Scherma
L’Italia è grande: Giovanna Trillini e l’essere fenomeni nell’era di Valentina Vezzali
Santa Giovanna da Jesi. La chiamava così Candido Cannavò, storico direttore de “La Gazzetta dello Sport”. E un miracolo, in effetti, Giovanna Trillini l’ha compiuto: risvegliare la passione per la scherma, portarla nelle case di tutti gli italiani, renderla “moderna” dal punto di vista tecnico, lanciare una “squadra da sogno”. Più di uno, a ben guardare. La sua impresa a Barcellona ‘92 resta nel cuore di tutti, perché commuove il mondo disputando la finale olimpica (e soprattutto, la vince!) con un aggeggio infernale applicato al ginocchio sinistro, che le allarga la calza: il tutore Don Joy. Trillini è la grande signora delle pedane, ancora oggi. Per i modi garbati: sempre una parola buona per tutte, all’occorrenza. «Si capiva subito che sarebbe diventata maestra – ammette Margherita Granbassi –. Leggeva gli assalti meglio di chiunque altro, i suoi consigli erano utilissimi durante le prove a squadre». Tante le sue vittorie in rimonta. E che contributo enorme al Dream Team del fioretto femminile, magari quando le compagne di squadra non erano in giornata. Come dimenticare, poi, quell’assalto con Anja Fichtel, ai Mondiali di Budapest ‘91, che aprì una nuova era nel fioretto femminile italiano.
Cresciuta in palestra con Ezio Triccoli, cugino del nonno (il papà di mamma Gabriella), Giovanna impara in fretta a non dargli mai dello “zio” o a non usare toni confidenziali che il vincolo di parentela potrebbe suggerire. Maestro. Sempre e solo maestro. «Triccoli non lo diceva a nessuno già nel 1986, ma quella ragazzina che aggrediva le avversarie con una potenza spaventosa, lo faceva sognare. Così ne affinò scrupolosamente la tecnica (con la collaborazione di Doriana Pigliapoco, lavorando molto sulla “fuettata”) e per il resto la lasciò libera di saltare, urlare, combattere. Il maestro rideva sotto i baffi ascoltando le critiche a bordo pedana, anche quelle del Presidente federale Nostini, ancorato alla tradizione classica: la scherma potente di Giovanna non soffocava le qualità tecniche, bensì le esaltava. Nessuna donna aveva mai tirato come lei, prima», scrive Alessandro Vespignani in Le Lame dell’Imperatore.
REGINA DEGLI ANNI ’90
Salita in pedana casualmente a 8 anni, dopo un infortunio subito mentre giocava a calcio con i fratelli, Giovanna Trillini a 15 anni (1986) è già campionessa italiana assoluta e nello stesso anno farà parte della squadra femminile di fioretto che conquisterà l’argento ai Mondiali di Sofia. Dopo aver solo sfiorato la partecipazione ai Giochi di Seul ’88, domina il decennio successivo, esplodendo come una Supernova nel 1990. Trascina le azzurre in Coppa del Mondo anche se il trofeo va a chi non lo aveva ancora vinto: Anja Fichtel, ma dai Mondiali estivi di Lione ’90, dal catino ribollente della Halle Tony Garnier, ex mattatoio, caldo infernale e tifo indemoniato, l’Italia della scherma spicca il volo: tre medaglie d’oro, tre argenti, due bronzi, prima nel medagliere finale e nella classifica per Nazioni. Non si fermerà più fino ai nostri tempi. Bottino che non si verificava dalla rassegna iridata di Roma ’55 (anno in cui venne introdotto per la prima volta il fioretto elettrico). A livello femminile individuale, dopo una lunga semina, le azzurre tornano su quel podio calcato per ultima da Anna Rita Sparaciari ai Mondiali di Barcellona 1985 (bronzo, con rimpianti). Sabato 7 luglio 1990 Giovanna Trillini mostra al mondo le sue doti agonistiche. Si arrampica su su fino alla medaglia d’argento, perdendo con onore, al di là del punteggio (2-5, 2-5) da sua maestà Anja Fichtel, all’apice di una carriera che non vivrà però di altri acuti (se non all’europeo di Linz ’93). Trillini supera in tre manche sia la tedesca Dobmeier (sedicesimi), che la sovietica Velitchko, agli ottavi, e pure la padrona di casa Wurtz, nei quarti, vincendo contro tutto e tutti, tifo “caldissimo” compreso. «Impegnata poi allo stremo dalla Szabo in semifinale, Giovanna ha ragione della rumena solo all’ultima prova (2-5, 6-4, 6-5, rimontando da 3-4 nel secondo e da 2-4 nel terzo assalto, N.d.A.). Distrutta dalla tensione, dal caldo africano della sala di Lione e dalla fatica, Trillini lotta con i crampi e poi con la gelida abilità della Fichtel in finale, mostro di bravura e noia, perché quando non vince è seconda. Di più, la nostra eroina, disidratata come tutte, non avrebbe potuto fare», si legge su La Stampa. Ma il futuro è suo: «Giovanna ha dato una lezione di agonismo della quale ci ricorderemo a lungo», scrive Aronne Anghileri sulla Gazzetta dello Sport.
TRIONFO DOPO DORINA
Il 1991 è l’anno in cui il Mondiale, anticipato a metà giugno, regala un punteggio doppio rispetto alle altre tappe del circuito, diventando così assolutamente decisivo per l’assegnazione della Coppa del Mondo, facendo storcere il naso a molti atleti. In più, viene cancellata la finale per il bronzo: i semifinalisti saranno già sicuri di una medaglia (è così ancora oggi, Olimpiadi escluse). Manca ancora un anno a Barcellona, ma il Dream Team originale, cioè quello che regalerà al fioretto femminile italiano il primo storico oro olimpico a squadre, nasce di fatto ai Mondiali di Budapest ’91: stessa squadra “catalana“, luogo diverso, risultato identico. C’è anche Diana Bianchedi tra le titolari, al posto di Lucia Traversa. Prima, però, è tempo di riappropriarsi del titolo individuale, che manca dal trionfo di Dorina Vaccaroni a Vienna ’83. La favorita n.1 è sempre lei, Anja Fichtel da Tauberbischofsheim, capace di imporsi in cinque tappe consecutive di Coppa per poi… snobbare le successive, forse per manifesta superiorità. Ma al Mondiale trova la sua bestia nera: Giovanna Trillini. Un momento storico, un passaggio di consegne, un torneo impossibile da dimenticare. Nel girone di qualificazione Trillini perde due assalti che le complicano il passaggio nel tabellone all’eliminazione diretta. L’abbinamento è inevitabilmente pessimo: le tocca subito lo spauracchio Fichtel, nei trentaduesimi di finale. Sfiga pazzesca? Anche no. «Forse è cominciato in quel momento il mio mondiale», spiega lei. Anja, negli scontri diretti, è nettamente in vantaggio su Giovanna. L’inizio in effetti non promette nulla di buono: «Prima manche, un massacro: La Fichtel vince 5-0 – scrive Alessandro Vespignani in “Le Lame dell’imperatore” – Roba da ammazzare un toro. Si torna in pedana per il secondo match. Quando Giovanna riesce a toccare per la prima volta, la tedesca è già a quota 3». L’eliminazione è a un passo. Ma Trillini ha nella determinazione una delle sue armi vincenti, da sempre. «Cerioni mi ha urlato di stringere la misura, di avvicinarmi di più alla tedesca: bisognava tentare il tutto per tutto e io ci ho provato». La jesina esegue, entra “dentro” con la sua velocità e si “sveglia” d’incanto: 4-4; poi, tocca la tedesca, ma ormai l’assalto ha preso un’altra piega. La rapidità di Giovanna sorprende Fichtel, arrivano due botte consecutive: 6-4, 1-1. Si va alla terza manche. «Fichtel toglie la maschera con un gesto di stizza di fronte a quell’avversaria ancora viva nonostante le bastonante ricevute. La sfida riprende. Giovanna è una furia. Tocca e urla. La Fichtel non ci capisce più niente. Una, due, tre, quattro, cinque stoccate. Senza respiro: 5-0! Sessanta secondi per distruggere un mito», riporta Vespignani. Anja finisce in lacrime, consolata da Matthias Behr, argento olimpico ’84. Mondiale in discesa, dunque? Nossignori. Trillini esce al turno successivo, per mano della sovietica Olga Velitchko (0-2: 4-6, 2-5), campionessa mondiale a sorpresa due anni prima e bronzo a Lione ’90: deve passare attraverso i ripescaggi. Tre assalti, uno anche con Diana Bianchedi. Li vince tutti e “rientra” ai quarti. Da quel momento in poi, parte la cavalleria: 5-2, 5-3 alla nizzarda Anne Meygret, vittoria in rimonta in semifinale sulla grande favorita rimasta, la tedesca Sabine Bau (2-5, 5-3, 5-3, da 1-3 e con cartellino rosso, nella manche decisiva) e ultimo atto contro la rumena Claudia Grigorescu, già appagata dall’argento: 5-2, 5-0 senza storia, in 42 secondi. Eccolo l’oro iridato tanto atteso, dopo dodici ore, quattordici assalti (tre nei ripescaggi) e quattro vittorie alla terza manche. Cosa chiedere di più? «Ho passato dei momenti terribili, si trattava di aspettare. La fortuna doveva girare. E’ girata».
DOLCISSIMA BARCELLONA
Le lame delle fiorettiste azzurre si presentano più affilate che mai nella stagione 1991-1992. Trillini e compagne sono cresciute. Hanno ribaltato le gerarchie nei confronti delle sovietiche/russe e, soprattutto, delle tedesche: ora spetta a loro la palma di più forti del pianeta. Ma bisogna dimostrarlo quando conta di più. Ovvero alle Olimpiadi. Intanto, eccole macinare successi nel circuito maggiore; tutte le papabili per la convocazione “spagnola”, a eccezione di Lucia Traversa, centrano almeno una finale (a otto): Trillini, Bianchedi, Bortolozzi, Vaccaroni, Zalaffi e Vezzali. Anche la campionessa iridata jr. ’88, Alda Occhipinti (una milanese che promette quanto Valentina, ma non manterrà).
Giovanna, titolare del titolo mondiale, vola sulle ali dell’entusiasmo. Si impone a Goeppingen (terza Vezzali, primo podio in Coppa; sarà poi seconda a Mosca, dietro Zalaffi, che si dice pensi già alla spada), ma il dramma sportivo è dietro l’angolo. Al Trofeo Lancia di Torino, appuntamento giunto alla quarta edizione, il ginocchio sinistro della marchigiana cede durante un incontro della pool iniziale, contro una carneade canadese. E’ il 21 febbraio 1992, due giorni dopo l’infortunio di Deborah Compagnoni ai Giochi Olimpici invernali di Albertville ’92… “Giò” mette male il piede in fase di rinculo e crolla al tappeto, accartocciandosi per il dolore. Diagnosi: pizzicato il menisco, lesione al legamento crociato anteriore. “Tragedia”. Trilla è la favorita assoluta per le Olimpiadi. I primi medici ascoltati non la incoraggiano, anzi: «Sono cavoli tuoi», le dicono. Lei, testarda, cerca speranza: «Per un’ora, sono come morta», ammetterà. Il professor Perugia, in qualche modo, la conforta: «L’intervento può aspettare. Con una rieducazione ben fatta e l’abitudine al tutore, Barcellona non è impossibile». Tutore? Sì: una gabbia d’acciaio a sorreggere il ginocchio sinistro; serve a “sostituire” uno dei legamenti crociati anteriori e impedire alla rotula di spostarsi oltre il lecito. Pesa appena 300 grammi e ha persino un nome: Don Joy. La grinta non l’abbandona mai: «Se il commissario mi porta lo stesso, io vinco le Olimpiadi». Ma la rieducazione è dura: fa la spola tra Jesi e Roma, all’Acquacetosa. Finita? Macché: sempre a Torino, crocevia di destini, si scopre che sua maestà Anja Fichtel, due volte iridata e campionessa olimpica uscente, è in dolce attesa da cinque mesi. Pensa di tornare in tempo per Barcellona, sei settimane dopo il parto, un’idea folle. E invece lo farà, anche se solo per la prova a squadre. Nel capoluogo piemontese tocca a Margherita Zalaffi affrontarla, al secondo assalto della eliminazione diretta. Regina della manifestazione, ma soprattutto donna sensibile, profonda, la senese non vuole salire in pedana: si sente disorientata a tirare contro un’atleta che porta un bimbo in grembo. Viene consultato un ginecologo locale, Anja rischia persino l’esclusione dal torneo; spunta un documento firmato dal tecnico tedesco che si assume ogni responsabilità sulla vicenda. Anche se il foglio è rimasto… in Germania. Amen. Si tira, con Margherita frastornata: vince Fichtel. Zalaffi passa dai ripescaggi, supera Vaccaroni, rientra ai quarti e… si ritrova di fronte la tedesca. Questa volta, spogliata di ogni remora, la batte 2-0 per vincere poi la tappa. Ricapitolando: le due principali favorite per le Olimpiadi di Barcellona, Fichtel e Trillini, rischiano di non poter nemmeno calcare le pedane al Palau de la Metalurgìa. Non sarà così, per fortuna. Il 6 marzo 1992, intanto, a Bari, Valentina Vezzali vince il suo primo titolo italiano assoluto, battendo Diana Bianchedi: 5-2, 5-3. Il 19 giugno arrivano le convocazioni per Barcellona: Giovanna Trillini è presente, sia per la prova individuale che a squadre. La mossa vincente del ct Fini.
FAVORITE
Spagna, luglio 1992. E’ il momento. Tavola apparecchiata per un nuovo successo azzurro? «Prima che arrivasse Giovanna Trillini – scrive Gabriele Fredianelli in Storia e storie della scherma – il Dream Team nel fioretto rosa non esisteva mica. Gli unici due ori erano lontani nel tempo; la scherma italiana era da sempre fortissima sul versante maschile, ma quella femminile restava la faccia oscura della luna». Vero. Da un lustro abbondante però, come si è visto, la Nazionale in rosa è forte, fortissima. Ancora di più nella stagione in corso, con le azzurre capaci di imporsi a Budapest (Bianchedi, convocata però solo per la prova a squadre, come Vaccaroni); Goeppingen (Trillini); Torino, Mosca, Marsiglia (Zalaffi) e Como (Bortolozzi), dove è rientrata Giovanna. Solo a Lipsia riesce a vincere una straniera, Sabine Bau: in contumacia di Fichtel, è lei la principale avversaria delle azzurre.
Sulle azzurre e sul CT Fini, in carica da oltre vent’anni, grava una pesante responsabilità una volta sbarcati in Catalogna: «Tutti si aspettano che la scherma dia ossigeno al medagliere italiano, ancora senza ori, ma a noi questo ruolo di salvatori della Patria non piace mica. Siamo qui solo per fare il nostro dovere», ammonisce alla vigilia il vulcanico bolognese, che ha preso in mano la squadra di sciabola nel ’68, rianimandola, poi le altre armi nel ’72, e da allora ha messo insieme sette ori olimpici più un mucchio consistente di piazzamenti. La vigilia della prova individuale è scandita dall’attesa lancinante per la giornata della vita, descritta così da Repubblica: «Tutti dicono che ha grande coraggio, la Trillini, e che è un esempio. Però, intanto, è scivolata giù dalla graduatoria delle favorite; la squadra ora punta tutto su Margherita Zalaffi. Senese della Pantera, ha il drappo della sua contrada (“lo tirerò fuori sul podio”) nella borsa e una laurea in psicologia nell’immediato futuro. Potrebbe anche toccarle una compagna di squadra, nella corsa alle medaglie: “Non sarebbe la prima volta. Tra noi c’è grande amicizia, è vero, ma in gara vale una sola regola: vinca la migliore. E se riesco a mantenere costante la concentrazione, sul podio ci arrivo di sicuro”. Proprio la componente psicologica sembra essere il punto debole della Zalaffi, capace di grandi imprese, ma anche di smarrimenti improvvisi, per un nonnulla. Ed è quanto teme Fini, che l’atleta senese conosce a fondo. Ma intanto, sebbene sia la terza forza, all’ oro ci pensa, eccome, Francesca Bortolozzi. Anche qui a Barcellona ha messo in scena il suo personale cerimoniale della vigilia, disertando la palestra nei due giorni che hanno preceduto l’esordio in pedana. Un metodo per trovare e conservare la concentrazione giusta, dice. “Stare sola mi aiuta, soprattutto per quanto riguarda la fantasia, un elemento importante nella nostra disciplina. Anche e soprattutto alle Olimpiadi: qui la componente emotiva è fondamentale”. Sport Illustrated assegna a Trillini l’oro individuale in sede di pronostico: «Visto che ci tengono così tanto, vedremo un po’ di accontentarli, ‘sti americani».
Impresa
Manca ormai pochissimo all’inizio del torneo. Trillini zoppica e si allena, senza fermarsi mai. Zalaffi conta le ore che la separano dal Palio di Siena di agosto. Bortolozzi fa le vasche per il Villaggio, avanti e indietro, sempre in silenzio, sempre da sola. L’occhio vigile di Attilio Fini, commissario tecnico delle lame azzurre, non le perde di vista un solo momento. La scherma, disciplina molto più complessa di quanto si pensi, è un’intensa attività intellettuale. Mettere “la botta” significa saper trovare il momento giusto. Ecco. Magicamente, in una notte d’estate infinita, l’Italia scopre la forza magnetica della sua Enrichetta Toti, un’atleta che forse conosceva poco, ma che ha subito amato. E’ il 30 luglio 1992. Esordiente alle Olimpiadi, ma avvezza alle battaglie, Giovanna Trillini conferma a Barcellona di essere atleta dai prodigiosi recuperi. Il più clamoroso? Beh, intanto calcare la pedana. «Alle 23h 43′ e 18″, questa l’ora ufficiale segnata dal computer – riporta Repubblica – è arrivata con un’ultima, formidabile, disperata, stoccata, la prima medaglia d’oro italiana. In pedana, nella finalissima della gara individuale femminile di fioretto, c’era una ragazza di ventidue anni dal cuore grande così, che ha sopportato sacrifici immensi per via di un infortunio al ginocchio sinistro».
Un’impresa appassionante, quella di Giò. Certo, le italiane erano favorite e magari attese anche in massa sul podio. Ma quando arde il fuoco di Olimpia, si sa, i pronostici sono fatti per saltare in aria. Prendiamo Bortolozzi. Tira bene al mattino (5 vittorie, una sconfitta), male al pomeriggio, dopo uno stop infinito per problemi ai computer, durante il quale pensa troppo, esaurendosi mentalmente: perde dalla Bau e va fuori al secondo turno dei ripescaggi, per mano della canadese Tremblay, non trovando più la concentrazione giusta. Senza senso. Andiamo avanti? Margherita Zalaffi, grande favorita. Avanza come un rullo compressore fino ai quarti, da imbattuta e n.1 del tabellone. Sembra in stato di grazia. Sembra finalmente la sua giornata. Sembra. E invece no. La pausa di tre ore prima della Finale a 8 svuota anche lei emotivamente. Zilla crolla sul più bello, dimenticandosi di appartenere alla Contrada della Pantera. A sconfiggerla, la francese Laurence Modaine, buona atleta, non una fuoriclasse, poi solo quarta alla fine (e quarta sarà anche ad Atlanta ’96). Infilza la senese in maniera inequivocabile: 5-3, 5-1. Arrivederci e grazie. Più che incredibile, folle, per il valore dell’azzurra. Un rimpianto infinito.
Proprio dai quarti, però, comincia la rincorsa all’oro di Giovanna Trillini. La giornata parte male, come a Budapest ’91. Evidentemente non è un caso. Pronti, via, subito tre vittorie e tre sconfitte nella prima fase. Poule chiusa al quarto posto dietro l’ungherese Stefanek, la rumena Szabo (che però Giovanna batte, 5-2) e la cinese Je. Perde persino con una spagnola, Castillejo, all’esordio. Pazienza. Avanti. Nel tabellone a eliminazione diretta supera prima l’ungherese Mincza (2-1) e poi la polacca Wolnicka, 2-0, garantendosi quanto meno gli spareggi. Agli ottavi, il patatrac: ritrova l’atleta rumena di cui sopra, dalla scherma molto attendista, ma alquanto efficace e già capace di batterla in finale ai Mondiali jr. ’86, Reka Lazar-Szabo; che si impone nettamente, 5-2, 5-1. Giovanna non si scoraggia di certo, riparte dal terzo e ultimo turno dei ripescaggi superando la polacca Anna Sobczak 2-0, rimontando sotto 0-3 nella manche iniziale. La jesina rientra dalla porta di servizio tra le migliori otto.
Si comincia a sognare, ma la domanda è una sola: reggerà il fisico? Nei quarti di finale Gio se la deve vedere con la più forte, la più testarda, la più ostica delle avversarie possibili, una tedescona bionda e slanciata: Sabine Christine Bau, argento uscente, già battuta in semifinale al trionfale Mondiale di Budapest ’91. Trillini passa in due assalti, 5-3 il primo, 6-4 il secondo, in entrambi i casi partendo sotto 0-3. Il fisico regge. L’Italia intera trattiene il fiato, incollata ai teleschermi: può scegliere tra RAI e Telemontecarlo. Alle dieci e cinque della sera è il turno della russa Tatiana Sadovskaia, bronzo iridato uscente, altra avversaria temibile. La tensione, nel clan azzurro, è spasmodica. Il commissario tecnico Attilio Fini si sgola: «Calma! Non attaccarla subito, non precipitare l’assalto». Lei esegue, anche se perde il secondo round; ma vince il primo 5 a 2 e il terzo 5 a 3. Ogni stoccata a bersaglio è un urlo di rabbia e liberazione. E’ in finale per l’oro: «Battute Sabine e la Sadovskaia, due avversarie forti, mi sono sentita sempre più carica», racconta. Dall’altra parte del tabellone c’è, a sorpresa, la cinese Wang Huifeng, solo ventiduesima ai Mondiali ’91. Ma avversario tenace, rognoso. Soprattutto, lucidissimo in pedana.
Una responsabilità enorme grava sulle spalle della Trillini: sapere di essere favorita: «Contro Giovanna da Jesi c’è una ragazza di Tien-tsin di ventiquattro anni – si legge su Repubblica -. Quando le due incrociano le lame per il saluto rituale dei duellanti, sono passate da poco le undici di sera, una sera che a noi sembrerà infinita. Dentro al padiglione della Metallurgia, sorta di mini Lingotto catalano, davanti al presidente del Coni che ha seguito le ragazze del fioretto fin dai primi assalti della mattinata, la Trillini subisce una prima, sorprendente parziale sconfitta: 6 a 5. Il secondo assalto è rapido e qui la Trillini compie un capolavoro di freddezza e determinazione: cinque a tre per lei, tutto da rifare. Terza manche. Le due si scambiano colpi tremendi, attacchi furibondi, uno a zero per la cinese, uno pari, due a uno, tre a uno Trillini a 14″ dalla fine. Fatta? Macché: tre a due, tre pari ai -7″». L’oro sembrava già al collo di Giovanna. Niente, bisogna soffrire. E’ destino. Le atlete rimangono a studiarsi in guerra psicologica, come gatti pronti a snidare la preda, il tempo scade: da regolamento vengono portate al cinque pari, con ultima stoccata da giudizio universale. Fase interminabile di preparazione, poi, dopo 2’06”, Giovanna rompe gli indugi: attacca, prende ferro, tocca. La cinese esce in tempo e tocca a sua volta. Si accende prima la luce della Wang. Che si perde a guardarla, convinta della sua mossa. Ma avrebbe avuto bisogno di una parata e risposta, per la convenzione del fioretto. E’ la stessa azione valsa a Trillini il 5-5 nel primo assalto. L’Italia intera trattiene il fiato. Attimi lunghissimi. L’arbitro, Lothspheich, non ha dubbi, tra le proteste cinesi che si protrarranno per 24 ore: il punto (d’oro) è di Giovanna. L’ultimo. Quello decisivo.
E’ finita. Non era mai successo che il primo titolo di una spedizione italiana ai Giochi fosse… donna: «Avevo tanta rabbia dentro, nessuno mi poteva fermare. Il tutore? Dopo la gara a squadre, lo brucerò». In realtà lo appenderà in casa, tra i trofei. La notte catalana è dolcissima per la famiglia Trillini, presente a Barcellona con mamma Gabriella e il fratello Roberto. La prima telefonata, però, è per papà Giovanni, rimasto a Jesi per un intervento chirurgico. Alle 3 del mattino Trilla mangia un piatto di spaghetti insieme a Francesca Bortolozzi, che l’ha attesa in camera. Che impresa, Gio! E quella dedica, a Jury Chechi, appiedato giusto alla vigilia di Barcellona ’92. Ricambiata, perché Rossella Boccini, mamma del ginnasta, commossa, le farà recapitare un telegramma. La storia poi li unirà ancora: “Il signore degli anelli” tornerà a vincere la prima gara post infortunio nel maggio 1993, esattamente come Giovanna, dopo l’operazione. Destini incrociati. Destini dorati.
Trillini vincerà poi un altro titolo mondiale individuale a Città del Capo ’97, il bronzo olimpico a Sydney 2000, l’argento dietro Vezzali, esplosa definitivamente dal 1999, ad Atene 2004 e finirà 4a a Pechino 2008. Cinque semifinali olimpiche consecutive, da Barcellona 1992 a Pechino 2008!
«Triccoli mi ha insegnato tante cose: la più importante, non mollare mai», ammette Giovanna. Che andrà avanti fino alle soglie di Londra 2012, pause per le maternità comprese, dopo un breve ritiro post-Pechino 2008. Conquistando quattro ori olimpici (uno individuale), nove mondiali (due singoli), quattro Coppe del Mondo: è la seconda italiana più vincente ai Giochi olimpici estivi, in tutti gli sport, dopo l’extraterrestre Vezzali.
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Foto: Marco Lussoso/LaPresse