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L’Italia è grande: il quadriennio 1934-1938, due Mondiali e una Olimpiade. L’imbattibile Nazionale di calcio di Vittorio Pozzo

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Coppa Rimet calcio LaPresse

A quattro anni dal trionfo casalingo dell’Uruguay nel 1930, i Mondiali di calcio sbarcarono in Europa: fu l’Italia, nel pieno della dittatura fascista, ad ospitare la seconda edizione del torneo che metteva in palio la Coppa Rimet. Fu quella l’unica occasione in cui il Paese ospitante dovette superare le qualificazioni, con gli azzurri che batterono per 4-0 la Grecia.

Le 16 squadre qualificate furono inserite in un tabellone tennistico: agli ottavi gli azzurri asfaltarono per 7-1 i malcapitati Stati Uniti. Ai quarti ostica la sfida contro la Spagna del mitico portiere Zamora: si chiuse 1-1. La partita fu talmente fallosa che nella ripetizione del giorno successivo ben 11 dei 22 giocatori non poterono scendere in campo: gli azzurri uscirono vittoriosi per 1-0 grazie al gol del grande Meazza.

In semifinale altra difficile sfida con l’Austria: a togliere le castagne dal fuoco ci pensò l’oriundo Guaita, mentre a sfidare gli azzurri nella finalissima fu la Cecoslovacchia: andati in vantaggio con Puc, i boemi furono raggiunti dalla rete di Orsi. Si andò così ai supplementari: a risolvere la contesa fu la rete di Schiavio, mezzala del Bologna, il quale dopo aver segnato svenne dall’emozione.

Fu quello il Mondiale del portiere Combi che, riserva di Ceresoli alla vigilia, ne sfruttò l’infortunio per giocare da titolare, diventare capitano, vincere e ritirarsi dal calcio giocato, del terzino Caligaris, portabandiera nella finale, che a lungo detenne il record di presenze in azzurro, 59, e del centrattacco Meazza, per il quale la gloria non finì a Roma.

Nel 1936 arrivò poi quella che al momento è l’unica vittoria azzurra alle Olimpiadi: gli azzurri di Vittorio Pozzo faticarono a superare gli Stati Uniti all’esordio, imponendosi per 1-0, poi ai quarti annichilirono il Giappone per 8-0. Altre due vittorie di misura portarono gli azzurri al trionfo: in semifinale la Norvegia venne piegata 2-1, identico punteggio con cui fu battuta l’Austria in finale, con l’Italia che si mise al collo la medaglia d’oro.

Nel 1938 in Francia si disputò il terzo torneo che assegnava la Coppa Rimet: sull’Europa aleggiavano venti di guerra, l’Austria venne invasa ed annessa al territorio tedesco, ed infatti nel primo turno della competizione la Svezia passò senza giocare perché la Federazione austriaca non esisteva più.

Nel primo turno l’Italia a fatica piegò la Norvegia, poi ai quarti ebbe ragione della Francia per 3-1. In semifinale gli azzurri affrontarono il Brasile: i sudamericani, che nei quarti avevano battuto la Cecoslovacchia dopo due incontri durissimi, peccarono di presunzione e, convinti di battere l’Italia, lasciarono riposare in vista della finale Leonidas e Tim, i due giocatori più talentuosi, ma poi (a quel tempo non esistevano le sostituzioni) uscirono sconfitti per 2-1.

Il 19 giugno 1938 l’Italia affrontò l’Ungheria in finale: per gli azzurri andarono in gol con una doppietta a testa Piola e Colaussi, e a nulla servirono ai magiari le marcature di Titkos e Sarosi. Meazza, Monzeglio e Ferrari per la seconda volta diventarono campioni del mondo. È “l’apoteosi dello sport fascista“, come titolerà il giorno dopo la “Gazzetta dello Sport“.

La gloriosa Italia di Vittorio Pozzo negli anni ’30 vinse tutto: ai tre trionfi appena citati vanno aggiunte le due affermazioni nella Coppa Internazionale (torneo che anticipò i moderni Europei, inventati nel 1960) arrivati nel 1930 e nel 1935, con il secondo posto raggiunto nel 1932, unica finale persa da quell’Italia. Va sottolineato, inoltre, che dal 24 novembre 1935 al 20 luglio 1939 gli azzurri inanellarono una serie di 30 risultati utili consecutivi.

Fu soltanto la seconda guerra mondiale a fermare i successi degli azzurri. Vittorio Pozzo fu costretto a dimettersi nel 1948, a due anni dai Mondiali in Brasile, ma la tragedia di Superga del 1949 spazzò via il Grande Torino, che costituiva anche l’ossatura della Nazionale. Toccò proprio a Pozzo riconoscere i cadaveri dei granata morti nello schianto del loro aereo.

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roberto.santangelo@oasport.it

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Foto: LaPresse

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