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Olimpiadi. Svetlana Masterkova e Ana Fidelia Quirot: la sofferenza, la battaglia e la gioia degli 800 di Atlanta

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Quando la voglia di correre e di vincere supera qualsiasi ostacolo. La finale degli 800 metri donne ad Atlanta 1996 fu un incrocio di sofferenza, forza di volontà e tenacia. A rileggerlo oggi, l’ordine di arrivo di quella gara, l’effetto è quello di tre campionesse che hanno fatto la storia della specialità, la russa Svetlana Masterkova, la cubana Ana Fidelia Quirot e Maria de Lourdes Mutola, dal Mozambico, ma le storie che portarono quelle tre atlete straordinarie sul podio olimpico, furono intrise di sofferenza e di incertezze.

Curioso e, per certi versi analogo, fu il cammino parallelo di Masterkova e Quirot. Masterkova, siberiana di Achinsk, non aveva certo la nomea di essere una vincente. Nel 1991 fece segnare il miglior tempo stagionale ma ai Mondiali di Tokyo finì solo ottava, due anni dopo si presentò in grande spolvero ai Mondiali indoor conquistando un argento negli 800 ma poco dopo si infortunò gravemente e dovette saltare il resto della stagione.

La prima di tre annate di assoluta inattività visto che nel 1994 Svetlana Masterkova si fermò perché in dolce attesa. Dopo la nascita del figlio la siberiana decise di riprendere l’attività agonistica. Il problema da risolvere in fretta era il peso. Dopo la maternità, infatti, Masterkova, alta 1.68, pesava 85 chili, non proprio l’ideale per una mezzofondista. Si racconta che la russa fosse in cerca di allenatore nei primi mesi del 1996 e bussò alla porta di Pavel Litovchenko il quale, vedendola, pensava fosse una lanciatrice di giavellotto, vista la stazza non proprio esile. Masterkova, però, voleva correre e vincere e si impegnò a fondo per rientrare nel peso forma, affidandosi ad una dieta che prevedeva digiuno totale per mesi e mesi tutti i giorni dalle 14 in poi. Nel maggio del 1996 tornò a correre in Francia a 32 mesi dalla sua ultima apparizione e un mese dopo si aggiudicò le gare dei trials russi sia sugli 800 che sui 1500, qualificandosi per Atlanta.

Ancora più tortuosa fu la strada che portò la cubana Ana Fidelia Quirot ai Giochi Olimpici. Anche lei protagonista, seppure non da vincente, nei primi anni ’90 e balzata agli onori della cronaca rosa per essere la fidanzata del re del salto in alto, Xavier Sotomayor, tuttora primatista mondiale della specialità. Nell’89 fu decretata atleta dell’anno, forte di 39 vittorie consecutive negli 800 metri, nel ’91 divenne simbolo della rivoluzione cubana vincendo 400 e 800 ai Giochi Panamericani davanti a Fidel Castro.

Nel 1992, senza sapere di essere in stato interessante da qualche settimana, conquistò il bronzo ai Giochi Olimpici di Barcellona. Il destino, però, aveva in serbo una tragedia per lei. Il 23 gennaio 1993, mentre si preparava per uscire, la Quirot al settimo mese di gravidanza, che come molti suoi connazionali doveva fare i conti con l’embargo e quindi con la mancanza del metano per il riscaldamento, cercò di far ripartire la stufa a kerosene di casa alimentandola con l’alcool ma una fiamma improvvisa la investì e le provocò ustioni nel 38% del corpo. Trasportata in gravi condizioni all’ospedale de L’Avana, riuscì a salvarsi ma perse il bambino una settimana dopo. Per alcuni giorni fu vicina di letto di Fidel Castro, ricoverato per accertamenti e giurò al Lider Maximo che sarebbe tornata a correre. Uscirono anche voci su un possibile litigio con Sotomayor, con cui la storia nel frattempo era finita, o addirittura di un tentativo di suicidio dopo l’addio ma nessuno ha mai confermato queste ipotesi.

Sta di fatto che la Quirot tornò a correre e nel 1995 vinse l’oro ai Mondiali di Goteborg negli 800. La Quirot arrivò ad Atlanta da favorita, assieme a Maria de Lourdes Mutola, mozambicana, ex giocatrice di calcio, mascolina e in vetta alle classifiche della specialità da almeno tre anni ma nessuna di loro pensava di dover fare i conti con la mamma volante, Svetlana Masterkova. La finale fu un concentrato di tattica e cuore. Partenza controllata con la russa Afanasyefa a fare da pace maker.

La fase decisiva a 200 metri dal traguardo con Masterkova, fin lì molto serena e tranquilla a prendere il comando delle operazioni e ad infliggere un distacco incolmabile a Quirot, argento e a Mutola, bronzo. Le tre atlete furono accolte in patria come eroine. Masterkova una settimana dopo concedette il bis vincendo anche i 1500 metri, Quirot per un argento che, disse Fidel Castro premiandola, vale più di un oro e Mutola perché portò al Mozambico la prima medaglia olimpica della storia, che poi le avrebbe riservato l’oro quattro anni dopo a Sydney.

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