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Ciclismo
Ciclismo, Michele Bartoli: il Leoncino delle Fiandre che diede spettacolo nelle classiche a cavallo tra Vecchio e Nuovo Millennio
Cresciuto grazie alla grande scuola toscana, ed erede di Fiorenzo Magni, il Leoncino delle Fiandre Michele Bartoli, è di sicuro il miglior Maestro delle Classiche della sua generazione. Uno stile unico, assoluto, al pari dei fiamminghi dei suoi tempi capitanati da Johan Museeuw. Ma per il resto, la dolce Italia, aveva anche Andrea Tafi, Franco Ballerini, Paolo Bettini… Tutti toscani. Il 1996 fu l’anno dell’esplosione di Bartoli: nove vittorie e tra queste il Giro delle Fiandre. Il suo forcing sul Grammont, nel finale dell’ottantesima edizione della Ronde, è stato un capolavoro da togliere il fiato: uno scatto impetuoso, superbo, in piedi sui pedali, un vantaggio sempre più pesante, chilometro dopo chilometro. 55″ per la gloria, 55″ per l’eternità nella storia del Fiandre.
Fu un anno inteso, culminato col terzo posto al Mondiale di Lugano vinto dall’eterno rivale Museeuw. Una sconfitta amara. Nel 1997 si confermò a grandi livelli con il trionfo alla Liegi-Bastogne-Liegi. Mentre nel 1998 ottenne il suo record di vittorie (11) bissando il successo alla Liegi e in Coppa del Mondo. Ai Mondiali di Valkenburg era nuovamente tra i favoriti, ma anche questa volta dovette arrendersi e accontentarsi dell’ennesimo terzo posto in una gara che sembrava proprio dannata per lui. Chiuse l’annata al primo posto nella classifica UCI. Nel 1999, con la sua nuova squadra, la Mapei, la stagione prese subito un ritmo intenso con la vittoria nella Freccia Vallone; ma al Giro di Germania, ecco l’interruzione dei sogni, con la rottura del ginocchio e la fine di tutta l’annata. Uno shock.
La rabbia prevalse, come del resto la voglia immane di tornare ad alti livelli. Dopo l’infortunio trascorse un anno di sofferenza, una riabilitazione difficile, e un ritorno frettoloso che lo illuse con una vittoria alla Ruta del Sol del 2000, poi le lacrime alla Tirreno-Adriatico, la disperazione. Un tutore bianco per proteggere il ginocchio per una discreta Milano-Sanremo, l’ennesimo crollo con un Fiandre complicato, una Gand Wevelgem infernale, l’ennesimo stop. Poi, improvvisamente, arrivò la vittoria più inattesa, il Campionato Italiano. Alle Olimpiadi di Sydney riuscì a sfiorare il podio: quarto posto nella prova in linea. Il 2001 non fu emozionante, nonostante il passaggio alla Fassa Bortolo, con la delusione del Mondiale e di quell’undicesimo posto. Anche se oramai l’annata era andata. Il 2002 iniziò alla grande: vittoria nella classifica finale del Giro del Mediterraneo con affermazione sul Mont Faron e nella crono a squadre. Nelle classiche del nord vinse l’Amstel Gold Race e, fu terzo nella Freccia Vallone; tornando finalmente a grandi livelli.
Si presentò al via del Giro d’Italia in ottime condizioni, ma fu bloccato dall’ennesimo incidente, con la frattura composta dell’ala iliaca destra. Tornò a correre in estate inoltrata, trovando la forza e la determinazione per segnare il finale di stagione. Vinse l’Emilia, quindi la Milano-Torino e, dopo il Mondiale di Cipollini, il Giro di Lombardia. Ma non ci fu pace, e nel 2003 cadde a Barcellona e si fratturò ancora. Decise di passare nel 2004, alla CSC di Bjarne Riis, anche per dimostrare a se stesso e agli altri che non era un campione finito. Fu l’ennesima sfida. Firmò i primi di ottobre, dieci giorni dopo arrivò il riscatto, un altro capolavoro al Giro di Lombardia, a dimostrazione della sua classe innata. Il 2004 fu per Michele una stagione anonima, condizionata da problemi alla gamba e alla schiena, e a fine anno annunciò il suo ritiro.
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lisa.guadagnini@oasport.it
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Foto: Lapresse