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Ciclismo

Giro di Lombardia 1995: il capolavoro di Gianni Faresin

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Risulta noto da tempo che, se uno impara ad andare in bicicletta, questa capacità non lo abbandonerà mai durante tutto l’arco della sua esistenza. Il “pedalare”, così come il nuotare o il saper correre, è un gesto che quindi andrebbe insegnato ad ogni bambino, per garantirgli questa splendida opportunità per il suo futuro di vita. Trattando di “opportunità” regalate dalla bici, il pensiero corre veloce al 22 ottobre 1995 e all’impresa inaspettata di Gianni Faresin al Giro di Lombardia.

Il veneto di Marostica non è un corridore come gli altri: la sua vita non è costellata di successi, di fortune, di scommettitori che puntano l’indice sul suo cognome così atipico. Gianni, classe 1965, è infatti cresciuto in una famiglia di carpentieri, con i suoi tre fratelli che ancora svolgono questa faticosa professione. Per lui, come per pochi altri, la bicicletta è stata un’opportunità di vita, un mezzo con cui evadere, sia fisicamente che moralmente, dalla realtà in cui era cresciuto.

Alla soglia dei trentanni, quando si presenta ai nastri di partenza di quel Lombardia, Faresin è consapevole che quella sarà probabilmente l’ennesima corsa che dovrà correre da gregario. Le sue caratteristiche da scalatore con scarso spunto veloce lo hanno infatti da tempo indirizzato alle corse da un giorno ma, i suoi giorni migliori, sembrano essersi allontanati da tempo.

Il Giro di Lombardia di quell’anno è un’edizione abbastanza atipica. L’arrivo è a Bergamo e il percorso leggermente modificato. La stagione è stata lunghissima e molti sono i campioni, soprattutto azzurri, attesi a riscattarsi, nell’ultima occasione disponibile, dopo la deludente rassegna iridata colombianoa. Chiappucci e Bugno, umiliati al Mondiale, Gotti (quarto al Tour quell’anno) e la coppia  Bartoli (Michele, ndr)- Frattini sono i ciclisti più attesi e nessuno nota il veneto Faresin che, proprio in quella stagione, ha rinunciato al Tour per arrivare al meglio al Mondiale (corso alla grande) e a quel Lombardia.

La corsa si presenta da subito aggressiva e stremante e, nel finale, a pochi chilometri da Bergamo, tutto sembra essere ancora in sospeso. Davanti, sul Gallo, Bartoli prova l’affondo e stacca subito il gruppo dei pochi ancora in lizza per la vittoria finale. Lo seguono, dopo un attimo di esitazione, Daniele Nardello e il trentenne Faresin, col primo che tenta subito anche un contro-attacco. Bartoli vede il tentativo di Nardello e, incurante di Faresin, risponde all’allungo, chiedendo troppo persino alle sue gambe. I due improvvisamente pagano lo sforzo e si piantano. Alle loro spalle parte allora il “carpentiere” Gianni, che con una gamba esagerata arriverà, indisturbato, a braccia alzate sul traguardo di Bergamo, ottenendo la sua sesta vittoria in carriera, di certo imparagonabile per valore a quelle accumulate in precedenza.

Il Lombardia del ’95 finisce quindi nelle mani di un ciclista venuto da lontano, con le gambe da gregario e l’aura di non vincente fissata addosso da tempo. Quel giorno resterà il punto più alto della carriera del veneto che ai microfoni dei giornalisti all’arrivo dichiarerà commosso: “Su quel rettilineo, quando mi sono voltato e non ho visto nessuno dietro, mi veniva da piangere. Ci tenevo a vincere almeno una grande corsa, a 30 anni avevo quasi perso ogni speranza. Dedico questa vittoria a mia moglie e al figlio che mi nascerà a marzo”.

Parole di un padre, di un uomo umile. Dichiarazioni di un gregario rimasto nell’ombra per anni, a cui la bicicletta ha regalato un giorno da campione. 

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michele.giovagnoli@oasport.it

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Foto: Wikipedia

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