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L’Italia è grande: Federica Pellegrini e l’oro di Pechino 2008. Più forte del destino

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Ogni grande atleta della storia dello sport è figlio di un’impresa, di un momento in cui il proprio talento e il proprio carattere gli hanno permesso di rivelarsi al mondo e farsi registrare negli albi d’oro della leggenda. Spesso, per le occasioni di maggior valore, queste gesta seguono una grande caduta, una sconfitta che ha acceso qualcosa. “Più grande è la sconfitta, maggiore sarà la gioia nel rialzarsi” recita un famoso proverbio. Nell’albo d’oro della storia dello sport, nella categoria “rivincite”, un’intera pagina non può che essere dedicata all’emozionante vittoria dei 200 stile libero di Federica Pellegrini alle Olimpiadi di Pechino nel 2008.

La giovane Pellegrini, all’epoca da poco ventenne, arriva nella capitale cinese con la rabbia della rivalsa e le potenzialità per poter battere chiunque quell’anno. Appena pochi mesi prima infatti, ai Campionati Europei di Eindhoven, dove era attesa da protagonista nei duecento metri sui quali un anno prima ai Mondiali di Melbourne aveva ottenuto il suo primo record del mondo, Federica era stata squalificata tra mille polemiche per falsa partenza. L’oro con record del mondo nella doppia distanza qualche giorno dopo non era bastato a calmare in lei il sentimento di ingiustizia dovuto ad un rifiuto del giudice sportivo di considerare il ricorso della FIN, presentato su una testimonianza dell’Omega, fonte cronometrista ufficiale. Federica è furiosa, vuole una rivincita.

Nelle settimane che precedono l’Olimpiade la ragazza veneta è diventata una vera star, non solo per i suoi risultati in acqua. Il suo status di diva, le sue comparse sui giornali di gossip e le sue dichiarazioni mai troppo velate rischiano di sorpassare spesso i suoi risultati sportivi. Nel Paese dei commissari tecnici e delle grandi polemiche, ciò porta l’atleta allenata da Alberto Castagnetti a presentarsi all’appuntamento a Cinque Cerchi con gli occhi dell’opinione pubblica puntati addosso ed un notevole peso superfluo da sopportare sulle spalle. Federica è sotto i riflettori, forse anche per sua scelta. 

L’Olimpiade di Pechino ha una caratteristica molto particolare per i nuotatori quell’anno, una variabile che tenderà spesso e volentieri a scombussolare le previsioni degli addetti ai lavori: le finali si nuotano di mattina e le batterie il pomeriggio, il contrario rispetto alla consuetudine. La Federazione Italiana non ha però deciso di far gareggiare gli atleti di mattina agli Assoluti, mesi prima, non ritenendolo fondamentale.

Pellegrini si presenta alla finale dei 400 stile libero dopo aver stabilito il record del mondo nelle batterie, col pronostico a spingerla ed un lotto di avversarie che non sembrano essere alla sua altezza. In finale qualcosa però non va come dovrebbe, lo si percepisce nell’aria. La veneta passa troppo lenta nei primi 100 metri e finisce quinta alla piastra finale con un tempo di due secondi più alto delle batterie: è una batosta incredibile. La reazione ai microfoni è violenta, figlia di una gioventù che le concede ribellione e libertà. L’atleta si scaglia contro la Federazione, con la celebre frase: “Non è di certo solo colpa mia”. Si scatena il finimondo, Federica raccoglie altri chili di critiche da portarsi sulle spalle il giorno dopo.

L’indomani la ragazza terribile si ripresenta in finale nei suoi duecento, la gara in cui quattro anni prima ad Atene è stata argento e si è rivelata al mondo. Il destino le ha giocato un brutto scherzo: anche questa volta ha siglato il record del mondo in batteria, proprio come nei quattrocento metri che tanto male le hanno fatto. Federica, nonostante il terzo tempo di ammissione in finale, è nuovamente la favorita. La slovena Sara Isakovic e la statunitense Katie Hoff non sembrano essere avversarie, ma soltanto possibili approfittatrici dell’ennesimo black-out dell’azzurra. Federica sa di avere solo una grande nemica: se stessa.

L’atmosfera che si percepisce prima della finale nella tribuna azzurra è qualcosa di mai visto in precedenza, una tensione clamorosa serra gli sguardi di tutti, si percepisce che ciò che sta per andare in scena sarà un qualcosa che rimarrà impresso nelle menti di tutti per molto tempo, nel bene e nel male. La gara è di un livello disarmante, disumano: sono in quattro sotto il record del mondo. La giovane cinese Jiaying Pang, padrona di casa, prova a far saltare il banco con una partenza a razzo, provando a colpire Federica nel suo punto debole, il primo cinquanta. La Pellegrini ha una rabbia clamorosa e le va dietro, rischia, azzarda, insegue un destino che sembra volerle fare ancora male: questa volta non vuole lasciare nulla di incompiuto. Ai 100 metri l’azzurra è davanti, ma a tutti è evidente che il passaggio è quantomeno azzardato. Il terzo cinquanta è un quadro di Goya dipinto sulle quattro corsie centrali. Le avversarie risalgono, i mostri riaffiorano. Nessuna sembra essere in grado di gestire così tanta pressione e la giovane Pellegrini decide allora di affidarsi all’unica cosa su cui sa di poter fare sempre affidamento: il suo enorme talento. L’ultimo cinquanta è l’avverarsi di un sogno, il manifestarsi di una grinta diversa dalle altre.

Sarà oro e record del mondo. Saranno lacrime, saranno abbracci. La “Diva” in due minuti diventerà “Divina. Una giovane ragazzina viziata, agli occhi dell’opinione pubblica, si trasformerà nella regina dello sport italiano in poche bracciate. Il 10 agosto 2008, nelle corsie di Pechino inizia una storia, una pagina indelebile della categoria rivincite dell’albo della leggenda dello sport globale. Il sogno si è avverato, Federica Pellegrini è campionessa olimpica.

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michele.giovagnoli@oasport.it

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Foto: LaPresse

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