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L’Italia è grande: Berlino 1936, l’unico oro olimpico azzurro nel calcio e l’imbattibile Nazionale di Vittorio Pozzo

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L’Italia, storicamente una delle nazioni più autorevoli a livello calcistico, come testimoniano anche i quattro titoli vinti ai Campionati del Mondo, ha da sempre un rapporto problematico con le Olimpiadi: basti pensare che nelle 26 edizioni del torneo di calcio della rassegna a cinque cerchi si è piazzata sul podio soltanto in tre occasioni. Se ad Amsterdam 1928 e ad Atene 2004 la medaglia ottenuta è stata di bronzo, i Giochi di Berlino 1936 sono gli unici che hanno regalato all’Italia la gloria dell’oro olimpico.

Le Olimpiadi di Berlino furono fortemente volute dal regime hitleriano, consapevole che un evento di questo tipo potesse rivelarsi uno strumento di propaganda senza paragoni. Per quanto riguarda il calcio, l’introduzione dei Mondiali (1930) andò a incidere fortemente sul torneo olimpico e si decise che a quest’ultimo avrebbero dovuto partecipare soltanto giocatori dilettanti. Tale novità rappresentò un problema non di poco conto per il commissario tecnico italiano Vittorio Pozzo, che con la fortissima Nazionale maggiore due anni prima aveva vinto il Campionato del Mondo, impresa che avrebbe ripetuto anche nell’edizione del 1938.

Pozzo fu dunque costretto a convocare calciatori non affermati, ufficialmente iscritti a Università o Istituti Superiori. La ricerca, poi rivelatasi vincente, non fu affatto facile, come raccontato dall’allenatore stesso: “Dovevo attenermi agli studenti e chiamai i giuocatori uno ad uno individualmente, ben deciso a non mandare indietro chi avevo convocato. Dovevo anche in quel caso arrivare al numero di ventidue. Ero stato in precedenza ai Giuochi Universitari nostri a Bologna, e con l’ambiente studentesco non avevo mai perso in realtà contatto. A Firenze, a Bologna, a Livorno, ma principalmente a Pisa, in una partita appositamente organizzata, avevo visto dei ragazzi tecnicamente bene impostati, e che facevano al caso nostro. Avevo assunto informazioni, e qualcuno lo avevo anche seguito da vicino. Uno per uno, affluirono tutti: Piccini della Fiorentina, Baldo della Lazio, Biagi del Pisa, Marchini della Lucchese, Cappelli del Viareggio, Scarabello dello Spezia, Venturini della Sampdoria. Tutti studenti autentici, e ragazzi di buona famiglia. Poi vennero Foni e Rava della Juventus, e Bertoni del Pisa, e buoni ultimi Frossi e Locatelli, già in procinto di essere accaparrati dall’Ambrosiana”.

Intorno a quell’improvvisata selezione regnava un certo scetticismo, che fu acuito dalla brutta impressione destata dalla partita d’esordio, vinta in maniera per nulla convincente contro i modesti Stati Uniti: ad ogni modo, la rete dell’occhialuto Annibale Frossi nel secondo tempo trascinò gli azzurri ai quarti di finale. Nei quattro giorni che separavano le due partite Pozzo lavorò ossessivamente sulla testa dei giocatori, riuscendo a infondere in loro la sua mentalità vincente: il Giappone, che aveva estromesso dal torneo la quotata Svezia, venne travolto con il punteggio di 8-0 grazie alle quattro reti di Carlo Biagi, alla tripletta di Frossi e al sigillo finale del capitano Giulio Cappelli. La semifinale si disputò davanti ai novantamila spettatori dell’Olympiastadion: l’avversaria dell’Italia era la temibile Norvegia, che ai quarti aveva eliminato la Germania padrona di casa. Il match fu estremamente equilibrato e gli azzurri riuscirono a spuntarla soltanto ai tempi supplementari: Negro aprì le marcature al 15′, ma Brustad pareggiò i conti al 58′; ancora una volta a risultare risolutivo fu bomber Frossi, che al 96′ fu lestissimo a ribadire un rete una conclusione di Sergio Bertoni.

Epilogo identico ebbe la finalissima contro l’Austria che, ormai prossima all’Anschluss, godeva del favore del pubblico tedesco e veniva considerata la favorita dell’incontro. Dopo l’1-1 dei tempi regolamentari, timbrato da Frossi e Kainberger, ai supplementari la rete decisiva fu realizzata dal solito Frossi che, imbeccato da un cross di Gabriotti, approfittò di una splenda finta di Bertoni e scaricò un sinistro letale nella porta austriaca. Fu il settimo centro del suo torneo, che lo consacrò capocannoniere dei Giochi berlinesi e gli valse un contratto con l’Ambrosiana-Inter. L’Italia, inaspettatamente quanto meritatamente, si prese così l’oro olimpico, che resta agli atti come l’ennesimo capolavoro di Vittorio Pozzo: “Per me, quella è stata la gioia intima più grande che io abbia attinta dalla mia lunga carriera sportiva. Di soddisfazioni del dovere compiuto con successo ne ho avuta qualcuna. Questa sta al sommo: partire dal nulla, e in due mesi di lavoro chiuso, duro, tenace, caparbio quasi – e pur pieno di sentimento – conquistare una Olimpiade”.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: Olycom / LaPresse

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