Atletica
L’Italia è grande: Stefano Baldini, una divinità azzurra nel Pantheon di Olympia
Atene fino al 29 agosto 2004 aveva regalato la gloria soltanto agli emerodromi (coloro che corrono per un giorno intero) ateniesi. Per il primo e per l’eternità al leggendario Filippide (o Fidippide, oppure Eucle) che, secondo i racconti di Plutarco prima e Luciano di Samosata poi, in armatura completa avrebbe corso da Maratona sino ad Atene, avrebbe pronunciato la celebre frase “abbiamo vinto” e sarebbe poi morto per lo sforzo, dopo aver percorso la distanza sulla quale si sarebbe disputata la maratona moderna: 42 km e 195 metri. Per secondo al pastore di Maroussi, sobborgo ateniese, Spyridon Louis, che nel 1896 si aggiudicò la prima maratona della storia delle Olimpiadi moderne tagliando il traguardo dello Stadio Olimpico, costruito per l’occasione sul modello di quello di Olympia, affiancato dai due principi della casa reale greca, il principe Costantino e il principe Giorgio.
La gloria ateniese, però, in chiusura dei Giochi Olimpici del 2004 spettò ad un italiano, di Castelnovo di Sotto, reggiano, con ben dieci fratelli, Stefano Baldini, tra i favoriti ma non certo il super favorito della maratona che chiudeva l’edizione greca delle Olimpiadi proprio in quello stadio che ospitò le gare principali della prima edizione delle Olimpiadi moderne 108 anni prima e che in precedenza aveva ospitato un altro trionfo azzurro, quello inatteso del giovane padovano Marco Galiazzo nel tiro con l’arco individuale.
Stefano Baldini aveva una sola, grande missione: cancellare la delusione di Sydney 2000 quando, da favorito, non riuscì ad essere protagonista nella maratona olimpica australiana e fu costretto al ritiro. Uno smacco per il mezzofondista/maratoneta emiliano, campione europeo in carica allora, dopo il titolo conquistato a Budapest nel 1998, solo in parte lenito dalla doppia medaglia di bronzo iridata conquistata a Edmonton nel 2001 e a Parigi nel 2003, inframmezzata dal record italiano ottenuto alla maratona di Londra nel 2002.
Una continuità di rendimento che consegnò a Baldini il ruolo di outsider di lusso alla maratona di Atene che aveva in due africani (il movimento di quel continente era al tempo in rapidissima ascesa al punto di prendersi tutto, o quasi, nel mezzofondo da lì in avanti, considerando anche i cambi di nazionalità) i grandi favoriti: il kenyano Tergat e il marocchino Gharibi. Una preparazione senza particolari intoppi, se non qualche giorno di pioggia nel ritiro di St. Moritz con conseguente spostamento a Livigno e un allenamento sotto un tunnel che Baldini poi definirà fondamentale per la costruzione del suo successo.
La gara si dipanò all’insegna della lentezza del ritmo e del controllo fra i big nella prima parte, poi, inevitabilmente, ci fu la prima azione che, di fatto, decise la maratona. Ad intraprenderla il brasiliano Vanderlei De Lima, tutt’altro che uno sconosciuto, e il sudafricano Ramaala che riuscirono a guadagnare un buon vantaggio. Quella che nel ciclismo viene volgarmente chiamata fuga bidone iniziava a materializzarsi e, conti alla mano, passata metà gara, arrivò il momento di rompere gli indugi da parte di chi quella gara voleva vincerla. Stefano Baldini, dopo aver atteso invano la reazione dei favoriti, al km 31 prese l’iniziativa e, assieme allo statunitense Meb Keflezighi, di origine eritrea, e al kenyano Tergat, iniziò la caccia al battistrada che, nel frattempo, restò uno solo, il brasiliano Vanderlei De Lima con un vantaggio massimo di 46″. Il ritmo imposto da Baldini fu in crescendo e, a un certo punto, letteralmente indiavolato, a tal punto da distanziare prima Tergat, poi crollato, e poi Keflezighi, mentre Gharibi, stravolto dalla fatica, uscì di scena ben presto.
Il vantaggio del brasiliano su Baldini si assottigliò sempre di più ma ancora non in modo decisivo e, al km 35, accadde l’impensabile e, in parte, l’irreparabile: un fanatico religioso in gonnellino scozzese, Cornelius Horan, già noto ai più per essere entrato in pista durante il Gran Premio di Silverstone, in Inghilterra, del 2003, entrò nel tracciato e aggredì Vanderlei De Lima spintonandolo e facendolo cadere a terra: il sudamericano venne sorretto e rimesso in gara da un uomo barbuto e dire quanto perse effettivamente è piuttosto difficile. Di sicuro il finale di Baldini non gli avrebbe comunque lasciato scampo: 2’48”, 2’47” e 2’46” al chilometro dell’italiano per gli ultimi tre chilometri sarebbe stato un ritmo insostenibile per Vandelei De Lima, che al momento del fattaccio aveva circa 28″ di vantaggio sull’azzurro.
Stefano Baldini realizzò il sogno che lo proietta nell’Olimpo degli immortali dello sport italiano e mondiale: conquistare l’oro nella maratona olimpica, nello stadio che aveva visto rinascere quel rito quadriennale dalla tradizione antichissima, ad Atene. Tagliò il traguardo a braccia alzate conquistando la vittoria più ambita con il tempo di 2 ore, 10′ e 55″ precedendo lo statunitense Keflezighi e il brasiliano Vanderlei Da Lima che prima recriminerà per l’aggressione dicendo che, senza quell’episodio, avrebbe potuto vincere l’oro, poi si rassegnerà all’idea che, al massimo, avrebbe potuto difendere l’argento. In ogni caso la storia gli consegnerà una lauta ricompensa con la scelta del Comitato Olimpico brasiliano di consegnargli il ruolo di ultimo tedoforo nella cerimonia di apertura dei Giochi di Rio 2016.
Baldini proseguirà la sua carriera aggiungendo la sua seconda medaglia d’oro europea alla rassegna continentale di Goteborg nel 2006, ultimo successo di una storia indelebile scritta dal maratoneta reggiano, divinità azzurra nel Pantheon di Olympia.
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