Sci di fondo
Sci di fondo, alla scoperta di Davide Graz. Un talento eclettico che l’Italia non può permettersi di disperdere
David Graz è il nome nuovo dello sci di fondo italiano, essendo unanimemente considerato il talento più cristallino attualmente in rampa di lancio. Per questa ragione, la sua figura induce a effettuare una serie di riflessioni, soprattutto alla luce dell’attuale situazione della disciplina nel nostro Paese.
La precocità di Graz è sotto gli occhi di tutti. Sappadino, classe 2000, ha esordito in Coppa del Mondo giovanissimo, il 16 febbraio 2019 nella sprint di Cogne, dove ha mancato di un soffio la qualificazione alle batterie, replicando il risultato pochi giorni dopo ai Mondiali di Seefeld. Nell’inverno appena terminato sono arrivati i primi punti nel massimo circuito, grazie al 22° posto nella sprint di Davos, nonché due medaglie ai Mondiali junior di Oberwiesenthal (il bronzo nella 10 km in alternato e quello della staffetta).
Insomma, è innegabile che il ragazzo abbia dei numeri e questa conclusione non viene certo tratta sulla base dei risultati delle competizioni giovanili, bensì dall’impatto già avuto con la Coppa del Mondo. Fatte le debite proporzioni, nell’ultimo decennio solamente un altro italiano poteva vantare, nella sua ultima stagione da junior, una dimensione comparabile a quella di Graz. Parliamo di Federico Pellegrino, che esattamente dieci anni fa si portava a casa la medaglia di bronzo nella sprint a skating dei Mondiali junior di Hinterzarten, entrando poi in zona punti nel massimo circuito nella sprint di Oslo. Nella stagione seguente il valdostano ha subito cominciato a frequentare i quartieri nobili delle sprint di Coppa del Mondo, salendo addirittura sul podio a Liberec. Dunque, cosa aspettarsi da Graz nel prossimo futuro? Un inverno 2020-’21 immediatamente da protagonista? Alt! La situazione suggerisce di muoversi con i piedi di piombo.
Innanzitutto l’Italia dello sci di fondo attuale è ben diversa rispetto a quella di dieci anni fa. Nel 2010 il movimento azzurro maschile era ancora una potenza. Di certo già in flessione, ma comunque temibile per chiunque. Una generazione di atleti vincenti, per intenderci quella dei Pietro Piller Cottrer e dei Giorgio Di Centa, si stava avvicinando agli “anta”, ma era ancora in grado di ottenere risultati di peso negli appuntamenti con le medaglie in palio (vedasi quanto accaduto a Liberec 2009 e Vancouver 2010). Alle loro spalle c’era un gruppo di uomini nel prime della propria carriera, o prossimo a entrarvi. Si parla dei vari Roland Clara, Fulvio Scola, David Hofer, fratelli Pasini e Thomas Moriggl. Pellegrino si inseriva, quindi, in un sistema fatto di svariati soggetti competitivi nel massimo circuito. Non era l’epoca d’oro del fondo azzurro, ma al tempo stesso il panorama era ben diverso da quello attuale.
Oggi restano le individualità di primissimo piano, soprattutto quella del ventinovenne valdostano, visto che De Fabiani al momento rimane un incompiuto, ma il sottobosco alle spalle delle punte è completamente sparito e il paesaggio, decisamente più brullo, ricorda molto quello di una steppa. Questo fatto incontrovertibile, testimoniato dai risultati e dalle classifiche di Coppa del Mondo, genera una riflessione a doppio livello.
Innanzitutto, viene da chiedersi come sia possibile essere arrivati a questo punto. In questo momento, in Italia, non mancano le individualità. Anzi, il fondo azzurro vive su di esse, altrimenti al giorno d’oggi sarebbe completamente sparito dagli schermi radar della disciplina. Per intenderci, basta dare uno sguardo alle condizioni in cui si è ridotto il settore femminile. Il problema, semmai, è che in ambo i sessi manca la quantità a medio/alto livello. Com’è possibile che si fatichi a produrre atleti in grado di essere costantemente competitivi in Coppa del Mondo per le posizioni che vanno dalla quindicesima alla trentesima? Forse negli anni scorsi il numero di praticanti si è ridotto e il bacino da cui pescare è diventato meno profondo? Se così fosse bisognerebbe analizzare le ragioni dell’accaduto e cercare di porvi rimedio. Eppure, se si guarda alle classifiche di Opa Cup, ci si renderà conto come il materiale umano non manchi. Per esempio fra gli uomini, dieci dei primi venti della classifica generale dell’inverno appena terminato sono italiani.
Ora, qui nessuno ha la presunzione di dire cosa andrebbe o non andrebbe fatto. È però evidente come il sentiero intrapreso nel recente passato abbia reso asfittico quello che era un settore rigoglioso. Dunque, proseguire sulla stessa strada sarebbe controproducente e la soluzione a tutti i mali della disciplina non possono essere i risultati di un paio di atleti, sotto cui nascondere il nulla che li circonda. Si chiamino essi Federico Pellegrino, Francesco De Fabiani o, in ottica futura, Davide Graz.
Il secondo livello della riflessione di cui sopra riguarda proprio il friulano. Si è già spiegata la ragione per cui si possano riporre grandi speranze sul ragazzo. Tuttavia, bisognerà essere molto cauti nella sua gestione, cercando di capire quale possa essere il percorso migliore da imboccare.
In primo luogo, se ha già dimostrato di valere la Coppa del Mondo, allora tanto vale schierarlo nel massimo circuito e permettergli di confrontarsi con atleti di livello assoluto, allo scopo di formarsi in maniera proficua. Al contrario, tenerlo nella “bambagia” dell’Opa Cup potrebbe rivelarsi controproducente, poiché ottenere vittorie a raffica fini a sé stesse, con avversari di rango inferiore, non sarebbe certo propedeutico alla sua crescita.
In secondo luogo, la sua presenza in Coppa del Mondo non dovrebbe essere finalizzata al risultato immediato. Permettergli di frequentare il fondo che conta potrebbe essere lo strumento migliore per forgiarlo, ma al tempo stesso il fatto che il panorama del fondo azzurro sia pressoché desertico, non deve far cedere alla tentazione di bruciare le tappe. Quindi, almeno per un biennio, l’ideale sarebbe evitare di caricarlo di responsabilità a aspettative. I “suoi” Giochi olimpici saranno quelli di Milano-Cortina 2026 e quelli del 2030, non certo quelli di Pechino 2022, ai quali arriverà probabilmente ancora acerbo. Insomma, nei prossimi due inverni i risultati dovrebbero essere messi in secondo piano, mentre l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di formare l’atleta.
Infine, e soprattutto, è fondamentale capire quale strada far prendere a Graz. Ha 20 anni ed è ancora tutto da costruire. Sinora, in Coppa del Mondo, è stato presentato esclusivamente nelle sprint. Però, ci si augura che chi si troverà a gestirlo, si sieda a un tavolo ed effetti una profonda riflessione, ponendosi una serie di interrogativi. Ovvero se ne vuole fare uno specialista delle sprint? Oppure ne può venire fuori un fondista più completo? Quali sono le sue caratteristiche e le sue potenzialità fisiche? Qual è il modo migliore per svilupparle? Insomma, l’ideale sarebbe quello di stendere una sorta di progetto, allo scopo di comprendere quale possa essere la via migliore da seguire nella sua creazione. D’altronde l’Italia non è certo la Norvegia o la Russia e, in questo momento di grossa difficoltà dello sci di fondo (la cui crisi si spera non sia irreversibile), non può permettersi di sciupare un cavallino di razza come Davide Graz.
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Foto: Pentaphoto/Gio Auletta