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Sci alpino: Federica Brignone, perché il suo nome nell’albo d’oro della Coppa del Mondo è legittimo

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Ci sono volute cinquantaquattro edizioni della Coppa del Mondo di sci alpino femminile (dalla stagione 1966-1967, anche se le prime gare si svolsero solo a gennaio ’67, come l’anno seguente) per trovare un’italiana in grado di conquistare finalmente il trofeo più ambito negli sport della neve. Che mancava al nostro Paese come mancano, per esempio, quelli di Wimbledon o degli Australian Open nel tennis, un oro olimpico nella pallavolo, un mondiale di basket, un Sei Nazioni o una Coppa del Mondo di rugby. Alcuni probabilmente non riusciremo mai a conquistarli. Tant’è. L‘Italia è l’undicesima Nazione (tra i maschi sono 10) a iscriversi nell’albo d’oro della sfera di cristallo ‘in rosa’, dopo Canada, Francia, Austria, Germania, Svizzera, Liechtenstein, Stati Uniti, Svezia, Croazia e Slovenia. Come dire, le scuole più forti e tradizionali c’erano riuscite tutte, nell’impresa, anche quelle con molti meno praticanti. Manca la Norvegia, se vogliamo, al top nello sci alpino dai primi anni ’90 (ma più a livello maschile).

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Ora il tabù è  spezzato e tutti sappiamo che il risultato è frutto anche di un po’ di fortuna, di una stagione folle, funestata dal tragico lutto in famiglia che ha colpito Mikaela Shiffrin (la morte di papà Jeff), con la conseguenza di un mese e mezzo di gare saltato (ma non sarebbe stata comunque presente a Sochi, Garmisch-Partenkirchen e La Thuile), mentre la diffusione del virus Covid-19 ha portato poi alla cancellazione delle Finali a Cortina e del trittico di gare ad Åre, con le prove di Val d’isère (combinata), La Thuile (combinata) e Ofterschwang (gigante&slalom) annullate per cattive condizioni meteo o mancanza di neve. E non più recuperate. Morale, sono state disputate 30 gare in calendario, in due continenti diversi e sei discipline diverse, sulle 41 inizialmente previste. Un numero più che sufficiente per affermare che i valori in campo, soprattutto a livello più alto, sono sicuramente emersi a fine febbraio, mostrando il trittico di atlete (non previsto, inizialmente) di gran lunga superiore alla concorrenza, ma anche ben lontane tra loro in classifica al momento della tragedia di papà Jeff Shiffrin (cioè dopo Bansko) e parliamo naturalmente di Mikaela Shiffrin, Federica Brignone e Petra Vlhova. Dopo la tappa di Sochi, che l’americana avrebbe comunque saltato e con una sola gara disputata (il superG), Mikaela vantava 270 punti di vantaggio sull’azzurra ed è lecito pensare che non sarebbero stati assolutamente recuperati da nessuna atleta, considerando pure che quest’anno, a differenza dell’annata pur record 2018-2019 (17 successi!), Shiffrin era riuscita a vincere almeno una gara in slalom, gigante, discesa e superG, con possibilità poi di farcela anche in combinata (Crans Montana) e slalom parallelo (Åre), per sognare di aggiungersi così alla triade di atlete capaci di imporsi in tutte le specialità, ma anche nella stessa annata, vale a dire Petra Kronberger, Janica Kostelic e Tina Maze.

Ciò detto, per Federica parlano la sua classe sugli sci, posto che per noi quest’anno è stata di gran lunga la migliore del lotto in superG, nonostante la Coppa di specialità abbia poi premiato Corinne Suter (pesano le due gare perse per un centesimo, a St. Moritz e La Thuile, e l’uscita di Bansko a poche porte dal trionfo) e soprattutto i numeri. Non sono tutto, ma aiutano a capire. Brignone ha disputato la più grande stagione di sempre per un atleta italiano, uomo o donna non fa differenza, in relazione ai punti ottenuti da quando esiste questo sistema di calcolo (annata 1991-1992), ovvero 1378 (Tomba arrivò a 1362 nel 1992 e Goggia a 1197 nel 2017). Non solo: 1378 punti non li hanno ottenuti fior di campionesse in grado di imporsi nel circuito e dopo una stagione simil completa, ovvero Petra Kronberger nel 1991-1992, Anita Wachter nel 1993, Vreni Schneider nel 1994, Janica Kostelic nel 2001, Anja Pärson nel 2004 e Anna Fenninger (oggi Veith) nel 2014. E Federica non ha potuto sfruttare quelle 11 gare cancellate di cui sopra, che avrebbe disputato tutte. E’ lecito pensare a un primato portato circa a 1800 lunghezze, quota raggiunta in passato solo da Wiberg, Kostelic, Vonn, Maze, Shiffrin. Non solo: la valdostana ha totalizzato quel punteggio suddetto, 1378, in 25 prove disputate, per una media-gara di 55,12, vicina a un terzo posto “periodico”, con due superG persi per un centesimo e le due discese a Lake Louise non disputate perché all’epoca, cioè a dicembre 2019, il calendario era stato impostato in un certo modo e non si pensava di poter mettere le mani sulla Coppa del Mondo generale, in quel particolare momento. Il trionfo arrivato ieri a ‘tavolino’ è condito da 5 successi, 11 podi, 20 top10, 3 uscite (due in slalom, 1 in superG), due soli risultati fuori dalle prime dieci posizioni (13a Lienz in slalom, 17esima ad Altenmarkt-Zauchensee in discesa). Federica ha chiuso sul podio in tutte le classifiche di specialità, slalom escluso: prima in gigante e combinata, seconda in superG, terza in discesa e parallelo, prima italiana della storia a vincere più di una sfera di cristallo (tre, ne suo caso!) in una singola annata. Diciamo che dopo il ritorno in America di Mikaela Shiffrin, Federica Brignone è risultata la migliore, sicuramente la polivalente più brava dietro proprio all’americana, e ha tenuto un rendimento costante da ottobre a febbraio, senza cali di rendimento. Negli ultimi allenamenti in slalom in Svezia viaggiava tra l’altro sugli stessi tempi di Anna Swenn Larsson! Ha regalato al suo skiman dal 2014, Mauro Sbardellotto (già con Compagnoni, Kostner, Ceccarelli, Nadia ed Elena Fanchini) l’unico trofeo che ancora mancava alla sua bacheca personale…

E ha fatto la storia, perché prima atleta italiana a vincere la classifica generale di Coppa, impresa fino a ieri appannaggio solo degli uomini azzurri, Gustav Thöni (1971, ’72, ’73, ’75), Piero Gros (1974) e Alberto Tomba (1995). Al termine di una crescita durata dieci anni abbondanti: iridata juniores in combinata a Garmisch 2009, sul podio già ad Aspen pochi mesi dopo, a novembre, alla quinta gara in Coppa del Mondo (quarta in gigante), con il pallino fisso della polivalenza che inizialmente i tecnici non le concedevano, ha costruito una corazzata fisica inattaccabile per un’atleta alta 167 cm, migliorando la scorrevolezza sui piani e riscoprendosi anche discesista, quando agli esordi prendeva anche 4 secondi dalle più forti (controllare sul sito FIS per credere). Soprattutto, rifinito la sua qualità migliore, anzi, unica: quella curva più rapida di tutte, senza mai perdere velocità, a fronte di una linea ‘personalizzata’, ben distante dalle porte, solo sfiorate. Per questo motivo resta e resterà una sciatrice dallo stile inconfondibile. Impossibile da replicare.

E c’è lo zampino del destino. La prima sfera di cristallo femminile Federica Brignone la conquista ad Åre, dove mai è riuscita a vincere finora (a fronte di due podi in gigante) e dove Isolde Kostner e Sofia Goggia avevano alzato al cielo le prime coppe di discesa (2001 e 2018, rispettivamente) della carriera. E soprattutto, dove Gustav Thöni conquistò la prima sfera di cristallo assoluta di sempre, per l’Italia, al termine della stagione 1970-1971.  Per la 29enne valdostana è arrivato anche il trionfo nella Coppa di gigante, che rappresentava il vero obiettivo stagionale. Terza azzurra a riuscirci dopo Deborah Compagnoni (1996-1997, con 4 vittorie) e Denise Karbon (2007-2008, 5 successi di tappa).

 

Federica è una predestinata che fino a 18 anni, però, non aveva realmente pensato di dedicarsi solo allo sci, tant’è vero che d’estate non lavorava sui ghiacciai come tutte le future compagne di squadra. E’ nata il 14 luglio a Milano, dove ha vissuto fino a sei anni e dove torna spesso a trovare i nonni. Ha iniziato a sciare a 1 anno e mezzo con papà Daniele, da sempre maestro-allenatore e ligure di nascita, crescendo poi nello Sci Club Courmayeur, dove le hanno insegnato a… non frenare mai. La prima gara, una prova sociale, l’ha conquistata nel 1997, ma il momento della verità arrivò nel 2005, quando a 14 anni si impose nel superG dei campionati assoluti Allievi, partendo con un pettorale alto, mentre le avversarie già festeggiavano. Da sempre sognava di mettere le mani sulla coppa generale, ma sette anni fa, timidamente, ci disse “forse è troppo, per me“. E invece no.

 

La vera svolta della carriera? Credeteci. Ha una data precisa. Bansko, 2 marzo 2015: 15esima in superG con pettorale 50. Lì, in Bulgaria, dopo disfide dialettiche infine, Federica riuscì a convincere i suoi allenatori che forse era il caso di lasciarla gareggiare anche in velocità. Oggi conta 15 successi nel circuito maggiore, come Isolde Kostner (a meno uno da Deborah Compagnoni, prima azzurra di sempre con 16), con 39 podi. Il suo palmares comprende anche un oro iridato juniores (combinata, Garmisch-Partenkirchen 2009), un argento iridato juniores (gigante, Les Houches 2010), un argento iridato 2011 (gigante, Garmisch-Partenkirchen 2011), un bronzo olimpico (gigante, PyeongChang 2018). La sensazione è che da qui ai Giochi di Pechino 2022, al netto di infortuni vari ovviamente, possa rimpinguare e non di poco il bottino, magari centrando quell’oro in un grande evento che meriterebbe e ancora incredibilmente manca al suo palmarès. Il destino ha voluto mettere un punto a capo nella sua carriera, dopo troppa sfortuna nelle due annate precedenti, pur vincenti, aiutandola a conquistare tre Coppe in una volta sola: era assurdo che un’atleta del calibro di Federica Brignone non fosse nemmeno riuscita a salire sul podio finale della classifica di gigante, in nessuna annata, fino a… ieri.

Ora i trofei di cristallo in bacheca (e in famiglia) sono tre. Ed è tutt’altro che finita. Prossima frontiera? La buttiamo lì, con largo anticipo: andare alla caccia del podio anche in slalom. Può riuscirci. Appuntamento alla prossima stagione, 2020-2021?

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gianmario.bonzi@gmail.com

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Foto: Pentaphoto.

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