Atletica

Olimpiadi 1896: il medagliere e la storia da film di Carlo Airoldi

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A distanza di sei giorni dall’annuncio del CIO con il quale è stato ufficializzato lo slittamento delle Olimpiadi di Tokyo al 2021 a causa della pandemia di Covid-19, proviamo ad alleviare il dispiacere per questo momento difficile con un tuffo nel passato e, nello specifico, nel 1896, anno in cui si è tenuta la prima edizione dei Giochi Olimpici dell’era moderna.

Il merito di quest’iniziativa, poi rivelatasi felice e fruttifera, va dato al barone Pierre de Coubertin, che presiedette il primo congresso olimpico nel 1894 e orientò la scelta della prima sede dei Giochi, ossia Atene, secondo il principio condiviso per cui i Giochi dovessero ripartire dalla terra che originariamente li aveva creati. Il peso politico di De Coubertin fece in modo che venisse poi abbandonata l’idea secondo la quale la capitale greca dovesse essere la sede permanente della manifestazione e che fosse preferito il format delle Olimpiadi itineranti.

Nonostante le numerose difficoltà organizzative, dovute anche alle difficili condizioni economiche della Grecia, alle ore 15.30 del 6 aprile 1986, davanti ai 70.000 spettatori dello stadio Panathinaiko di Atene, che era stato ricostruito per l’occasione, il re Giorgio I dichiarò aperte le prime Olimpiadi dell’era moderna. Oltre alla Grecia padrona di casa, le nazioni che avevano accettato l’invito erano 13: Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Ungheria. In realtà, la differenza numerica tra una delegazione e l’altra erano enormi: basti pensare che la Grecia poteva contare su 169 atleti, mentre Italia, Australia, Svezia, Cile e Bulgaria si presentavano ai nastri di partenza con un solo rappresentante. Gli sport in programma erano 9 (atletica, ciclismo, ginnastica, lotta, nuoto, tennis, tiro, scherma e sollevamento pesi) e non vi era nessuna partecipante di sesso femminile, com’è ovvio che fosse se guardiamo alla concezione della donna come “angelo del focolare” dominante nella società vittoriana.

Al tempo non esistevano le medaglie come le intendiamo noi oggi: i vincitori ricevevano una corona d’ulivo, una medaglia d’argento e un attestato, i secondi classificati venivano gratificati con una medaglia di rame e un ramo d’alloro, mentre per i terzi non era previsto alcun riconoscimento. Il primo campione olimpico fu uno studente di Boston, lo statunitense James Connolly, che sbaragliò la concorrenza nel salto triplo, gara di apertura dei Giochi. Gli Usa furono a sorpresa la nazione che collezionò il maggior numero di medaglie d’oro, 11, contro le 10 della Grecia, che però, come prevedibile vista l’ingente quantità di atleti presenti, totalizzò un numero di podi decisamente superiore alla concorrenza (46). Oltre a Grecia e Usa, a conseguire buoni risultati furono anche Germania e Francia, che ottennero rispettivamente 13 e 11 medaglie. L’atleta più premiato fu il tedesco Carl Schuhmann, che si aggiudicò tre ori nella ginnastica e uno nella lotta.

Una storia eccezionale legata alle Olimpiadi 1896 è quella di Carlo Airoldi, un maratoneta italiano che, sebbene non venga nominato nell’albo d’oro dei Giochi, ha conquistato la “medaglia morale” più importante di tutte. Proveniente da una famiglia povera e non avendo i soldi per il viaggio fino ad Atene, decise di partire per la Grecia a piedi, facendosi sostenere da un giornale sportivo, “La bicicletta”, al quale offrì il resoconto della propria avventura. Il percorso da Milano fino alla sede dei Giochi fu lungo e tortuoso e Airoldi rischiò anche la vita quando si imbatté in un manipolo di briganti: ciononostante, riuscì alla fine a giungere ad Atene. Il suo incredibile coraggio si scontrò però con il cinismo degli organizzatori che, preoccupati per le potenzialità di Airoldi e volendo garantire la vittoria della maratona a un greco, si attaccarono a un cavillo burocratico e gli impedirono di partecipare alle Olimpiadi.

Ecco la lettera che Airoldi scrisse a “La bicicletta” dopo aver assistito alla gara: “E’ necessario che io parta al più presto, giacché ieri ed oggi dura fatica feci a reprimermi. Mi sentivo il prurito nelle mani e non posso tollerare più a lungo i sorrisi ironici di certi villani, ai quali avrei voluto far vedere, se non mi avesse trattenuto il timore di passare per un farabutto, che oltre alle gambe possiedo anche delle buone braccia. Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l’Austria, l’Ungheria, la Croazia, l’Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile“.

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antonio.lucia@oasport.it

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