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Aristide Landi, basket: “L’ambiente di Pistoia è super. Europei Under 20 2013 bellissimo ricordo, per il 3×3 mi ha convinto Daniele Sandri”

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Su di lui non ci si può sbagliare: quando l’anno è nuovo in generale, lo è anche per lui. Nato il 1° gennaio 1994, Aristide Landi è uno degli uomini che, nel 2013, ha dato all’Italia la vittoria agli Europei Under 20 in Estonia. Bologna (con entrambe le grandi maglie), Mantova, Trieste, Roma: queste le sue tappe prima di affrontare il viaggio verso Pistoia, dove si è guadagnato subito ampio credito da parte di coach Michele Carrea. Abbiamo raggiunto Landi per via telefonica per parlare della sua carriera e delle varie avventure in Nazionale, dalle giovanili al 3×3.

Com’è cominciato il tuo percorso nel basket?
“Per me è nato tutto perché mio papà giocava, quindi fin da piccolo l’ho sempre seguito in tutte le squadre in cui è andato, mi ha sempre portato in palestra fin da quando avevo 3-4 anni, ci stavo dalla mattina alla sera. Poi ho avuto la fortuna che un allenatore di mio padre, Gaetano La Rocca, mi abbia preso sottobraccio fin dall’inizio e con lui ho iniziato ad allenarmi, andando a tirare anche la domenica mattina. Era anche il migliore amico di mio padre e ha fatto anche il compare a mio figlio, ho un forte legame con lui, e così è nata questa passione”.

Dopo i primi passi, com’è proseguito il tuo cammino e quando ti sei trasferito a Bologna?
“Io a Potenza, col Nuovo Basket, che è la società in cui sono cresciuto, ho fatto le prime finali nazionali del Join the Game del 3×3. Ho avuto la fortuna a Jesolo di essere visto da molte squadre, ci sono stati i primi contatti con la mia famiglia e i primi provini in tutta Italia. Poi era rimasta da fare la scelta di dove andare e la Virtus era quella che mi era apparsa la scelta migliore per il mio futuro. Avevo 13 anni e mezzo, quasi 14, e ho fatto tutto il settore giovanile lì, dove abbiamo vinto due campionati, in cui sono stato sia nel miglior quintetto che MVP, ho fatto la prima esperienza in Serie A. Da giovane qualche minuto lo giocavo. Erano gli anni in cui gli italiani più esperti erano Angelo Gigli e Peppe Poeta“.

E poi sei andato in prestito alla Fortitudo, che a quei tempi stava provando a risalire la china dopo tante vicissitudini.
“Avevo avuto delle problematiche per il contratto con la Serie A con la Virtus, perché non avevamo trovato l’accordo. Io volevo giocare e non ce la facevo più, a fare solo allenamenti si faceva fatica e ho avuto questa grandissima occasione di andare in Fortitudo anche se era in Serie B. Ancora oggi ho degli ottimi rapporti sia con l’una che con l’altra, della Fortitudo sento ancora vari dirigenti, dal presidente al team manager. Lì ho fatto molto bene, poi sono andato a fare l’esperienza in A2”.

Fu una stagione che finì male, nonostante prima fosse andata bene, perché si chiuse al primo turno di playoff promozione.
“Quando sono arrivato io lottavamo per andare ai playoff, e poi abbiamo preso al primo turno Cento e siamo usciti lì”.

E poi Mantova.
“La mia prima esperienza in A2. Ci sono stato un anno, poi sono andato a Trieste e poi i tre anni alla Virtus Roma”.

A Trieste c’è stato l’infortunio. Cos’è successo?
“Ho avuto un problema al ginocchio. Si bloccava, non si capiva a cosa fosse dovuto e alla fine ho dovuto fare una pulizia e mi è passato. Ho voluto sistemare la cosa, ho fatto un rientro lampo, sono riuscito a finire la stagione, una stagione allucinante perché dovevamo retrocedere e invece siamo arrivati a giocare i playoff e a perdere in gara5 con Tortona al primo turno”.

Trieste che poi ha iniziato da lì a costruire quella che sarebbe diventata la promozione di due anni dopo.
“A dir la verità quando sono arrivato io non c’era lo sponsor Alma (arrivato in corso d’opera, ndr), si lottava più per la salvezza. Il ciclo grande è iniziato quando sono andato via”.

Chi ti ha cercato per passare a Roma?
Simone Giofrè e Fabio Corbani. C’era un bel progetto, avevo parlato con il presidente Claudio Toti e c’era l’obiettivo di arrivare alla promozione in tre anni. Io avevo firmato un 1+1 e l’obiettivo che ci eravamo prefissati era quello di tornare in tre anni in Serie A, poi ho allungato di un altro anno e il terzo anno ce l’abbiamo fatta”.

Passo indietro: ci sono stati anche gli anni delle Nazionali giovanili.
“Ci siamo tolti delle soddisfazioni: abbiamo vinto la medaglia d’oro europea con l’Under 20. Eravamo tutti ’93 tranne io e Matteo Imbrò che eravamo ’94. Una bella scommessa, perché tutti ci davano in seconda o terza fascia, e invece avevamo un ottimo gruppo, giocavamo di squadra, tutti insieme, uniti e abbiamo raccolto questo splendido risultato”.

Ci furono un paio di partite se non rocambolesche quasi: quella dei quarti con la Lituania (con tripla da otto metri di Della Valle per l’overtime) e poi la finale in cui ancora Della Valle fu trascinatore.
“In finale Amedeo fece un’ottima partita, fummo io e lui i top scorer (con 13 e 19 punti rispettivamente, ndr) della nostra squadra, lui aveva fatto un Europeo stratosferico. Abbiamo avuto un po’ di difficoltà all’inizio, poi mi sono difeso bene”.

Ci fu un’immagine alla fine molto toccante: dedicaste tutti la vittoria a Mario Delle Cave, giovane molto promettente della Stella Azzurra morto due anni prima in un incidente stradale lasciando una fortissima impressione in tutto l’ambiente.
“Lui faceva parte del giro della Nazionale, io non ci ho mai giocato insieme, ma molti nostri compagni erano particolarmente legati a lui. Ci è sembrato bello dedicare anche a lui la vittoria”.

Al terzo anno a Roma hai avuto modo di avere come compagno Amar Alibegovic, che allora in tanti si chiedevano chi fosse al di là dell’essere figlio di Teo.
“Lui ha fatto un’ottima stagione, conosceva il sistema, ha avuto la fortuna di avere un ottimo allenatore che lo ha aiutato tanto e gli ha sempre dato tanta fiducia. In più è stato bravo a farsi trovar pronto quest’anno, perché nel momento in cui l’americano davanti a lui (Mike Moore, ndr) non ha mai reso, nel sistema di Piero Bucchi che lui conosceva bene è riuscito a cogliere il momento”.

Quel Mike Moore che poi è sceso in A2 a Latina, dove ha finito per trovare un tuo ex compagno, Gabriele Benetti, tornato dopo uno stop lunghissimo di 18 mesi.
“Gabriele si era venuto ad allenare anche con noi a Pistoia, poi è tornato a casa e sono contento che abbia firmato a Latina”.

A Roma sei rimasto ancora molto legato.
“Sì, ho conosciuto tanti amici con cui ancora mi vedo quando posso, e poi l’estate torno spesso perché quando sono arrivato conobbi un centro medico, Eclepta, dove ho cominciato a lavorare con Federica Pulcini che oggi è mia nutrizionista di fiducia. E questo percorso con lei mi ha dato tante soddisfazioni, mi ha aiutato molto”.

Quest’estate soltanto Pistoia ti ha cercato?
“No, ce n’erano anche varie di A2, ma di A fortemente mi ha voluto Pistoia. Volevo mettermi in gioco e sono molto contento della scelta che ho fatto”.

Come ti sei trovato con l’ambiente pistoiese?
“È super, perché i tifosi sono malati di basket, la città lo è, la gente ti ferma sempre per strada, ti carica, è bellissimo. Il tifo è molto caldo, ti fanno sentire proprio a casa, è molto positivo, ho avuto un ottimo feeling fin dall’inizio”. 

E in un palasport che è un catino.
“Sì, ti da davvero quella carica da sesto uomo”.

Una delle vittorie più significative dell’anno è stata quella con Venezia.
“Un’ottima vittoria di squadra. Il gruppo era molto buono, avevamo degli alti e bassi dovuti all’inesperienza, una cosa che ci poteva stare, ma rispetto alla stagione scorsa che aveva fatto Pistoia facendo il confronto parallelo avevamo fatto degli ottimi risultati. Lo scorso anno le vittorie a questo punto erano due, adesso sono sette. Noi al giorno d’oggi siamo salvi, era quello il nostro obiettivo”.

Salvi, però con un giudizio sospeso legato alla vicenda del coronavirus, perché non è facile darlo su una stagione che dopotutto è incompiuta.
“A me piacerebbe riprendere perché è quello che amo fare, ma è normale che la salute sia la prima cosa. Si deve riprendere nel momento in cui non c’è più nessun rischio”.

Tu hai vissuto una partita del tutto surreale, quella a Trieste nel PalaRubini-Allianz Dome vuoto, quando già si stavano rincorrendo voci e decreti. Com’è stata quella sensazione?
“Bruttissima, perché comunque è stata anche una partita molto sfalsata. Fino all’inizio non si capiva se dovevamo scendere o no in campo, per cui è stato emotivamente difficile perché ci allenavamo e non si capiva nulla, ed è stata una brutta cosa”.

In più per arrivare dovevate passare da una zona, il Veneto, che in quel momento era molto a rischio, ancor più della Venezia Giulia che era la destinazione finale.
“Più che altro il caso ha voluto che le squadre che si stavano giocando la salvezza, cioè Roma, Trieste e Pistoia, sono anche le uniche che hanno giocato, Sassari a parte. Magari la si perdeva comunque a porte aperte, ma a giocare una partita così importante in un palasport vuoto senza essere abituati non si sa mai cosa può succedere. Non è stata una cosa molto corretta”.

Quali sono, in questa stagione, i giocatori con cui ti sei trovato meglio in campo?
Zabian Dowdell e Jean Salumu“.

Guardando alla tua carriera, i giocatori che consideri più forti contro cui hai mai giocato?
“Quello che mi ha impressionato più di tutti è Austin Daye. Ha un talento indescrivibile, mi fa impazzire come giocatore, molto bello da vedere”.

Quest’anno in Italia si sono ritrovati giocatori di primissimo piano, e non solo Austin Daye, ma anche Milos Teodosic, Sergio Rodriguez.
“Sì, il livello quest’anno in Italia si è alzato tantissimo, e per me è stato molto figo come esperienza”.

Capitolo 3×3: l’hai iniziato con Join the Game e l’hai ritrovato lo scorso anno con le qualificazioni ai Mondiali, dove c’era anche il tuo allora compagno di squadra Daniele Sandri.
“È Daniele che mi ha fomentato per fare quest’esperienza, poi ho detto “perché no?”, mi hanno chiamato, è la Nazionale, un’esperienza molto bella, da consigliare. E’ dura perché non ti alleni mai su quel campo, con quella palla, perché è tutto diverso, naturalmente poi i dolori li accusi tutti quando torni. Però è un’esperienza molto bella”.

Hai centrato anche un punto particolare. In molti pensano che il 3×3 abbia delle similitudini con il basket normale, invece è uno sport diverso.
“È tutta un’altra cosa, molto più veloce, più “sporco”, ci sono giocatori che fanno solo ed esclusivamente quello, anche perché le federazioni in quel frangente li trattano come se fosse una lega di vita propria. Si allenano su quei campi, fanno i ritiri. Quello che facciamo noi in prestagione nel basket normale loro lo fanno per il 3×3″.

Poi c’è anche, in questo senso, l’idea della Big3 negli Stati Uniti che sta andando avanti da qualche anno, con regole ancora diverse.
“Loro vorrebbero portarsi al professionismo, il problema è che è difficile. In Italia con il 3×3 non vivi, non ci lasci il basket normale. Noi ci siamo incontrati con i compagni di squadra, conosciuti in aeroporto e partiti direttamente”.

Obiettivi futuri?
“Intanto che finisca tutto questo, poi il prossimo anno vorrei rimanere in Serie A, se ci sarà la possibilità”.

Hai centrato un punto importante sull’obiettivo di far finire tutto questo. Secondo te quanto ha veramente senso il continuo discutere sui campionati quando là fuori ci sono delle persone che lottano per vivere e far vivere?
“Purtroppo siamo un po’ noi che sbagliamo, perché la gente non ha capito ancora che non si deve uscire, un po’ tutta la situazione, bisogna che arrivi un vaccino o una qualsiasi cura, fino ad allora si farà fatica”.

Quanto è surreale parlare di pallacanestro, e di sport, in una situazione in cui sono state anche rinviate le Olimpiadi?
“In qualche modo secondo me secondo me se ne deve parlare, perché comunque quando si calmeranno le acque l’Italia dovrà pur ripartire. Secondo me diventa davvero dura se noi italiani non ripartiamo dallo sport. Ora la gente deve iniziare a capire che è realmente pericoloso uscire e sperare che il prima possibile si trovi qualcosa che ci difenda da questo virus. Poi pian piano riattivare tutti, anche iniziando a porte chiuse, e passo dopo passo tornare a riempire i palazzetti”.

Gli allenatori con cui ti sei trovato meglio nella carriera?
“Nel settore giovanile Gaetano La Rocca, poi alla Virtus Bologna Giordano Consolini e Marco Sanguettoli, e in A2 Piero Bucchi e Fabio Corbani“.

Michele Carrea che impressione ti ha fatto?
“Con lui ho un ottimo rapporto di lavoro. Lui mi ha voluto fortemente a Pistoia, ci lavoro bene insieme. Per entrambi è la prima esperienza in Serie A”.

La partita che ti ricordi con maggiore piacere?
“Certamente la finale degli Europei Under 20, e poi quella a Legnano della promozione con Roma”.

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Credit: Ciamillo

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