e tecnica cristallina che ha davvero spalancato le porte di una delle scuole ancora oggi più apprezzate e ammirate in tutti gli angoli del globo. Ugo Frigerio, milanese classe 1901, è uno precursore sportivo, uno di questi uomini che non soltanto segnano un’epoca ma scrivono la storia in tutti i sensi: ha fatto proseliti, ha fatto conoscere a un Paese intero questa sacra arte, ha dominato le Olimpiadi di Anversa 1920 vincendo gli ori sui 10 km e sui 3 km (ai tempi si gareggiava su queste distanze) e poi quattro anni dopo riuscì a bissare l’apoteosi nella prova più lunga vista che quella più corta non era più in programma.

Era così grande che venne addirittura invitato negli Stati Uniti d’America nel 1925, un onore riservato ai più grandi in circolazione (giusto citare Primo Carnera nella boxe, ad esempio). Un atleta eclettico capace di realizzare anche sei migliori prestazioni mondiali al coperto, di digerire l’assenza della marcia alle Olimpiadi 1928 e di trovare spazio anche sulle lunghe distanze, quando il “tacco e punta” cambiò e venne introdotta la 50 km: la gara più lunga dell’intero panorama gli sorrise a Los Angeles 1932, un bronzo luccicante chiuse la carriera del primo uomo capace di vincere un oro a cinque cerchi nell’atletica leggera. Ci ha lasciato nel 1968, non aveva ancora compiuto 67 anni.

 

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stefano.villa@oasport.it

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