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L’Italia è grande: Carlton Myers, Italia, Fortitudo Bologna e record di punti. Storia di un simbolo del basket azzurro

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Si legge Carlton Myers, si scrive uno dei giocatori più popolari, conosciuti e di talento che l’Italia abbia conosciuto negli ultimi trent’anni di pallacanestro. Non serve andare molto lontano per trovare il simbolo degli Anni ’90 della Nazionale azzurra: è lui, l’uomo che per venti stagioni abbondanti ha fatto impazzire qualunque difensore gli capitasse davanti.

Nato a Londra il 30 marzo 1971, Myers è figlio di padre caraibico (e musicista) e madre di Pesaro. Quando si trasferisce a Rimini con quest’ultima, a nove anni, nella sua vita c’è il flauto traverso, eredità proprio del padre, sassofonista. Ma è a questo punto che fa il suo ingresso Claudio Papini: figura di riferimento nel Basket Rimini, che ne segna lo spostamento definitivo dal mondo musicale a quello cestistico. La prima impresa della vita Myers la firma proprio con la società che, molto tempo dopo, avrebbe assunto la denominazione di Crabs: la vittoria di tutti gli scudetti delle categorie giovanili. Risultato di ancor maggior prestigio, questo, se si pensa che tutta la squadra era composta da ragazzi di Rimini. Nell’ordine, gli scudetti in questione sono: Propaganda 1984-1985, Ragazzi 1985-1986, Allievi 1986-1987, Cadetti 1988-1989 e Juniores 1990-1991. In quest’ultima stagione, l’avversaria è una big del basket italiano del tempo, la Stefanel Trieste, in cui si fa le ossa un certo Gregor Fucka.

Parallelamente, proprio in quell’annata 1990-1991, Myers esordisce in pianta stabile in prima squadra. Rimini, in quel periodo, viene da stagioni complicate, passate dai sogni di avere una grande squadra per la Serie A1 alla discesa in B1. Con Myers e una parte dei “ragazzi del ’72”, però, il ritorno in A2 è molto veloce, ma è nella stagione successiva che il talento esplode vivo, riportando la città in A1 grazie al playoff-playout incrociato con la massima serie. Basta un dato: dai 5.9 punti di media, passa a 26.8. Un differenziale di 20.9, qualcosa di enorme da qualunque parte la si veda.

In questo modo, Myers diventa il naturale oggetto dell’estate di mercato 1992: è Pesaro a portarselo in squadra, con una comproprietà biennale che nella prima stagione, con allenatore Alberto Bucci, lo porta a 16.8 punti di media e alla semifinale contro Treviso, e nella seconda, con Valerio Bianchini in panchina, fino all’ultimo atto. Avversaria è la Virtus Bologna. I numeri di stagione, alla fine, dicono che Myers viaggia a 25.1 punti di media, ne fa anche 51 in una partita e chiude a quota 1003 in totale senza mai scendere sotto la doppia cifra. L’esito dell’ultimo atto, però, è amaro, con il 3-2 in favore delle V nere a spezzare i sogni di terzo scudetto della Scavolini.

In mezzo alle due stagioni pesaresi, arriva anche la prima grande esperienza con la Nazionale. Il 1993, però, è un anno sfortunato, perché la prima volta di Ettore Messina sulla panchina azzurra finisce con degli Europei in Germania disastrosi, con annessa eliminazione nella seconda fase con due sole vittorie a fronte di quattro sconfitte.

Nell’estate 1994 i New York Knicks, come ammesso numerosissimi anni più tardi, lo invitano per un provino, ma lui rimane in Italia. Non a Pesaro, però, perché ritorna nella sua Rimini, in A2. E, nel 1995, il 26 gennaio, realizza il record ancora oggi imbattuto in Italia: 87 punti, contro Udine, in una partita in cui i compagni, quando iniziano a capire quello che sta per succedere, prendono a dargli la palla non poche volte. E lui si prende un pezzo di storia. Che, però, non basta per riportare Rimini in A, a causa della sconfitta nei playoff con Forlì (0-3).

A quel punto, però, il ritorno in A1 è inevitabile: lo chiama la Fortitudo Bologna, allora sponsorizzata Teamsystem, che inizia a percorrere gli anni più belli della propria storia sotto la presidenza di Giorgio Seragnoli. Nelle prime tre stagioni arriva anche il primo trofeo importanti della storia fortitudina, la Coppa Italia 1998 vinta in finale contro la Benetton Treviso. I derby con la Virtus, se possibile, si fanno più infuocati che mai, e nella stagione 1997-1998 si raggiunge l’apice: nei quarti di Eurolega scoppia una rissa che a vent’anni abbondanti di distanza si ricordano ancora in tanti, e in finale scudetto ci sono proprio loro, Virtus e Fortitudo. L’allora PalaMalaguti (oggi Unipol Arena) sulle tribune non mostra nemmeno un filo d’aria libero, e si decide tutto in gara5, anzi negli ultimi suoi 30 secondi dell’ultimo quarto, con il “tiro da quattro” di Sasha Danilovic e la successiva palla persa di Dominique Wilkins, leggenda NBA e tuttora 13° più prolifico marcatore nella storia della massima lega professionistica americana. Per Myers le medie continuano a essere altissime: 26 punti nella prima annata, 22.8 nella seconda e 20.5 nella terza, superando per quattro volte quota 40.

In azzurro, invece, ci ritorna per gli Europei 1997, in cui è spesso e volentieri decisivo, con una trama di quelle diaboliche, perché a Messina viene a mancare il padre Filippo proprio durante la prima fase. Eppure gli azzurri ci sono, Myers non fa mai mancare grandi quantità di punti, e sul cammino verso la finale di sconfitta non ce n’è nemmeno una. L’ultimo atto, però, vede la difesa della Jugoslavia prendersi ciò che non era stato nel primo girone, vincendo. Per gli azzurri, comunque, con l’argento c’è la qualificazione ai Mondiali 1998, in cui il numero 10 stavolta salta le prime due partite, poi si riprende e si presenta alla grande sfida con gli Stati Uniti. Che, però, sono privi degli NBA: il lockout che porterà alla prima stagione dimezzata della storia della lega priva Atene della vista delle superstar, sostituite dalla “sporca dozzina” (“Dirty Dozen“, nell’originale, con il riferimento al celebre film del 1967) in cui molti hanno giocato o avrebbero poi giocato in Italia. Myers ne mette 32, ma la Nazionale, in quei quarti di finale, deve arrendersi per 77-80, finendo poi sesta.

Si tratta soltanto del preludio al secondo grande trionfo della storia azzurra: gli Europei 1999. Myers, che viene da un’annata in cui, in campionato, ha segnato meno del solito (17.8 punti), ma che ha visto la Fortitudo volare fino in semifinale di Eurolega (battuta di nuovo dai cugini), non arriva nelle migliori condizioni per fattori esterni all’azzurro e finisce sotto accusa nella sconfitta per 68-70 contro la Croazia, dal +19 del primo tempo. Si riscatta contro la Bosnia-Erzegovina con 22 punti e un gran finale, poi contro la Turchia quando porta via a un giovane Kerem Tunceri la palla del possibile pareggio o sorpasso turco nel finale. Da Antibes a Le Mans, battute Germania e Repubblica Ceca, arriva il duro stop per la squadra di Bogdan Tanjevic, per tutti solo Boscia, con la Lituania di Arvydas Sabonis. Nei quarti con la Russia, a Parigi, lo spavento: Karasev lo centra a una mano, l’anulare sinistro è lussato, interviene Andrea Meneghin che riduce sul posto la lussazione prima che Andrea Billi e Sandro Galleani intervengano in modo più appropriato. La semifinale con la Jugoslavia è una delle più belle partite della storia azzurra, in finale Myers dice 18, batte la Spagna, è quarto miglior marcatore del torneo ed entra nel quintetto ideale, anche se poi il titolo di MVP se lo porta a casa un monumentale Gregor Fucka. E alle Olimpiadi del 2000, a Sydney (affrontate da portabandiera, peraltro), le cose potrebbero diventare ancora più luminose, perché il trio Myers-Fucka-Meneghin funziona davvero. Ai quarti, però, l’Australia gioca il suo scherzo: Andrew Gaze (tra i massimi giocatori del suo Paese, una stagione anche a Udine), con 27 punti, scrive il finale sbagliato della storia azzurra, che si chiude al quinto posto. Si tratta dell’ultima esperienza di Myers in azzurro in una manifestazione ufficiale, anche se poi giocherà qualche altra partita sparsa in varie qualificazioni.

A livello di club, invece, arrivano le soddisfazioni con la Fortitudo, con il tanto bramato primo scudetto vinto da autentico dominatore dei playoff e soprattutto della finale contro Treviso, vinta per 3-1. L’anno successivo, però, contro la Virtus (che perde solo a inizio stagione contro l’altra Virtus, quella di Roma, in Supercoppa) non c’è niente da fare. Ed è anche l’ultimo anno con la maglia biancoblu; passa alla storia il momento in cui, uscito per 5 falli dopo un’altra delle sue prove maestose nel derby di finale (stavolta un netto 3-0 bianconero), tutto il pubblico, anche quello virtussino, lo applaude a scena aperta. Il riconoscimento, in breve, a un rivale temuto, ma rispettato.

Si arriva così all’estate più strana della vita di Myers. Sulla scena cestistica italiana irrompe Domenico “Mimmetto” Barbaro, un imprenditore che millanta notevoli capacità economiche, rileva (o così vorrebbe fare) la Viola Reggio Calabria, e porta prima Carlo Recalcati come allenatore e poi lo stesso Myers. Arriva a sognare addirittura Sabonis, ma in pochi giorni il bluff si scopre e la Viola passa dal sogno all’incubo, anche se poi riesce con un autentico miracolo sportivo, considerate le condizioni iniziali, a raggiungere la salvezza. A quel punto s’inserisce la Virtus Roma, che ha appena completato il passaggio dall’era Corbelli a quella targata Toti e si porta a casa forse il più ambito nome dell’estate.

A Roma Myers resta per tre stagioni. Nella prima (che per lui inizia alla 6a giornata) viaggia a 22.9 punti di media, ma arriva lo stop ai quarti di finale proprio con la Fortitudo. Un film che ritornerà, in maniera ancor più dolorosa, nell’annata successiva (19.5 punti con il picco di 40 in gara4 dei quarti contro Napoli, per la cronaca): la squadra, con l’inserimento in corsa di Anthony Parker, sembra far rivivere alla Capitale i fasti del Banco di vent’anni prima (senza PalaEur, chiuso per ristrutturazione, ma con un PalaTiziano spesso stracolmo), ma in una gara5 nella quale se ne va in un lampo un vantaggio di 31-8 svaniscono i sogni di finale ancora per mano dei felsinei. La terza stagione è più difficile: Roma ritrova per pochi mesi l’Eur (con il nome PalaLottomatica) e l’Eurolega, ma arriva l’uscita nella prima fase, seguita da un campionato difficile, chiuso ai quarti ancora contro la Fortitudo (0-3). Resta memorabile una sfida con un altro grande realizzatore di quegli anni, Mario Boni: a Teramo, 39 punti lui, 42 Myers. Il 3 gennaio 2004, al PalaTiziano contro Messina, supera quota 10.000 punti con i club tra A e A2. La partita s’interrompe, il giocatore riceve il giusto tributo dal pubblico presente.

Già nel febbraio 2004 maturano le prime voci, poi concretizzate dopo la conclusione della stagione, di un approdo a Siena, diventata Campione d’Italia e con Recalcati in panchina. L’esperienza senese, però, non è delle migliori: Myers fa fatica, e nella seconda parte di stagione si trasferisce in Spagna, in Liga ACB, a Valladolid, che contribuisce a salvare con 21.3 punti in sette partite. Particolare curioso: pur non avendo mai vinto nulla, Valladolid ha visto passare tre grandissimi della pallacanestro in Europa, che sono Arvydas Sabonis, il Principe del Baltico, Oscar Schmidt, la Mao Santa del Brasile e di Caserta, e appunto Myers.

Nell’estate 2005 si concretizza un grande ritorno, quello a Pesaro. Non in Serie A, però: la Victoria Libertas, nel frattempo, è fallita dopo esser passata dalle mani di Valter Scavolini a quelle di Enzo Amadio (che sarebbe finito poi a processo per bancarotta fraudolenta, per poi essere assolto nel 2017). Si riparte dal Falco (con Scavolini che entra in società, mentre il nome della VL verrà recuperato un paio d’anni più tardi), Myers, Mauro Morri, Agostino Li Vecchi e altri con Marco Calvani in panchina. In due stagioni ritorna la Serie A. Myers non è più, chiaramente, ai livelli di un tempo, ma qualche lampo c’è ancora, soprattutto nella prima stagione del ritorno nel massimo campionato. La sua ultima stagione nel professionismo è nella sua Rimini, dove chiude a 11.320 punti: meglio di lui, in Italia, solo Antonello Riva e Oscar.

Dopo aver giocato occasionalmente nelle serie minori, ha continuato a rimanere nel basket in vari modi, compreso quello di commentatore televisivo, per un breve periodo, a Eurosport. Si è concesso qualche avventura fuori dal campo, con “Wild – Oltrenatura” su Italia 1 tra il 2014 e il 2015, ma il suo mondo non l’ha mai lasciato. Durante la sua carriera ha anche abbracciato la fede, diventando cristiano evangelico proprio mentre stava per vincere il suo unico scudetto.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse / Olycom

1 Commento

  1. OLIMPIONICO

    29 Aprile 2020 at 13:57

    Concedere a lui l’ onore di essere Alfiere Olimpico fu un gravissimo errore. Ai GIOCHI vinse niente, credo ! E davanti a tutti gli altri PortaBandiera Azzurri, Mangiarotti, D’ Inzeo, Dibiasi, Simeoni… scompare.

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