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Michela Ponza: “Dorothea Wierer mi ha fatto piangere. A Torino 2006 il biathlon non interessava. Vi svelo il segreto del tiro”

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Abbiamo avuto il piacere di contattare chi conosce bene il circuito di Coppa del Mondo di biathlon, con 15 anni di carriera alle spalle. Stiamo parlando della gardenese Michela Ponza, ex-atleta della nazionale ed ex-allenatrice delle Fiamme Gialle, che da diverse stagioni ha appeno la carabina al chiodo ma che segue il biathlon ancora con grande passione.

Sei passata da dover gestire la carabina e gli sci a dover stare in una scrivania, cambiando totalmente vita e soprattutto con una piccola che ti tiene molto impegnata…

“Quando da atleta mi veniva chiesto cosa avrei fatto nella mia vita dopo il biathlon, rispondevo spesso che mi sarebbe piaciuto vivere una vita tranquilla con la mia famiglia ed è quello che ho in questo momento. Sono felice in Liguria, prima con la valigia in mano e ora sono in casa, più tranquilla. Ho cambiato lavoro, dai tecnico delle Fiamme Gialle al poligono sono passata al ruolo da ufficio, non è così entusiasmante ma l’importante è tornare la sera a casa dal marito e dalla mia bimba, l’ho sempre sognato. Si vive molto bene in Liguria, il clima è bellissimo, ogni tanto però con il caldo è bello tornare in Val Gardena per le passeggiate e per fare una sciata. Comunque seguo le gare, con il cuore sono ancora nel biathlon”.

Riesci ad allenarti ancora dopo il tuo ritiro, come ti stai attrezzando in questi giorni a casa?

“Con la bimba così piccola gli allenamenti calano, ti tranquillizzi un attimo. Con gli orari e la gestione della casa è difficile riuscire a conciliare tutto, sentivo anche che Karin Oberhofer ha detto nella sua intervista che un atleta ha bisogno di restare attivo. Faccio il minimo indispensabile per restare in forma”.

Nel gruppo Facebook Biathlon Italia in questi giorni stanno postando tutte le gare più belle del passato, tra queste la staffetta femminile dove hai conquistato il bronzo nel 2013, la tua unica medaglia iridata. Un podio che però è stato il giusto riconoscimento tua carriera?

“Esatto, è arrivata alla fine della mia carriera. L’ho rincorsa per anni ed è sempre stato il mio desiderio, un piacere poterla condividere con le mie compagne di squadra. Come detto dal Direttore Curtaz ha dato la spinta per la ripartenza del biathlon azzurro, che è cresciuto molto”. 

20 Anni dopo Torino l’Italia tornerà ad ospitare i Giochi Olimpici Invernali. Quali sono i tuoi ricordi della manifestazione a cinque cerchi, dove sei arrivata quinta nell’inseguimento?

“Forse è il mio miglior risultato della carriera. Penso che poterle vivere per un atleta è una sensazione bellissima, in casa lo è ancora di più. C’erano i miei genitori e i miei amici, un’esperienza che ti rimane nel cuore per tutta la vita. Un peccato il fatto che l’impianto di Cesana San Sicario sia stato abbandonato, anche visto l’investimento che è stato fatto all’epoca, perchè avrebbe fatto davvero comodo per il movimento.  Vi racconto un aneddoto, dopo quella gara l’unico giornalista che è venuto intervistarmi è stato un giapponese, tanto era l’interesse dei media per il biathlon ai tempi”.

Ricordo la tua ultima gara di Coppa del Mondo, nell’inseguimento di Nove Mesto 2014 dove Dorothea Wierer ha conquistato il suo primo podio, come se fosse un naturale passaggio di testimone. Ti aspettavi che Dorothea potesse diventare la numero 1 e per due anni di fila…

“Che Dorothea avesse i numeri si era già intuito fin da quando era junior e poi ha questo talento di sparare nel momento giusto, sa aspettare e ha una velocità innata per battere le avversarie. Il livello che ha raggiunto sugli sci le ha permesso di diventare una biathleta completa. Si è meritata le due sfere di cristallo e tutte le medaglie iridate, devo dire che mi sono anche emozionata: ero presente nell’individuale, mentre ho seguito l’inseguimento al cellulare in un ristorante e mi sono messa a piangere davanti a tutti, vedere qualcuno caro che riesce a raggiungere i risultati che ho sempre sognato e che non sono riuscita a raggiungere mi emoziona molto, le faccio davvero i miei complimenti”.

Non è stata però la tua ultima gara assoluta, perché nell’ultima gara dell’Ibu Cup a Martello hai fatto in tempo a salire sul podio con una giovanissima Lisa Vittozzi…rivedi qualcosa di te in lei?

“Lisa è una grande atleta e un gran talento. Ho avuto la fortuna di seguirla il primo anno dopo il ritiro quando seguivo la squadra B, ha davvero una bella testa, è molto intelligente. Penso che ogni atleta abbia i suoi punti di forza da tirar fuori nel momento giusto e spero che riesca a raccogliere il massimo dal suo potenziale, perchè se lo merita”.

A proposito del tiro, detieni ancora il il record come atleta in campo femminile con più zeri in Coppa del Mondo, anche se la bielorussa Skardino ci è andata vicino. Quanto ti hanno aiutato i tuoi trascorsi nel tiro a segno?

“Sì devo dire che dal tiro a segno ho imparato molto, soprattutto ad essere precisi e pignoli, non basta centrare il bersaglio ma andare il più vicino possibile al centro. Spostando il gomito di due centimetri cambia la tua posizione e il tuo risultato, a tanti atleti farebbe bene un po’ di “pignoleria”, ossia essere precisi e ripetere lo stesso tipo di movimenti. Mi ha aiutato molto, si fanno nel biathlon alcuni esercizi simili, ma è difficile trovare il tempo per gli atleti di oggi. Io avevo iniziato in maniera separata lo sci di fondo e il tiro a segno e poi li ho uniti nel biathlon”.

Nelle passate stagioni hai potuto seguire, a fianco di Andrea Zattoni, anche i giovani atleti delle Fiamme Gialle che hanno ottenuto degli ottimi risultati a livello internazionale come Irene Lardschneider e Tommaso Giacomel (classe 1998 e 2000). Come vedi i loro percorsi di crescita da qui al 2026? Pensi che potranno essere tra i protagonisti della rassegna a cinque cerchi?

“Li avevo seguiti sia a livello giovanile che con le Fiamme Gialle, sono atleti con un gran potenziale e bisognerà gestirli nel modo giusto senza bruciare le tappe e dar modo loro di avere continuità dal punto di vista del lavoro, una cosa che è mancata nella mia carriera ad esempio perchè si cambiava spesso allenatore. Irene sta lavorando con Alex Inderst e Samantha Plafoni da diversi anni, Tommaso invece si è trovato molto bene nella squadra juniores e vedremo come verranno impostate le squadre nazionali per i prossimi anni, però è importante che non si montino la testa e rimangano con i piedi per terra senza sentirsi in dover dare molto di più e crearsi aspettative aggiuntive”.

In Italia il movimento del biathlon è cresciuto in questi anni, te ne sei accorta?

“L’interesse dei media si sente molto in squadra A, mi ricordo che le interviste ai miei tempi durante l’estate si contavano sulle dita di una mano, ora credo che Dorothea faccia cinque interviste in meno di una settimana. Penso che sia pesante, non ho mai amato avere tanti impegni o tanti giornalisti intorno. Ti fa piacere l’interesse, ma d’altra parte diventa anche un peso perchè è un vero e proprio impegno, in un programma fitto che comprende viaggi ed è come se si facesse un allenamento aggiuntivo, per cui è difficile da gestire. Il più grande compito lo hanno i tecnici e chi gestisce le squadre per far combaciare bene tutti gli impegni e lasciare il giusto spazio anche agli atleti, perchè non c’è solo l’atleta ma c’è anche la persona e la necessità di seguire i propri interessi”.

Per un periodo hai seguito i giovani del gruppo sportivo delle Fiamme Gialle e della nazionale juniores-giovani, ti piacerebbe tornare ad allenare più avanti? So invece che tu papà Luigi, spinto dalla passione, segue ancora i giovani della Val Gardena.

“Lui tiene duro, è in pensione dal Comitato Alto Adige ma a livello di sci club Val Gardena dà ancora una mano e penso che lo mantenga giovane nello spirito. Ha grande esperienza ed è anche bravo a fare il nonno, ma lo è anche con questi ragazzi che si avvicinano allo sport. Mai dire mai nella vita, ma sono in Liguria e lontana dallo sport e non ho molto tempo da dedicare. In questa stagione ho seguito a distanza Luca Ghiglione, ma è difficile dare consigli via telefono, non è nemmeno troppo corretto. Seguirò le gare in televisione”.

Un aneddoto, un ricordo da condividere sul circuito di Coppa del Mondo?

“Riguarda Oslo Holmenkollen, che tra l’altro è la tappa di Coppa del Mondo che mi piace di più e dove ho conquistato diversi podi. Spesso c’è bel tempo, ma a volte c’è anche la nebbia, nell’ultima gara della stagione, era una mass start: partiamo perchè gli sponsor e la televisione ci avevano messo pressioni, essendo l’ultima gara. Arriviamo al primo poligono e non vedo nulla, nemmeno il numero sopra la sagoma. Al mio fianco c’era Katerina Holubcová Losmanová che si gira verso di me per chiedermi se vedevo qualcosa. Abbiamo sparato in qualche modo e siamo entrate tutte o quasi nel giro di penalità, sono questi i ricordi che poi a fine carriera rimangono più impressi”.

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nicolo.persico@oasport.it

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Foto: ©Gian Mattia D’Alberto / LaPresse

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