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Atletica
L’Italia è grande: Francesco Panetta, il Signore delle siepi e la magia dei Mondiali di Roma 1987
Il “ragazzo di Calabria” ha fatto sognare Roma è l’Italia intera tra la fine dell’agosto e l’inizio di settembre 1987. Il “ragazzo di Calabria” raccontato da Luigi Comencini in un film che uscì proprio in quei giorni forse era proprio lui, il calabrese Francesco Panetta, l’uomo delle imprese impossibili, che amava correre da solo e che manteneva le energie per respingere l’assalto degli avversari nell’ultimo giro.
Già, perchè (lo scriviamo per i più giovani) c’è stato un periodo storico (gli anni ’80 per la precisione) in cui l’Italia si poteva permettere di avere due meravigliosi finisseur nel mezzofondo come Alberto Cova e Stefano Mei e due artisti del ritmo (indiavolato) come Totò Antibo e, appunto, Francesco Panetta. Era un periodo in cui il tricolore sbandierava a tutti i livelli e, in alcune occasioni, anche su più di un pennone al momento delle premiazioni perché tutti, ma proprio tutti, dovevano fare i conti con i mezzofondisti azzurri. La prima metà degli anni ’80, lanciò ad altissimo livello in particolare Alberto Cova (vincitore di tutto dal 1982 al 1984) e Stefano Mei (che la soddisfazione più grande se la prenderà comunque nel 1986 con l’oro europeo davanti ai compagni Cova e Antibo in una tripletta indimenticabile).
L’Italia si poteva permettere di arrivare con fondate speranze di medaglia nel mezzofondo al Mondiale casalingo di Roma 1987 anche con un Mei fuori causa per infortunio e con un Cova ormai al capolinea della sua carriera: Antibo ma soprattutto Panetta sono i designati per le gare all’Olimpico. Antibo il meglio di sè lo deve ancora dare, anche se l’anno prima a Stoccarda ha portato a casa un prestigioso bronzo europeo alle spalle dei fuoriclasse Mei e Cova ma per lui arriveranno ori e podi a tutti livelli tranne quello mondiale, mentre Panetta è all’apice della sua carriera.
Il runner calabrese si è affacciato al mondo dell’atletica mondiale senza incantare: fuori in batteria alle Olimpiadi di Los Angeles sia nei 10.000, sia nei 3.000 siepi. Nel 1985 è solo quinto in coppa Europa nei 3.000 siepi, gara nella quale va comunque sempre più specializzandosi, anche se i 10.000 gli riserveranno altre soddisfazioni. Il 1986 sembra ancora un altro anno stregato per Panetta che, agli Europei di Stoccarda, viene estromesso dai 10.000 (ma i suoi tre compagni occuperanno i tre gradini del podio) e si qualifica senza brillare più di tanto per la finale dei 3.000 siepi, nella quale sono al via i primi quattro della finale dei Mondiali di Helsinki 1983, tutti ovviamente del Vecchio Continente: il tedesco ovest Ilg, il polacco Maminski, il britannico Colin Reitz ed il francese Jospeh Mahmoud, che aveva perso la sfida a Los Angeles con il kenyano Korir.
Panetta, sul tartan tedesco, inventa un nuovo modo di correre, quello per cui si ritaglierà un posto nella leggenda dello sport italiano. E’ forte sul passo ma in volata non ha alcuna possibilità e allora ci prova da lontano con un’azione apparentemente suicida. A metà gara Panetta guadagna un vantaggio considerevole e da dietro prima traspare un pizzico di incredulità e poi ci si organizza per rintuzzare un attacco che assume maggiore pericolosità ad ogni metro. Sono Ilg e Melzer a mettersi a caccia dell’azzurro che, nell’ultimo giro, vede sfumare, passo dopo passo, praticamente tutto il vantaggio accumulato nei confronti dei due quotatissimi più immediati inseguitori. Destino segnato? Niente affatto perchè, pur raggiunto, Panetta lotta come un gladiatore e soccombe solo rispetto a Melzer che gli rifila 20 centesimi di distacco mentre Ilg si deve accontentare di quel bronzo che sembrava già al collo dell’italiano fuggitivo a 200 metri dal traguardo.
Una gara che regala fiducia a Francesco Panetta e al suo allenatore Giorgio Rondelli che in quel momento si rendono conto che lo “stile Panetta” funziona e può sparigliare le carte anche a livello mondiale. Il Mondiale è quello di Roma che si apre sabato 29 agosto 1987 all’insegna proprio del “ragazzo di Calabria”. Stavolta Panetta li corre i 10.000 che sono piazzati al primo giorno di gare, con sei giorni di “vantaggio” sui 3.000 siepi che sono il reale obiettivo dell’azzurro che, qualche mese prima, in Coppa Europa a Praga 1987, aveva conquistato l’unico successo dell’Italia, dominando proprio i 3.000 siepi con il tempo di 8’13″47.
Dopo una prima metà di gara a ritmo contenuto, stavolta a rompere gli indugi non è Panetta ma il temuto kenyano Paul Kipkoech, specialista delle campestri ma capace di accelerazioni malefiche anche in pista. Panetta non ci pensa su un attimo, intuisce che è il momento decisivo e si mette sulle calcagna del kenyano che però, al settimo chilometro, alza il ritmo e stacca l’azzurro. Da dietro il gruppetto, guidato dal finlandese Vainio inizia a marciare su ritmi elevati e Panetta è atteso da 3.000 metri lunghissimi, solo, con il kenyano nettamente avanti e tallonato da quattro o cinque specialisti del finale. Sa che non può farsi raggiungere per non perdere il podio iridato e lo sa bene anche il pubblico romano che inizia ad incitarlo, quasi a spingerlo con la voce, con le mani e con tutto quello che ha a disposizione. L’Olimpico si trasforma nella stessa bolgia che caratterizza i preliminari di un derby fra Roma e Lazio e Panetta resiste, con le unghie e con i denti, portando a casa un grandissimo argento che lancia nel migliore dei modi il Mondiale romano e lascia intuire che la condizione giusta per tentare il colpaccio nei 3.000 siepi c’è.
In finale dei 3.000 siepi, sabato 5 settembre, ci sono tre italiani ma anche tre kenyani al via, a caccia del podio, oltre a tutti i grandi protagonisti della specialità degli ultimi anni: il tedesco dell’Est Melzer, il tedesco dell’Ovest Ilg, il belga Van Dijck ma il favorito numero uno è proprio Francesco Panetta e anche in questo caso il pericolo arriva dall’Africa, con il kenyano Kipkemboi che appare in gran forma, aggiudicandosi con relativa facilità la seconda batteria pochi minuti dopo la vittoria di Panetta nella prima.
Rondelli sa che bisogna puntare tutto sul ritmo e sacrifica i “giovani” Lambruschini e Boffi piazzandoli in testa al gruppo per il primo chilometro che si esaurisce con un 2’43” che fa da apripista all’attacco di Francesco Panetta che si porta in testa prima della siepe e prova a fare la selezione. L’Olimpico impazzisce letteralmente scandendo il passo dell’azzurro che trascina dietro a sè il kenyano Kipkemboi, l’avversario più difficile da battere ma al 4′ minuto di corsa, sul rettilineo opposto a quello d’arrivo, Kipkemboi inciampa letteralmente nella barriera, cade rovinosamente ed è costretto a fermarsi.
Panetta capisce che anche gli astri sono dalla sua parte e accelera perchè il gruppo degli inseguitori è staccatissimo e capisce che può fare la differenza. Il pubblico romano lo spinge come e più rispetto a una settimana prima, da dietro nessuno prende l’iniziativa e allo scoccare della campana dell’ultimo giro Panetta ha un vantaggio di quasi 30 metri, incolmabile a meno di inconvenienti che nei 3.000 siepi sono sempre dietro l’angolo. L’azzurro perde qualche metro ma è brillante, la situazione resta sotto controllo, la siepe non è un problema anche se da dietro avanzano minacciosi il belga Van Dijck, seguito da Melzer e il sorprendente l’americano Brian Diemer. C’è solo l’ultima barriera da superare e Panetta, conscio del vantaggio e del traguardo sempre più vicino, nel tripudio generale la avvicina con una serie di passetti tutt’altro che eleganti e la supera riprendendo subito slancio e percorrendo l’ultimo tratto di gara con il pugno chiuso ed il braccio alzato in segno di trionfo.
Con il tempo di 8’08″57, che ancora oggi è record italiano della specialità, Francesco Panetta vince l’oro iridato dei 3.000 siepi davanti al pubblico di casa, onore che toccherà a pochi nella storia della specialità. Dopo il deludente nono posto ai Giochi Olimpici di Seul 1988, Panetta tornerà a dettare legge agli Europei 1990 di Spalato dove vinse la medaglia d’oro davanti al britannico Mark Rowland e ad Alessandro Lambruschini. L’ultima grande impresa della carriera lo vide protagonista indiretto agli Europei di Helsinki nel 1994 quando il favorito Lambruschini dopo pochi giri di gara cadde su un ostacolo. Panetta lo aiutò a a rialzarsi e lo guidò come un gregario qualunque nella rincorsa al gruppo dei migliori. Lambruschini vinse la gara e l’oro europeo, mentre il calabrese, ormai a fine carriera, finì fuori dal podio, ma il suo gesto d’altruismo è rimasto nella memoria degli sportivi italiani esattamente come i trionfi di Roma.
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