Basket
Lorenzo D’Ercole, basket: “Grande felicità nel tornare nella mia Pistoia. Adesso l’importante è rispettare le persone e il grande lavoro dei medici”
Giocare nella squadra della propria città: un obiettivo comune a tanti, nell’alto livello, che per Lorenzo D’Ercole è diventato realtà. Approdato quest’anno a Pistoia, dopo un lungo viaggio che l’ha portato attraverso tutta l’Italia, il trentaduenne play ripercorre in questa intervista molti passi della sua esperienza nel basket professionistico: dagli esordi a Montecatini e Siena alle Nazionali giovanili, fino agli anni di Roma, Sassari e Avellino. Inoltre, riflette sull’attuale momento del basket italiano, per le vicende degli ultimi giorni.
Quali sono le sensazioni che hai avuto prima dell’interruzione e come la pensi sul fatto che sia stata decisa?
“Per quanto ci sia il dispiacere di finire così questa stagione, penso sia anche quella più giusta e inevitabile. Adesso gli sforzi saranno tutti sul ripartire, sul fatto che la stagione 2020-2021 sia quella della rinascita. Tutti gli sforzi di Lega e FIP saranno volti a far sì che il prossimo campionato sia sano, che non ci siano problemi economici, che tutte le squadre che cominciano la stagione siano anche in grado di finirla”.
Sarebbe stato difficile continuare a giocare a porte chiuse, non soltanto per le società con i relativi mancati incassi, ma anche per voi giocatori, che vi siete anche trovati in questa situazione in alcuni casi.
“Al di là dell’aspetto sportivo, chiaramente giocare a porte chiuse non sarebbe stato positivo per nessuno. Onestamente, in questo momento siamo estremamente distanti dall’aspetto sportivo. Il dramma che sta vivendo questo Paese ci porta a non pensare a quello, era veramente difficile pensare di poter tornare in campo, se non impossibile. Purtroppo la situazione è drammatica e quindi pensare di poter giocare era l’ultimo dei pensieri, in questo momento: ora bisogna uscire da quest’emergenza, rispettare le regole e quel che ci viene detto dal Governo, per rispetto delle persone, di noi stessi, degli altri, di quelli che non ce l’hanno fatta, dei medici e degli infermieri che stanno facendo un lavoro straordinario“.
Il tutto nell’anno in cui eri riuscito a tornare a giocare nella squadra della tua città.
“Sarebbe stato bello vivere una stagione diversa qui a Pistoia, ma chiunque l’avrebbe voluto. Il dispiacere è comunque maggiore proprio per questo, perché sono molto legato a dove sono nato”.
Tu avevi fatto i primi passi nel basket che conta tra Montecatini e Siena, più che a Pistoia.
“A Pistoia avevo giocato soltanto un anno nelle giovanili, quando Montecatini era fallita (dopo la stagione 2000-2001; ripartì nel 2002 come RB Montecatini Terme, ndr). Cestisticamente però sono cresciuto proprio a Montecatini, e poi a Siena, ma a Pistoia sono nato e c’era la squadra per cui tifavo. Ho sempre pensato che prima o poi ci avrei giocato, poi per una serie di eventi, legati a quello che è successo ad Avellino, si è aperta l’opportunità di Pistoia”.
Non solo Montecatini e Siena, ma anche la Nazionale giovanile, in quel periodo. Ci fu medaglia di bronzo negli Europei Under 20 2007 con squadre piene di talenti poi diventati fortissimi: tu avevi di fianco Gigi Datome, la Serbia aveva Teodosic, Tepic e Stimac, nella Spagna Llull e Ribas. Quali sono i tuoi ricordi?
“Noi abbiamo battuto nella finale per il bronzo la Russia di Alexey Shved e Andrey Vorontsevich. Fu un gruppo, il nostro, eccezionale, che ottenne un risultato davvero importante. Quando arrivammo noi sul podio l’Italia non vinceva medaglie da tantissimo tempo, dopo la nostra ce ne sono state anche migliori, però quella è stata una soddisfazione enorme”.
In quel periodo, poi, Siena ti ha girato prima a Livorno e poi a Udine. Quanto ti stati utili quegli anni in funzione di quella che sarebbe stata poi l’esperienza a Cremona?
“Tutti gli anni son serviti a qualcosa, ce ne sono stati di positivi, di negativi. A Siena ho comunque avuto la possibilità di far parte di un gruppo di giocatori estremamente forti, tra i migliori in Europa, era una delle migliori squadre del continente con Terrell McIntyre, Nikos Zisis, Rimantas Kaukenas, Shaun Stonerook e tanti altri. Di sicuro ha aiutato nella mia carriera specialmente la mentalità di questi giocatori, che mi ha impressionato. Poi a Cremona, dopo quelle esperienze che mi hanno aiutato a crescere, è iniziata la mia carriera vera e propria”.
Dell’ambiente di Livorno, che già era scesa in LegaDue (il nome di allora dell’A2) cosa ricordi?
“Ne ho un bel ricordo, è una piazza storica che dopo quegli anni di A2 non è più riuscita a risalire dopo che è fallita la squadra. Ricordo un grande affetto da parte dei tifosi, grandissimo entusiasmo nonostante la prima parte di stagione non fu molto positiva mentre la seconda sì, c’erano tantissime persone. Un ambiente molto caldo. Speriamo possano tornare ai piani alti il prima possibile, anche perché hanno uno dei palasport più belli d’Italia”.
E negli anni tra Udine e Cremona hai avuto la fiducia di Attilio Caja.
“A Cremona entrò in corsa (stagione 2011-2012, nella precedente c’era Tomo Mahoric, ndr), ma già a Udine lui mi volle. Io con lui ho sempre avuto un buon rapporto, mi ha sempre stimato molto e la stessa stima io l’ho sempre avuta per lui. Quando ci vediamo ci salutiamo sempre con piacere”.
Dopo i due anni a Cremona è arrivata Roma.
“Gli anni di Roma sono senza dubbio un ricordo straordinario per me”.
Della squadra della finale scudetto siete rimasti un po’ tutti in contatto: si era creata non solo una squadra di giocatori, ma anche e soprattutto una squadra di uomini.
“Esatto, quello è stato un gruppo speciale, siamo rimasti in contatto con molti. Fu davvero speciale sotto tantissimi punti di vista. Purtroppo si è interrotta in finale, ma il ricordo è quello di una stagione straordinaria”.
Due anni dopo sei stato uno degli ultimi, se non l’ultimo, ad aspettare il decorso degli eventi fino all’annuncio dell’autoretrocessione della Virtus.
“Ho aspettato fino all’ultimo di sapere cosa facesse, ero sempre in contatto con il presidente Claudio Toti. Ho atteso fino all’ultimo istante possibile prima di firmare poi a Sassari, che in quel momento era fra l’altro Campione d’Italia in carica. Ero convinto di andare, però ho aspettato Roma fin quando possibile, poi quando non lo è stato più firmai a Sassari”.
In quell’ultima stagione hai avuto Rok Stipcevic come compagno, con cui poi hai riformato la coppia alla Dinamo.
“Con Rok siamo diventati amici, abbiamo giocato tre anni di fila insieme, poi quando sono andato ad Avellino siamo rimasti comunque sempre in contatto, ci sentiamo molto spesso”.
A Sassari hai avuto per un piccolo periodo Meo Sacchetti, prima che dopo un inizio stentato ne pagasse le conseguenze e al suo posto fosse chiamato Marco Calvani.
“Fu un’annata turbolenta quella. Sacchetti fu esonerato dopo poco più di un mese, poi arrivò Calvani che ebbi anche nella stagione della finale, poi anche lui saltò dopo pochi mesi. Fu un’annata difficile, con tantissimi cambiamenti, tra allenatori e giocatori”.
Qual è il ricordo dell’attuale coach della Nazionale?
“La cosa paradossale è che purtroppo l’ho avuto due volte, ma entrambe per brevi periodi, a Udine e poi a Sassari. Non è che possa dire molto, purtroppo, però la sua gestione dei giocatori, la capacità in questo senso è speciale”.
Capitano a Roma e capitano ad Avellino. Due città diverse, due situazioni diverse, due responsabilità simili. Come le hai sentite nelle stagioni 2014-2015 e 2018-2019.
“A Roma ero anche relativamente giovane quando sono diventato capitano, avevo 26 anni. Fu un’emozione molto forte per me, perché essere capitano a Roma è un po’ diverso rispetto ad altri posti, è qualcosa di ancora più speciale, rappresenti una città che è capitale d’Italia e ti da una sensazione più speciale. Fu una grande emozione per me, e quella fu un’annata positiva: è vero che non riuscimmo a fare i playoff e le Final Eight di Coppa Italia, ma facemmo un cammino eccezionale in EuroCup (ottavi di finale senza mai perdere al PalaTiziano, ndr), con una squadra con un budget molto ridotto rispetto all’annata precedente, non tanto lunga. Poi sono tornato ad essere capitano nel mio secondo anno ad Avellino, ed è stata anche quella una stagione abbastanza turbolenta, culminata con il finale più turbolento di tutti a causa dell’autoretrocessione in B, dei diversi problemi economici. Un’annata difficile, in cui sono stato capitano ma in qualche modo per questo l’ho vissuta peggio”.
Una situazione, quella di Avellino, di cui fu difficile in alcuni momenti capire i contorni.
“Capivamo poco anche noi giocatori quando è successo tutto, a giugno, luglio”.
Ad Avellino arrivò la finale di FIBA Europe Cup nel 2018.
“Purtroppo trovammo Venezia in finale, ed era anche lei uscita dalla Champions League. Se non fosse uscita forse è possibile dire che l’avremmo vinta noi, ma si sa che con i “se” e con i “ma” non si fa la storia. Fu anche quella una bella esperienza, arrivammo fino all’ultimo atto con grande merito, poi vinsero loro battendoci in casa nostra di 8 punti e poi loro vinsero di 2 al ritorno. Ci fu un divario non esagerato, ma meritato”.
Come si è alla fine concretizzato il tuo ritorno a Pistoia?
“Avrei voluto restare ad Avellino, ma dopo il casino che è successo a luglio mi sono ritrovato senza squadra, mi si è aperta la possibilità di andare a Pistoia e l’ho colta con grande felicità”.
Per quanto sia difficile parlare di sport in una situazione come quella di quest’anno, che bilancio fai della stagione?
“Secondo me è sufficiente, perché dopo un inizio complicato da zero vittorie e sei sconfitte abbiamo reagito, siamo rimasti moralmente e mentalmente su un buon livello nonostante le sconfitte. Eravamo sempre determinati e vogliosi di uscire dalla situazione, ed infatti devo dire che da lì in poi, senza considerare lo 0-6 iniziale, avremmo anche un buon record, ma quello 0-6 c’è e rimane, per cui secondo me rimane una stagione sufficiente perché eravamo in lotta per la salvezza. Le stagioni però si ricordano per come vengono finite, e non per come vengono iniziate. Sarebbero rimaste 10 partite, le più importanti, che avrebbero cambiato la valutazione o l’avrebbero mantenuta, ma la valutazione di un’annata doveva passare da un finale che non c’è stato”.
Tu hai vissuto 15 anni ad alto livello e hai visto come è cambiata la fisionomia del basket. Quali pensi che debbano essere gli interventi per mantenere una competitività della Serie A (al netto delle differenze tra grandi e le altre)?
“E’ difficile da prevedere perché è una situazione che non si è mai verificata. Bisogna vedere gli sponsor come reagiscono, così come le aziende che sponsorizzano le società. Al momento è difficile prevedere qualsiasi cosa. Sarà una ripartenza complicata, ma come lo sarà per lo sport lo sarà per tutto il Paese. Chiaramente ci sono realtà come Milano, che ha confermato il budget per la prossima stagione e non avrà problemi. La forbice tra queste realtà di primo livello e le altre potrebbe aumentare ancora di più, al momento questo non lo so, ma Lega, Federazione e Governo si preoccuperanno anche di questo, di aiutare le società con la riduzione anche di alcune tasse federali. Ora bisogna comunque fare sì che l’emergenza si risolva, poi vedremo quello che sarà del basket anche in termini di ripartenza”.
Giocatori che ti sono rimasti più impressi?
“A Siena ho diviso il campo con tanti giocatori forti, se li dovessi scegliere direi McIntyre, Zisis, Kaukenas. Poi naturalmente Gigi Datome sia a Siena che a Roma. Un altro che mi ha sicuramente impressionato era a Cremona, ed è Marko Milic”.
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Credit: Ciamillo