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Sci di fondo

L’Italia è grande: Franco Nones, l’italiano che spezzò il monopolio nordico nello sci di fondo

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Una delle più grandi imprese nella storia dello sport italiano è senza ombra di dubbio quella realizzata da Franco Nones il 7 febbraio del 1968, giorno in cui il trentino vinse la medaglia d’oro nella 30 km dei Giochi olimpici di Grenoble. Il successo dell’azzurro fece grandissimo scalpore anche a livello internazionale ed è entrato negli annali proprio per la sua valenza storica. Infatti, per la prima volta, un oro olimpico dello sci di fondo venne vinto da un atleta che non proveniva dai Paesi nordici.

Per spiegare la genesi di quel successo, è obbligatorio tornare alla fine degli anni ’50 e citare due uomini. In primis Vittorio Strumolo, organizzatore di eventi sportivi e grande appassionato di sci di fondo, tanto da diventare direttore sportivo della squadra azzurra. Questo milanese capisce che per far cresce il settore anche in Italia è necessario prendere a modello chi domina la disciplina. Per questa ragione decide di importare un allenatore scandinavo. Convince quindi Bengt Herman Nilson a imbarcarsi nell’impresa di sviluppare lo sci di fondo italiano. Nilson, un militare svedese, arriva e impone subito i suoi metodi di lavoro. La sfida è quella di far salire di livello gli azzurri, trasformando in autentici atleti professionisti un gruppo di ragazzi a cui piaceva gareggiare sugli sci stretti. La prima mossa in tal senso è quella di effettuare allenamenti sia al mattino che al pomeriggio, la seconda quella di curare l’alimentazione. Niente più vino a tavola, solo latte e spremuta d’arancia. L’arrivo dello scandinavo rappresenta uno shock per gli italiani, che però sono ambiziosi e determinati. Quindi, seppur con qualche mugugno, accettano i sacrifici imposti dal nuovo “sergente di ferro”, capendo che sono necessari per poter emergere al massimo livello.

I risultati non tardano ad arrivare. Il 18 febbraio 1962 si disputa la 30 km dei Mondiali. Quel giorno Zakopane è avvolta da una fittissima nevicata, tanto che gli organizzatori sono costretti a cambiare il percorso della prova. La pista, resa durissima dalle neve fresca, miete vittime eccellenti. I grandi favoriti, lo svedese Sixten Jernberg e il finlandese Kalevi Hämäläinen, annaspano e colano a picco. La medaglia d’oro va a un altro finlandese, Eero Mäntyranta, che proprio quel giorno si rivela al mondo cogliendo il primo successo della sua fenomenale carriera. Oltre al finnico, il grande protagonista della gara è l’azzurro Giulio De Florian, che su un tracciato terribile fa valere la sua leggerezza (il trentino è uno scricciolo di 1,58) e si mette al collo la medaglia di bronzo. Si tratta di uno spartiacque, poiché dimostra come gli italiani siano diventati in grado di competere dal punto di vista atletico con i nordici e i sovietici. Non a caso, nella staffetta che si disputa quattro giorni dopo, l’Italia conclude quinta.

Il botto di De Florian annuncia l’assalto della squadra azzurra all’empireo della disciplina. In particolare, sono due gli atleti che nelle competizioni internazionali iniziano a infastidire con una certa costanza i nordici. Si tratta di Marcello De Dorigo, classe 1937, e Franco Nones, venuto al mondo nel 1941. La sfortuna però si accanisce contro il primo, che nel giro di pochi mesi vede la propria carriera spezzata. Prima lo schianto contro un albero nel corso di una gara condiziona in negativo il suo percorso di avvicinamento ai Giochi olimpici di Innsbruck 1964, dopodiché nel novembre dello stesso anno è vittima di una tremenda disavventura. Durante uno stage di allenamento in Svezia si perde nei boschi avvolti dalla nebbia. I compagni di squadra e le autorità lo cercano per ore, ma lo trovano solo il mattino seguente, dopo una notte passata all’aperto con temperature polari. È semi-congelato, viene portato in ospedale, dove deve affrontare una lunga degenza e dove i medici sono costretti ad amputargli le dita dei piedi. Addio sogni di gloria.

Resta Nones, che a metà degli anni ’60 è ormai a tutti gli effetti un fondista di vertice. Ai Mondiali di Oslo 1966 conclude al sesto posto la 30 km, suscitando la curiosità dei giornalisti norvegesi. Quel piazzamento è il prodromo dell’impresa avvenuta il 23 febbraio 1966, giorno in cui la staffetta italiana composta da De Florian, Nones, Gianfranco Stella e Franco Manfroi conquista una clamorosa medaglia di bronzo, alle spalle di Norvegia e Finlandia, ma incredibilmente davanti alla Svezia campionessa olimpica e mondiale in carica, relegata al quarto posto.

Si arriva così ai Giochi olimpici di Grenoble 1968. È il 7 febbraio, il giorno successivo alla cerimonia inaugurale. Il primo titolo assegnato è quello della 30 km di sci di fondo. Nones ha il pettorale numero 26, ciò significa che sarà il primo a partire tra gli atleti con ambizioni di medaglia e non avrà punti di riferimento. Il trentino, rendendosi conto che non c’è spazio per tatticismi, decide di impostare la gara sul “o la va o la spacca”. Parte a tutta e sia quel che sia. Infatti, raccoglie ben presto gli atleti partiti rispettivamente trenta secondi e un minuto prima di lui. Quando iniziano ad arrivare i primi rilevamenti cronometrici, tutti rimangono sconvolti. L’italiano è un autentico missile e sta costruendo un vantaggio abissale sulla concorrenza!

Quando tutti i favoriti sono passati al decimo chilometro, Nones ha 22” di margine sul sovietico Vladimir Voronkov, 30” su Eero Mäntyranta e 32” sul norvegese Odd Martinsen! Gli svedesi sono dispersi. Davvero sta per saltare il banco? La gara evolve e, con il passare dei chilometri, la situazione cambia. Ai 20 km Nones è sempre al comando, però Mäntyranta si è avvicinato a 4”. Insomma, il finlandese appare avere il successo in pugno e per l’azzurro l’obiettivo sembra essere quello di non scoppiare e difendere quantomeno un piazzamento sul podio, che sarebbe già un risultato fantastico. Le possibilità ci sono, perché Martinsen è terzo a 32”. Tutti sono ormai convinti di celebrare il terzo oro olimpico della carriera di Mäntyranta, che sulle 30 km con medaglie in palio è imbattuto da sei anni. Invece, nel finale, succede l’incredibile. È il finlandese a scoppiare perché, evidentemente, nel tentativo di recuperare sul leader è andato oltre le sue possibilità! Il lappone crolla e non va oltre il bronzo. Tra l’incredulità generale, Franco Nones vince la medaglia d’oro con quasi 50” di vantaggio su Martinsen.

Quel giorno, la storia dello sci di fondo cambia per sempre. È come se fosse esplosa una bomba atomica. Infatti sino a quel momento la disciplina ha assegnato 21 titoli olimpici. Di essi, 9 sono state vinti dalla Svezia, 6 dalla Norvegia e 6 dalla Finlandia. Al ventiduesimo tentativo viene quindi spezzato il monopolio nordico. A riuscirci è un giovane ragazzo proveniente dalle Alpi italiane che, grazie al suo trionfo, “sdogana” letteralmente lo sci di fondo, tramutandolo da sport di nicchia praticato esclusivamente nei Paesi nordici e in Siberia, ad attività globale. Se un italiano è riuscito a battere i “maestri del Nord”, allora vuole dire che possono essere attaccati e sconfitti. Da quel momento, il fondo non è più di proprietà dei nordici, ma diventa “di tutti”, diffondendosi in ogni dove e crescendo a livello di popolarità anche al di fuori della Scandinavia. L’Equipe si rende subito conto della portata epocale dell’avvenimento e l’8 febbraio 1968 scrive: “Franco Nones, come Cristoforo Colombo, ha scoperto l’America”. Mai metafora fu più azzeccata.

Come nota di contorno, non bisogna dimenticare il fatto che la stampa e le autorità sportive italiane manchino quasi completamente l’oro di Nones. Infatti, quel giorno, praticamente tutti gli inviati del Bel Paese scelgono di andare a Chamrousse, dall’altra parte della Valle Grésivaudan, dove sono in programma le prime prove della discesa libera di sci alpino. Non si assegnano medaglie, ma la stragrande maggioranza dei media è lì per capire se Ivo Mahlknecht potrà essere da podio nella gara del 9 febbraio. Ad assistere in loco al trionfo del fondo tricolore ci sono solo due giornalisti italiani. Si tratta di Piero Ratti e Rolly Marchi, tutti gli altri sono a 60 km di distanza e sapranno dell’accaduto solo a cose fatte, come il presidente del Coni e quello della Fisi.

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Foto: Wikipedia, diritti liberi

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