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Francesco Laporta, golf: “I miei tre obiettivi: giocare le Olimpiadi, un Major e mantenere la carta per l’European Tour”

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Numero 128 dell’OWGR al momento in cui la classifica è stata bloccata per effetto dello stop al golf nel mondo dovuto alla pandemia di coronavirus, Francesco Laporta è l’uomo nuovo (ma non troppo) del 2020 azzurro sull’European Tour. Dopo aver conquistato la carta da mattatore del finale di stagione 2019 sul Challenge Tour e uno spettacolare settimo posto all’Open d’Italia, ha trovato un buon risultato ad Abu Dhabi nell’inizio di un’annata che, forse, senza lo stop avrebbe potuto portarlo piuttosto lontano. Abbiamo raggiunto Laporta telefonicamente: ci ha raccontato la sua carriera, le sue ultime sensazioni e i suoi obiettivi.

Come hai vissuto l’interruzione e come ti saresti programmato senza di essa?

“Sono stato uno dei primi a essere fermato perché stavo andando dall’Oman al Qatar, sono arrivato lì e mi hanno bloccato per il coronavirus e obbligato a tornare indietro. Sono stato uno dei primi viaggiatori, nonché sportivi, italiani a essere bloccato per questo motivo. Avrei gareggiato tutte le settimane. Fra l’altro ora è anche arrivata la comunicazione della cancellazione del BMW International Open e dell’Open de France e lo spostamento dello Scottish Open. Adesso il rientro dovrebbe essere a fine luglio. 3 mesi di pratica indoor ancora”.

Ed è una stagione in cui hanno cancellato l’Open Championship e spostato gli altri Major.

“Sarà anche un problema per il Tour riorganizzare un calendario, stanno cercando di studiare il calendario migliore possibile per farci rientrare”.

Anche perché le Olimpiadi sono state rinviate, e sfruttando la sequenza di rinvii Olimpiadi-Major il PGA Tour ha riprogrammato gli eventi in quelle settimane.

“L’idea del Tour era fare due tornei a settimana, quando ci sarà il rientro, con la possibilità di scegliere dove andare. Il problema è che quando si ricomincerà, ci saranno tante gare posticipate da giocare con poche settimane a disposizione, e la stagione deve finire entro il 2020. Questo è quel che pensano”.

Il fatto di giocare due tornei a settimana da una parte abbassa un po’ il campo di partecipazione, dall’altra suona strano per come si vive il golf, cioè con sempre un evento ogni settimana.

“Purtroppo sì, perché non siamo abituati a decidere dove andare, ma a giocare settimana dopo settimana, fare una o due settimane di riposo e continuare così la stagione. Adesso invece al rientro saremo obbligati a giocare il più possibile senza fermarci”.

Cosa pensi del blocco del ranking?

“Penso sia giusto, perché bloccarlo significa che nessuno perde punti, posizioni in modo ingiusto”.

Come mai hai deciso, tra il 2013 e il 2015, di giocare soprattutto sul Sunshine Tour?

“Avevo provato a qualificarmi per il Challenge Tour, ma non ci sono riuscito e comunque avevo già giocato molti anni da dilettante in Sudafrica. Ho un mio parente lì, quindi sono andato a giocare le qualifiche del Sunshine, ed era l’ultima possibilità che mi davo per quell’anno di passare professionista. Sono riuscito a qualificarmi e poi a giocare due anni lì”.

Poi sei arrivato nel 2016 sull’European Tour, ma non andò benissimo. Cos’è cambiato tra il Francesco Laporta del 2015-2016 e quello del 2019-2020?

“Quando sono arrivato sul Tour nel 2016 ero poco preparato, venivo da una stagione non positiva sul Sunshine. Mi stavo giocando le ultime carte per qualificarmi, ho trovato due settimane incredibili e sono riuscito a prendere la carta, ma ero consapevole che non ero ancora all’altezza e dovevo lavorare ancora tanto. Io sono partito quell’anno sapendo che non sarebbe stato facile, ma che mi sarebbe servito in futuro per fare esperienza, infatti così è stato. Gli anni successivi mi sono sentito molto più preparato anche sul Challenge, ho cambiato parte del mio team, del mio staff, metodo di allenamento, e tutto questo perché l’anno sul tour europeo mi è servito a osservare i grandi campioni. Da lì ho preso spunto e sono riuscito a prepararmi bene per gli anni successivi, fino all’anno scorso dove ho fatto un finale di stagione incredibile”.

In quel 2016, però, avevi anche avuto un buon risultato, il 22° posto al Trophée Hassan II.

“Sì, fra l’altro ero anche primo dopo due giri, ero messo bene anche dopo il terzo, poi ho avuto un giro finale non bello. È stato un piccolissimo exploit dell’anno. Sapevo che non era abbastanza, che non ero pronto io per affrontare un anno completo a quel livello. Giocavo, facevo sempre prova campo con Dodo Molinari (Edoardo, N.d.R.), facevo tante domande, mi facevo spiegare tante situazioni e da lì ho guadagnato tanta esperienza che ho messo in campo nel Challenge Tour”.

E poi è arrivato questo 2019 esplosivo.

“Un finale di stagione importante. Io non venivo da tante gare buone prima di fare l’exploit all’Open d’Italia, poi da lì sono riuscito a vincere due tornei su tre sul Challenge, l’Ordine di Merito e prendere la carta sull’European Tour”.

Te l’aspettavi di riuscire ad arrivare settimo all’Open d’Italia?

“No. Sinceramente non era il mio obiettivo fare una grande settimana là. L’ho giocato sia per merito italiano che perché quella settimana non avrei giocato sul Challenge, c’era un torneo in Irlanda e l’ho presa come una settimana jolly per fare esperienza, per iniziare ad abituarmi a stare in mezzo ai campioni, perché comunque venivo da settimane molto positive sul Challenge, dove mi stavo avvicinando al raggiungimento della carta. È stato fantastico, da lì ho preso fiducia e ho vinto la settimana dopo in Cina”.

Sei diventato numero 4 d’Italia e ti sei avvicinato molto alla possibilità di avere l’eleggibilità per il torneo olimpico, prima del rinvio.

“Ero molto vicino, è vero. Dovevo guadagnare una ventina di posti per entrare di diritto, e purtroppo ci hanno fermato, però è soltanto un piccolo ostacolo che si supererà l’anno prossimo”.

Stavate lottando tu, Andrea Pavan e Guido Migliozzi per il secondo posto italiano.

“Sì, ma non soltanto noi tre, c’era anche Renato Paratore, Nino Bertasio, tanti. Sarà una bella lotta alla fine”.

Anche perché, per com’è strutturato il ranking, basta un risultato per fare un balzo enorme.

“Una buona settimana, guadagni tanti posti in classifica e anche il posto alle Olimpiadi”.

Tu ritieni giusto, in proposito, che rimanga biennale, premiando così i meriti sul lungo periodo?

“Sì, anche perché non si possono cancellare i risultati fatti nell’anno precedente da un giocatore. Ci sta che si scali ogni due anni, è giusto per tutti”.

Per te i Major sono ancora un obiettivo?

“Sì, era uno dei miei tre obiettivi di quest’anno assieme a quello di mantenere la categoria dell’European Tour e giocare le Olimpiadi. Però per cause di forza maggiore, purtroppo, siamo stati un po’ bloccati. Gli obiettivi però rimangono quelli anche per il 2021 e 2022″.

Fra l’altro nel tour europeo eri partito benissimo arrivando 17° ad Abu Dhabi giocando un ottimo torneo.

“Ero partito bene, stavo giocando abbastanza bene nonostante un livello di forma che sentivo non ottimale. È stata una bella settimana, peccato per l’ultimo giro dove ho perso tre colpi nelle ultime sei-sette buche un po’ per sfortuna e un po’ per colpa mia, però ero messo bene, ero nei primi dieci a 4-5 buche dal termine, poi purtroppo ho perso qualche colpo. Però è stata una bella settimana, di fianco ai più forti giocatori del mondo e da lì ho acquisito qualcosa. Due settimane dopo stavo giocando bene in Arabia Saudita, poi purtroppo ho avuto un weekend negativo, ma mi sentivo bene, in forma, che il risultato giusto stava arrivando”.

Quali sono gli aspetti del tuo gioco su cui pensi di voler migliorare di più?

“Sicuramente ho tanto da migliorare, nel golf non si smette mai di imparare. Continuo a lavorare sul mio swing, devo sicuramente migliorare il gioco corto, inteso come il putt, che è quello che mi ha penalizzato nelle ultime settimane di gioco, dove ho perso qualche colpo. Sto lavorando anche sulla testa”.

Che nel golf è l’elemento forse più importante, perché bisogna rimanere concentrati per quattro giorni, sette chilometri (di media) al giorno.

“Io penso che faccia il 70% del gioco. Puoi anche essere il più grande del mondo, ma se non hai la testa per affrontare determinati momenti di sicuro non ce la fai. Prendi uno come Tiger Woods: è stato numero 1 al mondo per così tanto tempo non tanto per il suo gioco, quanto per la sua testa. Ci sono giocatori che giocavano meglio di lui, ma Tiger mentalmente era ed è imbattibile”.

Lui, del resto, ha sempre dimostrato di saper mettere pressione, anche quando era indietro, sui suoi compagni di giro.

“Vai a giocare con lui, è un sogno per tutti, poi lui è tornato anche a vincere dopo tutto quello che è successo, dopo tanti anni di chiusura tra problemi fisici e privati. È tornato alla grande, vincendo sul PGA Tour, vincendo un Major, quindi mentalmente non è mai cambiato. Gli piace stare sotto pressione, ha una forza mentale non indifferente”.

Quali sono state le persone più importanti nella tua formazione come golfista?

“Di certo i miei genitori, che mi hanno aiutato negli anni e supportato sempre, e tutta la mia famiglia in generale, tant’è che adesso mi gestiscono tutto i miei fratelli, dalla parte logistica a quella economica. Poi i miei maestri lungo il percorso, da Pietro Cosenza a Gavan Levenson, all’attuale maestro della Nazionale italiana Massimo Scarpa. Devo fare un ringraziamento particolare al mio preparatore atletico, che mi ha fatto crescere tantissimo in questi sette anni nei quali sono con lui, senza mai avere un infortunio, un intoppo fisico. Siamo sempre riusciti a lavorare bene senza mai stare male”.

Arrivi in un momento particolarmente florido per il golf italiano, con Francesco Molinari che ha vinto l’Open Championship, le tante vittorie dei tuoi colleghi sull’European Tour. Questo sembra che sia anche uno stimolo a migliorarvi tra di voi, a sfidarvi, a darvi la spinta.

“Sicuramente. Il 2019 è stato l’anno più vincente della storia del golf italiano tra dilettanti e professionisti, con una cinquantina di gare vinte. Un dato importante, anche perché siamo in pochi a giocarlo. Abbiamo fatto capire al resto d’Europa che l’Italia del golf c’è, esiste e possiamo essere molto competitivi e vincenti. Di certo lo stimolo per tutti è stato quello che ha fatto Chicco un anno e mezzo fa, e i risultati si stanno vedendo. È stato il trascinatore di tutto”.

State facendo quasi un miracolo con un materiale umano a disposizione che non è tanto. Un tratto comune non solo con il golf, ma anche con altre discipline in situazioni simili.

“Abbiamo un grande cuore noi italiani, sappiamo come sfruttare le occasioni in tutti gli sport. Siamo veramente in pochi a giocare a golf in Italia, quindi sì, stiamo facendo un mezzo miracolo. Se facciamo un confronto, noi siamo 90.000 mentre in Austria ce ne sono 200.000-250.000, e se metti a confronto le due nazioni è un po’ incredibile. Ognuno cerca di fare il suo e di sfruttare ogni tipo di occasioni”.

Il percorso che ti piace di più e quello che ti piace di meno?

“Quello che mi piace di più è sicuramente il mio campo dove mi alleno, al San Domenico Golf a Brindisi, dove sono cresciuto, e ormai sono 17 anni che mi alleno là. “Purtroppo” ce l’ho nel cuore e rimane il mio preferito. Non so in realtà quale sia quello che veramente mi piace di meno, un appassionato di golf non riesce a trovare tanti difetti in un campo. Se amo questo sport amo qualsiasi campo a disposizione, quindi non saprei darti un nome. Semmai non amo giocare in Scozia perché c’è vento e fa freddo, però per il resto i campi sono stupendi. È più una questione meteorologica. Da buon pugliese preferisco non giocare al freddo”. (ride)

Cosa pensi che succederà con la Ryder Cup quest’anno?

“Ancora non si ha la certezza, siamo tutti in attesa. Non so come andrà a finire. Credo che comunque prenderanno la decisione più giusta per preservare la salute dei giocatori. Non giocarla potrebbe essere un’opzione. Non dimentichiamo che per adesso, se giocheremo, lo faremo a porte chiuse. Giocare una Ryder a porte chiuse non ha molto senso, perché il bello della Ryder è tutto il tifo che porta. Hanno spostato le Olimpiadi che sono un evento mondiale, spostare anche la Ryder di un anno non sarebbe così irrealistico”.

Anche perché il problema non è tanto lo spostamento degli eventi, ma il fatto di trovare delle soluzioni adeguate, perché sono stati tutti spiazzati dalla situazione.

“Il fatto è che non bisogna vedere l’evento soltanto in quanto tale, ma anche tutto il business che c’è dietro, purtroppo”.

I golfisti che tu hai ammirato di più sia mentre stavi arrivando al professionismo che quando hai giocato al loro fianco?

“Ce ne sono tanti. Vedere anche il percorso che ha fatto Francesco Molinari è incredibile. Ci sono tanti che dal nulla sono diventati grandi campioni, basta vedere quello che ha fatto Justin Rose: è passato professionista, era visto come un grande talento, ha mancato 21 tagli di fila, ha avuto problemi seri, ma è poi riuscito a tornare. Anche la storia di Severiano Ballesteros: ho visto il suo film, si chiama ‘Seve: The Movie’, in cui si racconta tutta la sua vita, com’è nato, com’è cresciuto. È partito da caddie, e poi da lì gli hanno regalato un bastone da golf ed è diventato il grande campione che è stato. Mi ispiro tanto a Seve. Mi identifico un po’ in quel che ha fatto, perché vengo dal Sud Italia, dove ci sono pochissimi giocatori, dove mi alleno spesso da solo e quindi non è facile. Ho fatto un percorso nel quale sono andato via di casa a 16 anni e ho fatto tanti sacrifici nella mia vita. Purtroppo la gente vede soltanto quel che c’è dopo, non vede tutti i sacrifici fatti prima. Anche Seve ha fatto mille sacrifici nella sua vita ed è stato un punto di riferimento per me”.

Come tu sostieni, molti non comprendono tanti piccoli dettagli importanti. Spesso viene sottovalutata tantissimo l’importanza dei caddie.

“Sono le prime persone che vengono penalizzate o premiate quando il giocatore va bene o male. Il caddie è l’unica persona che può parlare con il giocatore durante il giro, ed è quello che ti dovrebbe dare il consiglio giusto nel momento giusto. C’è piena fiducia tra giocatore e caddie. Questo è un lavoro da tanti sottovalutato, ma per noi molto importante perché avere di fianco un caddie vuol dire risparmiare anche un colpo a giro, e anche due-tre a torneo, il che poi diventa importantissimo alla fine. Quindi avere una buona persona di fianco, che ti conosce alla perfezione, è fondamentale. Io per esempio ho il mio caddie da tre anni, ci conosciamo bene ora. Abbiamo avuto dei battibecchi, ma è la persona di cui mi fido di più ed è quello che mi conosce meglio sul campo da golf. Stiamo facendo e abbiamo fatto un buon lavoro. Siamo cresciuti tanto, abbiamo fatto tanta esperienza insieme, questo ci ha portato sul tour e stiamo lavorando insieme per rimanerci”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse

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