Ciclismo

Milano-Sanremo 1970: Michele Dancelli e l’urlo che spezzò il lungo digiuno italiano nella Classicissima

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1953-1970, diciassette lunghissimi anni di digiuno. Nessuna gloria italiana sul traguardo della Milano-Sanremo, diventata, per troppo tempo, un grandissimo tabù per gli azzurri dopo edizioni dominate da uomini come Fausto Coppi e Gino Bartali. Podi tricolori che dopo la vittoria nel 1953 di Loretto Petrucci, vennero stravolti da belgi, francesi, spagnoli, da Rik Van Steenbergen fino ad Eddy Merckx.

Fu così che nel 1970, in occasione della 61ma edizione della Classica di primavera, il ventottenne bresciano Michele Dancelli dominò la corsa da sotto lo sguardo della Madonnina fino al sole di Ponente: 200 chilometri di fuga, 70 in solitaria, la folla in estasi, gli italiani nuovamente sul podio, tornati padroni della loro classica più amata. Un amore dolce, prezioso, geloso, ed in questo momento lontano, interrotto, rimandato fino a quando l’Italia non potrà tornare a splendere come prima.

Sono passati cinquant’anni dal trionfo di Dancelli da Castenedolo in maglia Molteni, la squadra che l’anno successivo lanciò Merckx verso i suoi anni più gloriosi e trionfanti. Quell’anno Eddy era il favorito numero uno della Sanremo. Era il vincitore uscente, andato a segno anche nel 1966 e nel 1967. Tre vittorie alle spalle non bastarono dinnanzi alla furia di Dancelli.

Dopo soli 6 chilometri dalla partenza, il lombardo era già all’attacco. Dietro c’era una certe dose di nervosismo, incertezza, attacchi. Alle porte di Pavia ci pensò Lucillo Lievore. Si susseguirono continue scaramucce in gruppo sino a Novi Ligure, dove Aldo Moser riuscì a scombinare il gruppo, da cui uscì nuovamente Dancelli. Un’azione improvvisa e potente la sua, seguita dal contrattacco di diciassette uomini, tra cui Franco Bitossi, Roger De Vlaeminck, Italo Zilioli e lo stesso Moser; ma non Merckx oppure Felice Gimondi. Mancavano ancora 200 chilometri a Sanremo, la loro andatura si fece sempre più alta nonostante le insidie del percorso. Continuò così fino a Genova Voltri, dove il gruppo si rese conto del distacco pesante, e fece di tutto per rientrare sui battistrada. Pian piano ci riuscì, ma Dancelli fu più furbo di tutti.

Subito dopo il traguardo volante il bresciano rilanciò, uscì prepotentemente dal gruppetto guadagnando a vista d’occhio, ma mancavano ancora 70 chilometri a Sanremo. De Vlaeminck cercò inutilmente di rientrare su di lui. Capo Mele e Capo Cervo scivolarono dolcemente sotto le sue ruote. Dietro sbagliarono tutto, soprattutto la tempistica. Mancava soltanto il Poggio, ma per Dancelli non fu un problema, anzi. Aveva già annusato la vittoria chilometri prima. La sua testa fu più forte di tutto e di tutti. Si tuffò verso Sanremo, verso il rettilineo finale di Via Roma, si guardò indietro, ma il gruppetto degli inseguitori era a ben 1’40”. Dancelli trionfò dinnanzi alla gente in visibilio, scoppiò a piangere. Michele ce l’aveva fatta. L’Italia ce l’aveva fatta. L’anno dopo, però, la sete di vittoria di Merckx prevalse per l’ennesima volta.

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lisa.guadagnini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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