Atletica

Olimpiadi. Bob Beamon e quel salto nell’infinito a Città del Messico

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La corsa scomposta, carica di gioia immensa e di incredulità, l’espressione folle del saltatore in lungo statunitense Mike Powell subito dopo aver ritoccato nella finale dei mondiali di Tokyo 1991 quello che per tutti, nella storia dell’atletica, è stato il record del mondo più incredibile, il record dei record: l’8.90 di Bob Beamon a Città del Messico 1968. Quella di Tokyo 1991, con Powell e sua maestà Carl Lewis a darsi battaglia sul filo del record del mondo, è stata sicuramente la gara di più alto livello della storia della specialità ma il salto che valse l’oro olimpico di Robert Beamon, l’atleta nato a Queens nel 1946, è stato indubbiamente il momento più elevato del salto in lungo, considerato che quel record è durato ben 23 anni ed è tuttora la seconda prestazione mondiale all time.

Da bambino Bob vide la madre morire di tubercolosi e, come molti ragazzi infelici, era particolarmente indisciplinato a scuola. Da adolescente fu più volte coinvolto in risse e accoltellamenti fra gang per strada, di notte. Di giorno, però, ogni tanto prendeva la strada dello stadio per correre, saltare o giocare a pallacanestro. In quel luogo, il suo talento naturale non avrebbe tardato a manifestarsi, aprendogli presto, per mezzo di una borsa di studio, le porte dell’università di El Paso nel Texas, dove divenne presto un atleta di primo piano a livello nazionale e riuscì a conquistare il pass olimpico per Città del Messico.

Nel 1968 Bob Beamon era un saltatore sconosciuto e nessuno avrebbe potuto immaginare quel che stava per succedere. Appena ventiduenne, in patria era più noto per la squalifica subita nel 1966, quando pagò il rifiuto a partecipare a una manifestazione collegiale, in segno di protesta per la politica razzista adottata dalla chiesa dei Mormoni, che per le sue prestazioni nel salto in lungo.

A Città del Messico, Beamon addirittura rischiò di non qualificarsi alla finale, perché nei preliminari i suoi primi due tentativi furono nulli. Come confesserà più tardi, alla vigilia della finale, dopo qualche tequila di troppo, si avviò a passare la notte in dolce compagnia di una collega. Ad un certo punto però, la folgorazione: tornò sui suoi passi, si rivestì e salutò la spiazzata compagna di serata, andando a dormire.

Alle 15.45 del 18 ottobre, il saltatore newyorkese Robert Beamon prese la rincorsa per il suo primo salto di finale. Il tartan rendeva morbida ed elastica la sua falcata e lo stacco fu millimetrico. La punta della scarpa sfiorò il limite dell’asse di battuta senza toccarlo. Spinto e sorretto da un vento di 2 m/s, proprio al limite del consentito, Beamon incrociò le braccia davanti a sé e protese le gambe in avanti per sfruttare al massimo la traiettoria del salto, poi si piegò per assorbire il contraccolpo e chiudere il volo, si raggomitolò su sé stesso e si arrestò con due saltelli.

Il giudice incaricato delle misurazioni fece scivolare l’apparecchio ottico sulla barra di scorrimento. Incredulo, cercò di spingere: troppo corta! Gli incaricati dovettero quindi cercare un decametro a nastro, cosa che richiese interminabili secondi. Finalmente, sul tabellone luminoso si accesero questi numeri incredibili: 8,90 m. Un lungo grido si alzò dalle tribune. Beamon, da parte sua, non aveva ancora capito. Fu necessario che Ralph Boston, il suo compagno e rivale, gli spiegasse che aveva superato qualcosa come 29 piedi americani (29 piedi e 2 pollici) perché se ne rendesse conto.

Cominciò allora a ballare come un invasato (come avrebbe fatto 23 anni dopo Mike Powell a Tokyo), cadde nelle braccia del suo vecchio amico e poi sì inginocchiò e baciò il terreno. Immediatamente cominciò a piovere a dirotto ed a far freddo. Fino a quel momento il record del mondo nel salto in lungo era 8,35, detenuto in coppia dallo statunitense Ralph Boston e dal sovietico Igor Ter-Ovanesyan. Il campione olimpico uscente,

il britannico Lynn Davies, disse a Beamon, Tu hai distrutto questa specialità“, e nel gergo dell’atletica leggera, un nuovo aggettivo, “Beamonesco” entrò in uso per indicare un impresa spettacolare. Ventitre anni dopo Bob Beamon, che nella vita ebbe ben poco successo, non era davanti alla televisione quel 30 agosto in cui Powell lo superò con uno strepitoso 8.95 che resiste ancora oggi a 29 anni di distanza, più dei 23, fantastici anni del “regno di Beamon“.

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