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L’Italia è grande: le Notti Magiche di Totò Schillaci e quel sogno infranto ai rigori

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“Notti magiche, inseguendo un goal, sotto il cielo di un’estate italiana… E negli occhi tuoi voglia di vincere… Un’estate, un’avventura in più”. Quando si ripensa ai Mondiali di Italia ’90 non si possono non udire in lontananza le note della canzone dell’inedita coppia Edoardo Bennato-Gianna Nannini, vero e proprio leitmotiv di un’estate nella quale il nostro Paese è stato il centro dell’universo, oggetto degli sguardi di milioni e milioni di appassionati di calcio. Andiamo dunque a ripercorrere quelle “notti magiche”, ricordo indelebile nelle menti di chi ha potuto viverle da protagonista o da spettatore, e grande rimpianto di chi, per questioni anagrafiche, ne ha sentito soltanto l’eco.

L’Italia ospitava un Campionato Mondiale di calcio a distanza di 56 anni dall’ultima volta, quella che, sotto lo sguardo compiaciuto di Benito Mussolini, aveva portato in dote la prima stella del logo della Nazionale. La preparazione all’evento era stata legata innanzitutto all’opera di ringiovanimento o costruzione degli stadi: gli impianti di Roma, Napoli e Palermo erano stati semplicemente rinforzati, il “Luigi Ferraris” di Genova era stato ristrutturato secondo il modello inglese, a San Siro era stato inaugurato il terzo anello coperto, mentre il “San Nicola” di Bari e il “Delle Alpi” di Torino erano sorti dal nulla, rispettivamente dai progetti di Renzo Piano e di Sergio Hutter.

L’Italia giungeva alla rassegna iridata da padrona d’Europa, dal momento che le squadre della Penisola avevano dominato le competizioni continentali: il Milan aveva vinto la Coppa dei Campioni, la Sampdoria aveva conquistato la Coppa delle Coppe e la Juventus aveva sconfitto la Fiorentina in finale di Coppa UEFA. L’entusiasmo dilagante che investiva la Nazionale era un motivo in più, certamente non secondario, per rafforzare la nostra candidatura ai blocchi di partenza. Il commissario tecnico era Azeglio Vicini, che sedeva ininterrottamente su una panchina azzurra dal 1976. La selezione che si apprestava a disputare il Mondiale casalingo era di fatto figlia dell’Under 21 che aveva allenato fino al 1986 e che aveva portato ad un passo dal titolo europeo, perso soltanto in finale ai calci di rigore contro la Spagna: a fare il grande salto in Nazionale maggiore erano stati Riccardo Ferri, Paolo Maldini, Roberto Donadoni, Fernando De Napoli, Giuseppe Giannini, Roberto Mancini e Gianluca Vialli.

L’Italia venne inserita nel Girone A insieme a Cecoslovacchia, Stati Uniti ed Austria e giocò tutte le partite del raggruppamento all’Olimpico di Roma. L’esordio contro gli austriaci fu una partita ostica, risolta soltanto nel finale da Totò Schillaci, attaccante della Juventus che venne convocato per occupare l’ultimo slot disponibile e si rivelò in brevissimo tempo e in maniera del tutto inattesa l’uomo copertina del Mondiale. Nel secondo match contro gli Stati Uniti gli azzurri si imposero ancora per 1-0, stavolta con firma di Giannini, mentre la terza partita contro la Cecoslovacchia, decisiva per il primato del girone, venne vinta per 2-0 grazie al sigillo di Schillaci in apertura e alla perla di un ventitreenne Roberto Baggio nel secondo tempo.

Agli ottavi e ai quarti di finale l’Italia superò due avversari ostici come l’Uruguay e l’Irlanda, ancora una volta facendo leva su due elementi costanti: la solidità difensiva e il magic moment di Schillaci, decisivo in entrambi i match. Nel 2-0 contro i sudamericani al 65′ il siciliano sbloccò il risultato, poi messo in cassaforte dalla rete di Aldo Serena, mentre contro gli irlandesi il suo immancabile timbro, stavolta al 38′, fu l’unica segnatura dell’incontro e regalò agli azzurri la semifinale contro l’Argentina.

Fu la prima volta in cui la Nazionale fu costretta ad allontanarsi da Roma, dal momento che la partita era in programma al “San Paolo” di Napoli. Il pubblico partenopeo, come ammesso dallo stesso Vicini dopo il match, non era caldo come quello dell’Olimpico, anche perché di fronte c’era l’idolo di casa Diego Armando Maradona e non mancavano sugli spalti i simpatizzanti dell’Albiceleste. L’Italia partiva con i favori del pronostico ed era più forte dell’Argentina, che aveva superato il girone soltanto come miglior terza ed esprimeva un calcio speculativo, esteticamente sgradevole. I ragazzi di Vicini sbloccarono il risultato al 17′ con la firma, manco a dirlo, di Totò Schillaci, ma all’80’ un rarissimo errore di Walter Zenga in uscita alta permise all’attaccante dell’Atalanta Claudio Caniggia di realizzare il goal dell’1-1 e di porre fine all’imbattibilità della porta azzurra. Fu la lotteria dei calci di rigore ad infrangere il sogno italiano: il ruolo del guastafeste venne interpretato da Sergio Goycochea, che ipnotizzò Donadoni e Serena e spedì l’Argentina in finale.

L’Italia dovette dunque accontentarsi del terzo posto, ottenuto grazie alla vittoria per 2-1 nella finalina contro l’Inghilterra. Ancor più del piazzamento sul gradino più basso del podio, a far felici i tifosi italiani fu il rigore realizzato da Schillaci, sesto centro della sua estate da supereroe che gli valse il titolo di capocannoniere e il meritato riconoscimento di miglior giocatore del torneo. A trionfare, invece, fu la Germania, che a Roma superò l’Argentina in una finale senza grossi sussulti: ai tedeschi bastò il rigore di Brehme al minuto 84 per aggiudicarsi il terzo Mondiale della loro storia.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: LaPresse

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