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L’Italia è grande: Gino Bartali, il Giusto fra le Nazioni che rischiò di finire nei lager per aiutare gli ebrei

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Gino Bartali è stato uno dei corridori più forti di tutti i tempi. Il suo palmares è pressoché infinito. Durante la sua lunga carriera ha vinto più volte il Tour de France, il Giro d’Italia, il Giro di Lombardia, la Milano-Sanremo, il Giro di Svizzera e il Campionato di Zurigo. La sua grandezza, però, va ben oltre il ciclismo. Il toscano era un uomo di statura eccezionale. Una persona passata alla storia non solo per le imprese combiute in bici, ma, anche e soprattutto, per quelle che lo hanno visto protagonista durante la Seconda Guerra Mondiale.

In quegli anni tragici per la specie umana, Bartali, dando sfoggio d’un umanità infinita, aiutò gli ebrei italiani a fuggire delle granfie di fascisti e nazisti. Il campione toscano, da sempre noto per essere un cattolico credente e praticante, fece parte di una rete gestita da Nathan Cassuto, il rabbino di Firenze, il cui obiettivo era procurare documenti falsi ai perseguitati. Gino li trasportava in bicicletta e riuscì e non farsi mai cogliere in flagrante.

Campione anche d’umiltà, Bartali non ha mai raccontato questa storia in pubblico. I dettagli sono divenuti noti solo dopo l’uscita della sua biografia scritta da figlio, dal titolo: “Gino Bartali, mio papà“. Nel 2011, 11 anni dopo la sua morte avvenuta il 5 maggio del 2000, fu inserito tra i Giusti dell’Olocausto. Appena un paio d’anni più tardi, invece, gli fu conferito il titolo di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem.

Dinnanzi a quanto fatto per tanta gente bisognosa, le imprese in bicicletta e i duelli con Coppi passano financo in secondo piano.
Bartali oggi è un’icona a livello mondiale. Un campione italiano il quale, però, appartiene alle persone di tutto il globo. Gino è un uomo che, in un momento critico della storia umana, ha saputo guardare al di là dell’appartenenza religiosa o della provenienza di una persona. Ha messo la giustizia, quella vera, davanti alle verità manipolate del regime. Non è solo un connazionale di cui andare fieri, ma, prima di tutto, è un esempio da seguire.

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luca.saugo@oasport.it

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Foto: Lapresse

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