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Calcio, il ricordo di Franco Scoglio. “Io non alleno, insegno”

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“Morirò parlando del Genoa”. È soltanto una delle tanti frasi iconiche pronunciate da Franco Scoglio, poi drammaticamente, o romanticamente a seconda del punto di vista, tramutatasi in realtà il 3 ottobre del 2005, giorno in cui l’allenatore siciliano è stato colto da un infarto bruciante mentre partecipava alla trasmissione televisiva Primocanale di Genova e proprio nel corso di una lite con il presidente Enrico Preziosi.

Dopo una modesta carriera da calciatore, è da allenatore che Franco Scoglio riuscì a lasciare il segno nello sport che tanto amava: la sua militanza sulle panchine di tutta Italia (e non solo, fu anche commissario tecnico di Tunisia e Libia) cominciò nel lontano 1971 dalla Promozione siciliana, per la precisione dalla Gioiese, e si esaurì a distanza di 32 anni con l’ultima esperienza al Napoli. La classica gavetta, insomma, quella che un tempo era necessaria per scalare le gerarchie. In questa lunghissima trafila il club al quale il nome di Scoglio si lega indissolubilmente è il Genoa, dove lui allenò per la prima volta dal 1988 al 1990, per la seconda nella stagione 1993/94 e per l’ultima nell’annata 2001/02. Non una permanenza lunghissima, ma sufficiente per innamorarsi perdutamente del Grifone, un amore talmente forte da perdurare fino all’ultimo respiro.

Il ‘Professore’, come veniva soprannominato a causa della laurea in Pedagogia, partì dal Meridione e si affacciò al calcio professionistico con il Messina, altra squadra nella quale riceverà tre mandati non consequenziali. Nell’ultimo di questi riuscì a portare il club siciliano in Serie B e plasmò un calciatore che rivestirà un ruolo discretamente importante nella storia della Nazionale italiana, Totò Schillaci, l’eroe dei Mondiali del 1990. Come detto, il primo contatto con il Genoa è datato 1988 e fu amore a prima vista, tanto che Scoglio dichiarò di conoscere tutti “i 5000 volti della Gradinata. I nomi no, ma i volti sì”. Se dal punto di vista mediatico il liparese si erse a difensore della causa rossoblu contro la Sampdoria che ammiccava allo scudetto, sotto l’aspetto tecnico introdusse il concetto di marcature preventive e puntò tanto sulla verticalità e sul pressing.

Un tecnico d’altri tempi, che si autodefiniva “un allenatore di strada, un po’ prostituta, che si arrangia“. Un mister all’avanguardia per idee di gioco, sebbene ciò non gli sia stato riconosciuto per quanto avrebbe meritato. Famosa la sua “zona”, che egli aveva il compito di insegnare ai suoi calciatori, esattamente come un docente: “La prima cosa necessaria, è la coscienza di essere una squadra con valori forti. Il modulo è soggettivo, anche se l’identità coincide col modulo. Io parlo per me: nella mia zona, la palla, e cioè il modo con cui viaggia, ha la precedenza sullo spazio e, infine, sull’uomo. Palla, spazio, uomo: è la mia regola. Devo essere chiaro nella didattica. Io non comando, guido.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: LaPresse

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